"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 23 dicembre 2024

CosedalMondo. 23 Enzo Bianchi: «Celebrare il Natale è una cosa seria e sarebbe l’occasione per i veri cristiani di mostrare la differenza cristiana».


LetturediNatale”. 1 “Il vero messaggio di Natale”: Siamo alla vigilia del Natale, da sempre sentito come festa capace di suscitare incontri, festa in cui si condivide la tavola, si sta insieme alle persone che si amano. Eppure, va anche riconosciuto, è festa sempre meno cristiana. Per pochi è ancora memoria di un Dio che ha voluto diventare uomo nascendo da una donna in una capanna nella campagna di Betlemme. Sono i cristiani stessi che l’hanno paganizzata, permettendo che le si associassero contenuti anche buoni provenienti dalla mondanità, perché la loro fede è sempre più debole. I bambini crescono senza un’educazione a cogliere nell’evento natalizio la povertà, la debolezza di un Dio che vuole stare con noi, Immanu-el. Piuttosto il Natale è diventato l’occasione per scambiarsi doni, esporre luci scintillanti nelle case e per le strade, fare vacanze in montagna. E comunque pochi sentono la contraddizione tra ciò che si celebra e la verità di quello che stiamo vivendo nell’attuale momento storico: una guerra che continua nell’Europa orientale tra due popoli fratelli; una carneficina che si consuma e pesa, con donne e bambini innocenti inconsapevoli del perché di tanta barbarie scatenata da Israele; una endemica sepoltura di corpi di migranti nel centro del Mediterraneo. Che sguardo abbiamo su questa realtà? Perché ci voltiamo dall’altra parte? Eppure il messaggio di questa festa è chiaro: una famiglia irregolare e anomala, Maria che risulta come una ragazza madre che aspetta un bambino nella speranza che il suo sposo, Giuseppe, lo riconosca come figlio secondo la Legge. Non trovano posto nel caravanserraglio mentre sono in viaggio alla volta di Betlemme, e così in una grotta, come una partoriente clandestina, Maria dà alla luce il neonato in una mangiatoia. Questo bambino nasce come ciascuno di noi è nato: non fa miracoli, né si compiono eventi straordinari attorno a lui. Grida, piange, si attacca al seno di sua madre. E qui il vero cristiano fa silenzio e adora perché è convinto che quel bambino è Dio, il suo Dio, il nostro Dio che si è fatto umanissimo per camminare con noi, piangere con noi, soffrire con noi senza mai abbandonarci, neanche nell’ora della morte. Questa è la fede scandalosa, come sarà scandalosa la morte in croce di questo Gesù appeso al legno, nudo, maledetto da Dio e dagli uomini, compagno di chi scende all’inferno. Celebrare il Natale è una cosa seria e sarebbe l’occasione per i veri cristiani di mostrare la differenza cristiana. Ma chi si dice cristiano, e lo proclama, e non ha capito che questa festa ci impegna alla compassione umana, alla responsabilità verso chi è nel bisogno, costui anche se è assolto dalla giustizia umana deve ricordare che Natale è un giudizio divino su ciascuno di noi e sulle nostre scelte di oggi. Non si può andare al presepe, chiedere che si faccia in luoghi pubblici e allo stesso tempo alzare barriere, muri che escludono. Questa è cattiveria che il messaggio di Natale giudica!

