“CisGiordania, nessuno ferma più i coloni (e le violenze)”, corrispondenza di Gwenaelle Lenoir pubblicata - online - su “Mediapart” e riportata su “il Fatto Quotidiano” del 18 di novembre 2024: Il 15 agosto 2024 era stato un giorno di festa in casa Al-Sadeh, perché Oumayma e suo marito, Ibrahim, entrambi insegnanti, rispettivamente di arabo e di inglese, accoglievano a cena delle coppie di amici e il fratello di Oumayma, arrivato dall'Arabia Saudita, dove vive da trentacinque anni, con la sua famiglia. Oumayma li aveva fatti accomodare sul balcone del piano superiore, da dove c'è una bella vista sul villaggio di Jit, le colline coperte di ulivi e la città poco lontana di Nablus. Oumayma ci mostra un video che ha girato col cellulare quella sera. Alle 19,23 avevano deciso di celebrare insieme la alt al-maghrib, una delle preghiere quotidiane dell'islam. "Mio fratello si è messo a leggere il Corano ad alta voce - racconta - e poco dopo abbiamo visto arrivare degli uomini. Erano in sette. Hanno lanciato qualcosa e un'auto ha preso fuoco". Nello stesso momento, Raghad, 22 anni, moglie del figlio maggiore di Oumaymae Ibrahim, che era scesa al piano terra, aveva cominciato a urlare. Alcuni coloni avevano scavalcato il muretto di casa e un uomo si era messo a scuotere violentemente una finestra per entrare. Jit è un grazioso borgo con villette di pietra color ocra costruite sulle pendici di una collina. Un villaggio solo apparentemente tranquillo. Jit è circondato infatti da insediamenti israeliani - Kedumim, Elon Moreh, Yitzhar, Itamar, Eli e Havat Gilad - tra i più radicali della Cisgiordania, creati appositamente per impedire l'espansione di Nablus. Da quando, nel dicembre 2022, al governo sono entrati dei ministri sionisti religiosi, che difendono il principio della "supremazia ebraica" e la confisca delle terre palestinesi, a Jit le vessazioni quotidiane si sono trasformate in violenza sistematica: razzie, furti di bestiame, sequestri di persona, omicidi. I coloni, avvantaggiati dalla "neutralità" dei soldati israeliani, come attestato da numerose testimonianze, e talvolta dalla loro complicità, si sono trasformati in bande di miliziani. L'attacco di Hhamas a Israele del 7 ottobre 2023 non ha fatto altro che accentuare le violenze. Il governo israeliano ha distribuito armi e uniformi a chiunque ne facesse richiesta. In un rapporto pubblicato il 6 settembre 2024, il think tank International Crisis Group ha parlato di "saccheggi e attacchi senza precedenti nei villaggi palestinesi, portate avanti da decine o centinaia di coloni". È ciò che ha vissuto anche Jit il 15 agosto 2024. Mediapart ha incontrato i suoi abitanti all'inizio di ottobre e ha potuto visionare le immagini filmate dalle telecamere di sorveglianza dei residenti. Un insediamento israeliano, Havat Gilad, è stato fondato nel 2002 a poche centinaia di metri da Jit. La strada è stata sbarrata con un cumulo di terra ed è stato installato un posto di blocco per delimitare l'ingresso della colonia. La prima casa in cui si imbatte chi da Havat Gilad giunge a Jit è quella di Oumayma e Ibrahim. "Pensavo che fosse giunta la mia ora", dice Oumayma ricordando quel 15 agosto. Accanto a lei ci sono due dei suoi tre figli, Baraa, 22 anni, studente di informatica, e Ossama, 17 anni, che frequenta il liceo. Quando avevano sentito le urla di Raghad, avevano capito tutti esattamente cosa stesse succedendo, poiché il villaggio era già stato attaccato nel 2018. Il 12 ottobre 2023, Ibrahim era stato rapito dai coloni mentre raccoglieva le olive sulla collina: "Indossavano uniformi militari. Dei