Scrivevo il 31 di ottobre dell’anno 2003 in “Religiosità e l’identità sonnacchiosa di un Paese” – riflessione inoltrata ad un quotidiano, al tempo molto diffuso ed autorevole - a proposito delle puntuali ed immancabili polemiche suscitate dalla decisione di un giudice sulla esposizione del crocefisso in un’aula scolastica: Alte volteggiano ancora le lamentazioni dei "moderni templari”, accorsi prontamente a difesa di una sonnacchiosa e senza nerbo identità minacciata, al grido ancestrale "mamma, arrivano li turchi!". Ma di quale identità codesti templari siano accorsi a difesa è ben difficile capire, dopo decenni e decenni di manipolazione mediatica che ha stravolto gli usi ed i costumi ed il sentire collettivo, imponendo peraltro fasulli consumi e nuove e dissacranti certezze. Ed alla "nuova identità" il Paese è accorso ad abbeverarsi, fonte copiosa e rinfrescante di modernità o modernismo che dir si voglia, che è riuscita a creare il miracolo di una identità "nuova" nella quale le moltitudini si sono riconosciute senza difficoltà alcuna, tradendo gli insegnamenti dei vecchi, dei padri e delle madri, del maestro e della maestra, della parrocchia, del partito. Nessuna delle pre-esistenti istituzioni è riuscita nella impresa di salvare e di fare coesistere quanto esistente nel tessuto sociale e nella memoria collettiva del Paese, proprio perché in fondo di collettivo vi era ben poco, se non il riconoscersi negli stereotipi più negativi per i quali gli altri, europei e non, ci hanno sempre guardato e ci guardano con divertito e preoccupato stupore. E questi "moderni templari", estremi difensori di una sonnacchiosa e senza nerbo identità estesa d'ufficio a tutti i cittadini di questo Paese, senza distinzione alcuna, siano essi indifferenti, agnostici, avversi ad ogni forma di ritualità, avversi ad ogni idea che non sia legata al contingente, questi "moderni templari" che si è scoperto sorprendentemente appartenere ad ogni credo politico, stanno lì a rappresentare in fondo solo se stessi e neanche quella minoranza, che tale è divenuta nel Paese, che nel concreto della vita quotidiana vive la sua religiosità nelle opere, nel servizio e nella solidarietà verso i bisognosi, senza ostentare stinte bandiere e labari. Alle lamentazioni dei “moderni templari " accorrono invece le moltitudini educate da decenni al “talk show nazionale", durante il quale si urla a più non posso senza concedersi la meravigliosa pratica della riflessione e del confronto collettivo, come azionate da un gigantesco ed invisibile telecomando che sintonizza sulla lunghezza d'onda della nuova identità masse sempre più ottuse e teledipendenti. La vera e nuova identità di questo Paese ha ben poco di cristiano, e come una novella fede, ha ancora da rivelarsi ai suoi adepti nella sua interezza e nella sua sostanza; essa ha messo da parte ed a tacere la sonnacchiosa identità preesistente, ma nel contempo cela la sua vera natura di nuova identità senza anima, senza un respiro che possa aiutare a guardare gli orizzonti più vasti del destino di questo Paese. Riporto a questo proposito la chiusura di un illuminante lavoro di Edmondo Berselli che alla osservazione del Paese ed alla sua evoluzione ha dedicato tante sue intelligenti energie: (...). È un fluido, l'Italia televisiva, in cui sono omogeneizzati ormai tutti gli atteggiamenti e i comportamenti di una società che si è illusa di cambiare passando, per dirlo in una formula, dalla volgarità al trash, e che quindi celebra sé stessa, nei ludi dell'etere, sperimentando ogni giorno la propria postmodernità e nascondendo dietro le quinte di una fiction e di un talk show i propri arcaismi. In quello sconfinato presente che è l'orizzonte televisivo, anche gli italiani provano finalmente a essere eterni, sempre dalla parte dell'ultimo ritrovato intellettuale di massa, fedeli e conformi al tabù individuale e collettivo dell'assenza di tabù. Appena spenta, la televisione ricomincia identica domani. E anche l'Italia, la post-Italia, domani riapre."(Tratto da "Postitaliani”, pag. 288). Ora che il Tribunale di quella città ha sospeso l'esecutività della ordinanza di rimozione di quel crocefisso in quell'aula scolastica, anche se lo stesso crocefisso da tempo è stato rimosso dalle coscienze di tante moltitudini di questo distratto Paese, i " moderni templari” potranno rinfoderare le loro durlindane e prepararsi a menare le mani alla occasione prossima ventura, che immancabilmente allieterà il talk show quotidiano nazionale.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
mercoledì 4 dicembre 2024
Uominiedio. 55 Enzo Bianchi: «Benito Mussolini ha potuto gridare: “Io sono cattolico, non cristiano!”».
Ha scritto Enzo Bianchi in “La cura del gregge” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 2
di dicembre 2024: (…). …fino a poco tempo fa di sé stessi e degli altri si professava
innanzitutto la confessione di appartenenza e si tralasciava la qualifica di
“cristiano” che poteva sembrare in contraddizione con l’essere cattolico,
protestante o ortodosso. Non si dimentichi che Benito Mussolini ha potuto
gridare: “Io sono cattolico, non cristiano!”, senza essere contraddetto o
biasimato dalla Chiesa, ma anzi ricevendo da molti un plauso che faceva sentire
i cattolici “un esercito all’altare”. Ma la riscoperta del Vangelo e della
Bibbia nelle chiese ha risvegliato l’identità cristiana. Paolo Ricca, il
pastore e grande teologo valdese che ci ha lasciato da pochi mesi, alla fine
della vita amava affermare di non rinnegare le sue origini nella chiesa valdese
ma di appartenere alla chiesa invisibile che non riconosce mura e recinti
confessionali, la chiesa dei cristiani, semplicemente. E ci siamo più volte
detti nei nostri incontri a tu per tu: prima ci sentiamo cristiani, poi viene
l’appartenenza confessionale. Ma la posizione di Paolo Ricca oggi è condivisa.
Sì, le barriere confessionali non solo sono cadute per l’ecumenismo ma non sono
più significative. E non si dimentichi che oggi molti cristiani riscoprono la
nozione biblica del “piccolo resto”, che senza vantare privilegi, senza
tentazioni settarie vuole semplicemente essere fedele al Vangelo. Solo il
Vangelo! Nient’altro che il vangelo! Il fenomeno è così esteso che anche in
Russia per ragioni contingenti alla politica della Chiesa, alcuni cristiani non
si vogliono più dire ortodossi senza peraltro “passare” a un’altra chiesa.
Aleksej Naval’nyj, il credente russo contemporaneo, appare esemplare per molti
con la sua scelta di essere cristiano senza appartenere alla chiesa del
Patriarcato di Mosca. Ma io mi domando: le chiese stanno meditando e
interrogandosi su questa novità di cristiani senza chiesa, orfani perché non si
non sentono né vivono accoglienza, fraternità, e a volte radicalismo evangelico
nelle chiese di appartenenza? Non basta la figura di Papa Francesco, il suo
carisma e le sue azioni profetiche per far dire ai cattolici che quella chiesa
in cui sono stati formati è la loro casa, luogo di fraternità e di fede.
Occorrerebbero altri vescovi e pastori che si adoperino per sollevare dalla
solitudine chi la vive in famiglia, o nell’emarginazione, nella povertà, nella
malattia, ma anche nella chiesa. E invece la cura del gregge è sempre presbite!
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