"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 31 dicembre 2024

Strettamentepersonale. 35 Enzo Bianchi: «Ho paura per la malattia delle nostre democrazie e l’instaurarsi di regimi autoritari in un’ora nella quale le guerre si moltiplicano. Ma a ciascuno di noi compete una precisa responsabilità e non ci è lecito disertare perché la lotta e la resistenza contro ogni disumanizzazione è ciò che è veramente umano, soltanto umano».


Oggi è l'ultimo giorno dell'anno. In tutto il mondo retto da questo calendario le persone s'intrattengono a dibattere con se stesse le buone azioni che intendono mettere in atto nell'anno che incomincia, giurando che saranno rette, giuste ed equanimi, che dalla loro bocca emendata non uscirà mai più una parola cattiva, una bugia, un inganno, anche se il nemico se lo meritasse, è chiaro che è degli uomini comuni che stiamo parlando, gli altri, quelli d'eccezione, fuori dell'ordinario, si regolano in base a ragioni proprie per essere e fare il contrario sempre che ne ricavino gusto o interesse, questi sono coloro che non si lasciano illudere, arrivano a ridersela di noi e delle buone intenzioni che mostriamo, ma, alla fin fine, lo impariamo con l'esperienza, già nei primi giorni di gennaio abbiamo dimenticato metà dei nostri propositi e, avendo tanto dimenticato davvero non c'è motivo di tener fede al resto, è come un castello di carte, se già sono caduti i piani alti, è meglio che rovini giù tutto e si mescolino i semi.
(Tratto da “L'anno della morte di Ricardo Reis”, 1984, di José Saramago).

Chiude finalmente questo “disastroso” 2024, non che gli anni precedenti siano stati da meno. Ma non pensavo di leggere ieri, lunedì 30 di dicembre del funesto anno, la lettera editoriale ultima “regalataci”, come per “abitudine” negli ultimi sette anni, da Enzo Bianchi. È stato un colpo. Enzo Bianchi, con la Sua rubrica del lunedì – “Altrimenti” - sul quotidiano “la Repubblica” porta a fine il Suo impegno. L’attesa del lunedì si legava indissolubilmente a quella lettura alla quale non si pensava proprio di poter mancare l’appuntamento. È che Uomini come Enzo Bianchi hanno la capacità, la sapienza e l’attitudine, di trasmettere un afflato che non si potrebbe pensare che ad un certo punto possa lasciarci, in balia poi di un “tempo malvagio” assai. Ho scelto per tutti questi filiali motivi di dedicare a tal grande persona l’ultimo post dell’anno che chiude, con il rammarico ancora vivo di non poterLo ri-leggere al lunedì prossimo. Ma così scorre la vita. Ha scritto Enzo Bianchi in “La responsabilità di ciascuno di noi” – bel tema tragico assai, come tante altre vicende degli umani – pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di ieri: Un altro anno finisce. Non è forse anche questo terminare degli anni una memoria che per noi umani, che i greci chiamavano “mortali”, tutto finisce? Sì, per chi ha avuto una vita lunga come la mia ed è entrato nei faticosi ottant’anni non è una novità il finire di impegni, lavori, rapporti. E così con questo testo di oggi termina la mia rubrica Altrimenti su questo giornale. Sono stati sette anni interessanti e soddisfacenti perché a ogni articolo numerosi tra voi lettori reagivano scrivendomi o commentando. Sono molto grato ai direttori di Repubblica che mi hanno offerto questo impegno anche perché risultava essere una voce “altra”. Un cristiano, un monaco, che con una certa distanza dalla vita del mondo osserva, pensa per poi condividere i pensieri preoccupato di dialogare anche con i non cristiani. Perché ciò che mi interessa è l’umanità, quella reale che s’incontra qui e ora sulle diverse strade percorse insieme. E mi sembra di aver accompagnato un mutamento nella società e nella chiesa. Ho osservato eventi catastrofici inattesi: dalla pandemia all’acuirsi della crisi culturale in Europa, dalla rinascita della seduzione della guerra al naufragio della cristianità fino a rischiare di essere ridotta a patrimonio culturale nel nostro Occidente. Il paesaggio umano e religioso è cambiato, un mutamento destinato a continuare. Di questa mia lettura pensata e confrontata ho dato segni negli articoli pubblicati. Ho piena consapevolezza di essere stato a volte duro, radicale, quando me lo imponeva il Vangelo, ma in questo caso il primo a sentirmi ferito ero proprio io. Per questo spero di non aver offeso nessuno, anche perché da vecchi occorre essere disarmati per andarsene in pace. Scriverò ancora per rendere palese una parola a favore degli ultimi, degli oppressi, dei perseguitati, dei bisognosi e per ripetere che una chiesa domina non sarà mai la comunità che Gesù aveva in mente: una chiesa spoglia di ogni potere che chiede ai cristiani solo di credere al bene, alla giustizia, alla bellezza, all’accoglienza di tutti. Osservare una chiesa che è sempre più debole nella fede, senza una parola autorevole da parte dei pastori che faccia risuonare il Vangelo, che celebra liturgie non più cristiane e non solo sbiadite, fa male al cuore dei credenti. “Sentinella, a che punto è la notte?”: questo il grido che risuona. E per quel che riguarda la società civile ho scritto che la barbarie avanza a piccoli passi, ma poi è piombata tra di noi e si è imposta con l’assenza di fiducia, il rancore, l’egoismo narcisista, sentimenti che hanno ottenebrato ogni orizzonte comune. Ho paura per la malattia delle nostre democrazie e l’instaurarsi di regimi autoritari in un’ora nella quale le guerre si moltiplicano. Ma a ciascuno di noi compete una precisa responsabilità e non ci è lecito disertare perché la lotta e la resistenza contro ogni disumanizzazione è ciò che è veramente umano, soltanto umano. Pensatemi comunque, cari lettori, ogni alba nella mia cella a leggere e pensare, anche con voi.

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