bambini li hanno visti mentre lo portavano via, in direzione di Havat Gilad e alcuni abitanti del villaggio avevano contattato il Dco". Il Dco, acronimo di District Coordination Office, è un organismo di coordinamento tra l'esercito di occupazione e l'Autorità palestinese, creato a margine degli accordi di Oslo del 1993. Ibrahim era stato liberato dall'esercito israeliano due ore dopo. I vicini dell'insediamento di Havat Gilad lo avevano picchiato per vendicarsi del 7 ottobre. Ma i fatti del 15 agosto erano un'altra storia. Il fratello di Oumayma, che vivendo in Arabia Saudita non conosce la realtà della vita quotidiana dei palestinesi sotto l'occupazione, voleva andare a discutere con i coloni, ma Ibrahim glielo aveva impedito: "Torna dentro! Sono tutti armati di kalashnikov e Ml6!", gli aveva detto. Anche Abdallah Annan ha sperimentato la violenza dei coloni. La sua casa si trova proprio di fronte a quella dei Al-Sadeh. Nel 2018, Abdallah, che lavora come carrozziere nella zona industriale israeliana di Barkan, vicino a Nablus, "avevano rotto tutto, finestre, porte". Da allora Abdallah ha installato due telecamere di sorveglianza, una delle quali è puntata verso la strada sterrata da cui arrivano i coloni di Havat Gilad. Le immagini registrate alle 19,14 del 15 agosto 2024 mostrano due individui che lanciano qualcosa contro le automobili parcheggiate davanti alla casa di Oumayma e Ibrahim. Delle auto prendono fuoco e i due si allontanano. Alle 19,16 si vedono Ibrahim e i suoi figli mentre tentano di spegnere il fuoco: "A quel punto, i coloni se ne vanno e tutti abbiamo pensato che fosse finita lì", continua Abdallah Arman. Le immagini mostrano invece che poco dopo degli abitanti del villaggio cominciano ad agitarsi. "I coloni sono tornati a decine. Certi indossavano giubbotti antiproiettile, altri delle uniformi, ed erano armati di fionde, fucili e pistole. Lanciavano anche molotov", racconta Abdallah. La sua telecamera ha filmato quarantacinque minuti di scontri: "Se i coloni fossero riusciti a oltrepassare casa mia, si sarebbero sparpagliati in tutto il villaggio e non li avremmo più fermati. La polizia israeliana ci ha detto poi che gli aggressori erano arrivati dagli insediamenti di Yitzhar e Itamar passando per Havat Gilad". "Sono entrati nel giardino, hanno distrutto le piante e dato fuoco alla pergola - racconta Oumayma -. Mia cognata e i miei nipoti erano terrorizzati, piangevano. Io mi sono messa a pregare. Da fuori sentivo gridare: 'Preparatevi a partire per il Sinai e la Giordania, stiamo tornando!'. Ho avuto l'impressione di vivere laNakba del 1948". Nel villaggio una casa ha preso fuoco, ma per fortuna era vuota perché i proprietari vivono in Australia. Un giovane di 23 anni, Rachid Siddeh, è stato ucciso con un colpo di fucile. Il suo corpo è stato scoperto verso le 23 tra gli ulivi. Alle 19,53, l'altra telecamera di Abdallah Arman ha filmato due uomini incappucciati e vestiti di nero che gettavano della benzina sulla porta d'ingresso di casa sua. Abdallah si era barricato dentro con la madre, la moglie, la cognata e il figlio di sei mesi. Due minuti dopo, un terzo uomo aveva dato fuoco al divano della sala. "Ho preso un estintore e ho spento il fuoco per evitare che l'incendio si propagasse - racconta-. Ho detto a tutti di restare in silenzio e di non fare rumore per non far capire ai coloni che eravamo in casa". L' esercito israeliano, avvertito dalla Dco, è arrivato molto tempo dopo: "I soldati hanno gridato ai coloni di allontanarsi invece di fermarli", racconta Abdallah, che conosce l'ebraico. La protezione civile