"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 3 dicembre 2024

CosedalMondo. 21 “Infanzie”.

Infanzie”. 1 “Infanzie selvatiche”: (…). Un episodio semplicissimo. I miei nonni, in campagna, mi hanno fatto scegliere un giorno una gallina chiedendomi quale fosse la mia preferita. Ho indicato quella bruna che stava un po' isolata e mi pareva più piccola delle altre, piccola come me. Il giorno dopo per pranzo c'era il brodo. «È della tua gallina», mi hanno detto tutti felici quando avevo già mangiato metà piatto. La notte ho avuto la febbre. Ho pensato che i miei nonni fossero persone cattive. Non ho mai più mangiato il brodo in vita mia, il solo odore mi fa venire un senso di nausea. (…). Le campagne, i nonni in campagna, la cultura contadina, la vita nella sua semplice ferocia, le necessità elementari, il rapporto coi bambini (senza troppe premure, diciamo così, per i traumi che negli anni successivi ci hanno ossessionati) e con gli animali. Quel mondo lì. Diciamo spesso, io stessa lo faccio, che le generazioni successive hanno saturato ogni bisogno di figli e nipoti con un eccesso di cura impedendo loro di far pratica delle avversità a cui sarebbero poi andati incontro. Che è vero. Ma è pure vero, (…) che quel che abbiamo vissuto, nelle nostre infanzie selvatiche e prive di adulti accudenti, non è stato indolore. Ha lasciato una traccia profonda, a volte dimenticata, talvolta sepolta da vite costellate di doveri, di ulteriori e più severi dispiaceri. Che sono stati una scuola, certo, una palestra. Hanno forse rafforzato la muscolatura della capacità di sopportare, di reagire e andare avanti. Ma, anche, ci hanno da qualche altra parte lasciati fragili e dolenti. Da qualche parte molto ben nascosta, che deve essere quella che si è riattivata quando è stato il nostro turno di crescere i bambini, nostri e altrui: io no, io così non farò, io avrò cura di loro, delle loro galline preferite, io mi metterò nei loro panni e impedirò loro di soffrire, per quanto sta in me. Ecco, forse ci è scappata un po' la frizione. Forse troppo, abbiamo protetto, evitato, prevenuto. La cosa più difficile, sempre, è trovare la giusta misura.

Infanzie”. 2 “Bambini nel tempo”: L'inverno demografico non perdona. Cala il gelo persino su un "luogo-non luogo" del nostro immaginario politico. Parlo di Arcore, dove un tempo non tramontava mai il sole, dove il Cavaliere col sorriso in tasca aveva incubato e spacciato al Paese il nuovo "sogno italiano". Leggo che proprio a due passi dalla mitica Villa San Martino va in crisi la Peg Perego, quel noto "marchio" sulle cui fuoriserie a rotelle abbiamo scarrozzato per decenni i nostri frugoletti: chiude in rosso il bilancio, licenzia 104 dipendenti e poi si vedrà, se c'è ancora un futuro. Culle vuote, passeggini inutili: con appena 379 mila nuovi nati l'anno scorso, è il minimo che da italiani ci possiamo aspettare. Non voglio parlare, qui e ora, delle cause del fenomeno. Come su molti altri temi, ho più domande che risposte. Quanto incidono le condizioni materiali in cui vivono i giovani? Quanto pesa la precarietà del lavoro, i costi folli delle case, i canoni proibitivi degli affitti? Quanto contano la carenza di asili nido e l'assenza di politiche per la famiglia? Quanto gravano sulle spalle delle donne-madri-la-voratrici le zavorre di una cultura che resta patriarcale, tra le mura domestiche e quelle dell'ufficio? Ma poi: siamo sicuri che questo sia tutto? Perché i tassi di natalità sono più bassi nelle regioni più ricche e meglio attrezzate dal punto di vista del Welfare, tipo l'Emilia-Romagna? La scarsa propensione a fare figli ha a che fare con il timore della rinuncia, a quel poco o tanto benessere che abbiamo conquistato, alla libertà che vogliamo difendere, al tempo che dedichiamo a noi stessi? Non so niente. Molto umilmente, chiedo. Osservo. E racconto. Qualche giorno fa, in una domenica di sole caldo e di cielo blu che solo una città meravigliosamente invivibile come Roma ti può regalare, sono uscito a fare due passi con mia moglie. Andiamo in un parco vicino, non una "Villa" storica ma un bel fazzolettone di verde diffuso, poco curato e quasi spontaneo, che da fine anni Sessanta ha resistito al cemento. Scopriamo che in mezzo all'area giochi è nato un chiosco. È pieno di tavolini all'aperto e di gente seduta che si gode il tepore del giorno. Giovani madri sbocconcellano chi un cornetto chi un tramezzino, o sorseggiano chi un caffè chi un prosecco. Chiacchiere tra amiche, le solite schermaglie coniugali nel sarcastico gioco di ruolo tra mogli e mariti, i colloqui con le maestre, l'ultima serie su Netflix. E mentre parlano o ridono, hanno un occhio e un orecchio costantemente rivolto all'altrove che rumoreggia a pochi metri da loro: hanno i cuccioli, laggiù, e come leonesse nella savana li sorvegliano a distanza mentre fanno altro, con quel super-potere di cui sono dotate solo le mamme italiane. Intanto, padri altrettanto giovani si alternano agli scivoli e alle altalene, inseguendo con premura un po' goffa i loro piccoli che gioca· no e corrono, incontro a una vita racchiusa e conclusa in quel preciso momento, che per loro è il senso di ogni cosa. Li guardiamo e rivediamo noi stessi, quando tanti anni fa consumavamo quei riti domenicali coi nostri. Ascoltiamo in silenzio le voci, i richiami, gli strilli, Marco, vieni qua, si è liberata l'altalena, Martina, aspetta il tuo turno, non vedi che ci sono altri bambini prima dite, Luca, smettila di urlare, tanto non cambia niente, Giorgia, basta piangere... Il convenzionale repertorio di pedagogia spicciola che usano i genitori, quando nutrono ancora qualche speranza di saperla trasmettere ai cuccioli del genere umano. Forse mi sbaglio, ma non mi pare di sentir chiamare i Kevin o le Chanel, i Tomas o le Shantal, quel penoso campionario di nomi da reality show che per qualche anno sono andati di moda, e ora spero non ci vadano più. Forse mi confondo, ma non mi sembra di sentire telefonini che squillano, né di vedere adulti o minori che maneggiano smartphone. E forse mi illudo, ma per un breve attimo sospeso, io bambino nel tempo, condivido con la donna che amo da 42 anni questo senso di quiete. Questo rumore e questo odore di casa.

N.d.r. I testi sopra riportati sono a firma, rispettivamente, di Concita De Gregorio e di Massimo Giannini e sono stati pubblicati sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 30 di novembre 2024.

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