LetturediNatale”. 2 “Il mio Natale nel nome della rosa”: Questo è quel periodo dell’anno. Quello in cui rifaccio sempre la stessa cosa, da non so neppure più quanti anni. Non si tratta dell’albero di Natale o del presepe, cose che comunque faccio, intendiamoci. No, io rileggo. E sempre lo stesso libro. Tra qualche giorno prenderò in mano una copia vecchia e ingiallita, non poi troppo distante dalla prima edizione, de Il nome della rosa. E di nuovo, per la ventunesima – o la ventiduesima, ho un po’ perso il conto – volta, mi immergerò nelle «vicende accadute all’abbazia di cui è bene e pio si taccia ormai anche il nome, al finire dell’anno del Signore 1327». E così sia. Ma perché? Perché rileggere, e perché a Natale? Si parla spesso di “comfort” qualcosa: una serie tv, un videogioco o, nel mio caso, un libro. Si tratta di qualche prodotto culturale che ha questa caratteristica: un po’ ci consola. Non stiamo però parlando di letteratura “consolatoria”, quella che ci dice quel che già sappiamo, che ci conferma nella nostra visione del mondo e dunque ci rassicura, senza darci alla fine nulla, se non una consolazione effimera che dimentichiamo contestualmente alla fruizione. Per dire, io trovo cose nuove a ogni lettura de Il nome della rosa, e lo rileggo da quando a quindici anni mio padre me lo passò dicendo che era uno dei suoi libri preferiti. Sono cose sulle quali magari sto riflettendo, il cui riflesso vedo nell’attualità, o sulle quali non mi ero mai soffermata nelle venti e passa letture precedenti, che non avevo mai notato. Che poi è un po’ quel che fa la buona letteratura. No, il comfort book è un libro che sappiamo ci darà una certa gamma di emozioni, che non ci tradirà: sappiamo che ci piacerà, perché l’ha fatto in passato, e a volte è bello anche tornare semplicemente là dove siamo stati bene, come quando si visita un luogo amato, o si mangia per la centesima volta quel piatto che ci fa impazzire. La novità è una cosa bella, per carità, è probabilmente il motore del mondo, ma è anche insidiosa: non tutto ciò che è nuovo è anche bello. Ci sono novità negative, che ci stupiscono nel male invece che nel bene, e non sempre vogliamo essere stupiti tout court. A volte, semplicemente, vogliamo andare a colpo sicuro, perché è un periodaccio, o vogliamo concederci una coccola, o ci va così e basta. Siamo esseri umani anche perché a volte facciamo cose inutili, immotivate; non è un po’ quel che ci distingue dagli altri esseri viventi con cui dividiamo il pianeta? Immagino che per chi ha faticato a superare le prime cento pagine “iniziatiche” – parole di Umberto Eco – possa sembrare strano, ma per me Il nome della rosa è proprio questo: è il bosco in cui passeggio incessantemente ogni settimana, trovandolo ogni volta splendidamente uguale a se stesso e al tempo stesso leggermente mutato, di quel poco che basta a darmi la dimensione del tempo passato. Va bene, ma perché a Natale? Incidentalmente, perché è il mio periodo preferito dell’anno. Ma, anche qui, ci sono delle ragioni. Il Natale è, come buona parte delle feste, l’incarnazione di una ritualità che da secoli ci aiuta a marcare lo scorrere del tempo: tutto si ripete anno dopo anno, dal cenone all’incontro coi parenti alle decorazioni – spesso sempre le stesse – che si tirano fuori l’8 dicembre – o prima per i più impazienti. È la festa che più di altre richiama l’infanzia, col suo corteo di ricordi dolceamari. Ma è anche un momento di sospensione: per qualche giorno tutto finisce in una bolla ovattata di cibo e bevande alcoliche, mentre fuori la notte cala presto e si illumina di mille luci, un ricordo della festa del Sol Invictus, e delle mille altre che l’hanno preceduta. Perché è l’inizio della fine del buio che festeggiamo, in verità. E in questo tempo sospeso è più facile trovare un momento per sé, per quella coccola del libro amato aperto nelle lunghe sere invernali; senza contare il desiderio di staccare un po’ dai parenti e dalle abbuffate. Un libro ci dà anche questo rifugio. E poi, diciamocelo, rileggere di questi tempi è un atto rivoluzionario. La nostra vita è performance, una freccia dritta sparata che va da un passato che non vediamo l’ora di lasciarci alle spalle a un futuro che deve essere migliore, in tutto. La vita è breve, chi si ferma è perduto. Ma chi ha davvero voglia di correre sempre? Chi non vorrebbe, almeno ogni tanto, scendere dalla giostra? Rileggere forse è una perdita di tempo: quanti libri bellissimi mi perdo ogni volta che rileggo Il nome della rosa? Non lo so, e non mi interessa. Almeno una volta l’anno, ho bisogno che il piacere, gli hobby, smettano di essere una rincorsa alla performance migliore. Ed è per questo che mi fermo, una tazza di tè in mano, il tepore del caminetto – sognato da bambina e conquistato solo da una decina di anni – e il mio libro preferito tra le mani. È il mio piccolo atto di ribellione, il mio momento sospeso, il piacere del ritorno sul luogo del delitto. Tutto il resto, può attendere la fine delle feste.

N.d.r. I testi sopra riportati, pubblicati sul quotidiano “la Repubblica” di oggi 23 di dicembre 2024, sono a firma, rispettivamente, di Enzo Bianchi – fondatore della Comunità Monastica di Bose e già priore della stessa – e della scrittrice Licia Troisi.

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