pastinese non poteva intervenire poiché Jit si trova in una zona sotto controllo israeliano e i pompieri hanno bisogno del permesso dell'esercito, ma non lo avevano ottenuto. Alla fine è intervenuto un agente di polizia. La famiglia Al-Sadeh è stata evacuata alle 21,30, trovando rifugio a casa di un parente fino alla mattina dopo. In un comunicato del 28 agosto, l'esercito israeliano ha riconosciuto di non essere stato in grado di controllare la "folla di rivoltosi": "Si è trattato di un incidente terroristico gravissimo in cui gli israeliani hanno tentato deliberatamente di ferire gli abitanti della cittadina di Jit, e noi non siamo arrivati in tempo per proteggerli", ha scritto il generale Avi Bluth. La nota precisa che quattro persone, tra cui anche un minorenne, erano state arrestate e poste in detenzione amministrativa. "La polizia ha detto che le guardie della colonia non potevano più mettere piede a Jit. Invece il 4 ottobre sono tornate - racconta Omayma -, hanno rovesciato gli scaffali dei supermercati e insultato le persone".
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
domenica 1 dicembre 2024
Lavitadeglialtri. 58 Enzo Bianchi: «L’essere umano quando è orgoglioso non piange, quando è cattivo non piange, quando è indifferente non piange».
(…). Le lacrime compaiono inumidendo
l’occhio, il quale gravido a un certo punto le lascia colare ed esse scendono
sul viso e lo attraversano. Le lacrime sono misteriose, la loro sorgente è
nascosta, eppure quando spuntano hanno il potere di destare sentimenti,
ispirare gesti in chi ne è testimone, dicono qualcosa che è più performativo di
una parola. Piangere è il gesto universale che può esprimere tanti e diversi
sentimenti: dalla disperazione alla gioia e all’esultanza. La saggezza popolare
si esprimeva non a caso con brevi frasi: “Piangi che ti fa bene! ... Piangi che
ti aiuta a resistere! ... Piangi che Dio conta le tue lacrime!”. (…). …le
lacrime sono la manifestazione dei sentimenti umani. In realtà la secchezza
degli occhi, oggi attestata, fa parte di un’anestesia generale, l’indifferenza
che nasce dall’abitudine a vedere lo spettacolo del male. Roland Barthes, nei
suoi Frammenti di un discorso amoroso (1977), si chiedeva: “Chi scriverà la
storia delle lacrime?... Da quando gli uomini hanno smesso di piangere? Che ne
è della sensibilità?”. Eppure dovremmo saperlo: Sunt lacrimae rerum (Eneide
I,462), cioè siamo immersi nelle lacrime di tutte le cose perché tutte le
creature piangono... e molti, infiniti sono i motivi per piangere: dal dolore
fisico a quello psichico, dal venirci incontro della morte alla caduta e al
fallimento di una vita, oppure per la fine dell’amore che speravamo durasse per
sempre. Dovremmo ritrovare la certezza che nessuna lacrima andrà perduta,
allora ritorneremo a piangere. Nella grande tradizione cristiana esistono anche
le lacrime del pentimento. Oggi di fronte al male commesso si rifugge dalla
responsabilità, si ha paura di portare una colpa. L’ossessione della
colpevolizzazione ha fatto sparire il senso della colpa. Eppure il
riconoscimento fino al pianto, è un’esperienza decisiva per percorrere il
cammino del cambiamento. Ma oggi solo se il male che facciamo è conosciuto
proviamo vergogna, altrimenti non assumiamo nessuna responsabilità. E non
dimentichiamo: l’essere umano quando è orgoglioso non piange, quando è cattivo
non piange, quando è indifferente non piange. (Tratto da “La fatica di piangere” di Enzo
Bianchi, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” dell’11 di novembre 2024).
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento