“L’insostituibile leggerezza del leggere”, testo di Corrado Augias pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” di ieri, domenica primo di dicembre 2024: Leggere fa bene, è necessario, è utile, però bisogna distinguere. Non esiste un solo modo di leggere, anzi ne esistono moltissimi, variano a seconda del tempo, del libro, dello scopo. Comincio col più appassionato, chiuso in queste parole di Marcel Proust: «Non esistono forse giorni della nostra infanzia che abbiamo vissuto intensamente quanto quelli che crediamo di aver perduto senza viverli, i giorni trascorsi in compagnia di un libro molto caro». Ho conosciuto anch'io, figlio della guerra, quel tipo di quasi totale mescolanza tra la vita fisica e quella dell'immaginazione persa nelle avventure di Buffalo Bill o nelle indagini di Sherlock Holmes. Esperienza affascinante e pericolosa. L'annullamento della distanza può far perdere una delle prerogative necessarie alla lettura: la consapevolezza di ciò che si legge, ovvero il giudizio. Questo però arriva in anni più maturi, in età precoce si può invece essere più tolleranti. Franz Kafka dà un altro criterio per la lettura: «Se il libro che stiamo leggendo non ci colpisce come un soffio di vento nel cranio, perché annoiarsi leggendo-lo? (...). Un libro dev'essere l'ascia che spezza il mare ghiacciato dentro di noi». Parafraso: inutile accanirsi in una lettura che annoia - a meno che ovviamente non si tratti di un'obbligata lettura professionale per la quale è prevista anche una ragionevole dose di noia. Inutile anche cercare d'imporre una lettura: «Leggilo, ti farà bene!», Non è vero, se non lo interessa gli farà malissimo, potrà addirittura farne un nemico dei libri. Non si devono leggere i libri che non piacciono, tanto meno imporli. Il libro stampato su carta ha una fisicità tattile, se fresco di stampa ha un odore, lo stesso delle buone librerie, il cocktail di carta più inchiostro prima fondamentale distinzione con l'asettica, incorporea lettura sullo schermo d'un computer. Non tutti i libri sono uguali. Ci sono libri che coinvolgono i sentimenti (in senso lato, narrativa), si leggono in genere in modo diverso da quelli che trasmettono soprattutto informazioni (in senso lato, saggistica). È bello andare a letto con una persona amata ma lo è anche andarci con un libro caro; in un caso e nell'altro si costruisce un rapporto lento, delicato, affettuoso, intenso. Sono le letture del cuore, le più simili a quelle della prima giovinezza - quella d'una volta, almeno. Dico questo perché i cambiamenti portati dalla civiltà digitale sono, anche nel campo della lettura, rivoluzionari. Fino all'altro ieri la lettura era un'attività silenziosa e solitaria. Do subito un celeberrimo esempio. Niccolò Machiavelli nel 1513, in esilio in Val di Pesa, racconta in una lettera al suo amico Francesco Vettori come passa le serate: «Venuta la sera, mi ritorno in casa ed entro nel mio scrittoio; e in su l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto i panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui uomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio e che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro umanità mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia; sdimentico ogni affanno, non temo la povertà; non mi sbigottisce la morte». Solitudine, austero silenzio, totale concentrazione sul testo, chiaro il collegamento con la frase di Proust di cui sopra, la vera lettura questo esige se vuol essere partecipe, impegnare la memoria - spesso a vita. Interessante il richiamo alla solitudine. Una condizione che in genere viene associata alla solitudine derelitta di persone che la sorte ha privato della socialità, una delle fondamentali componenti umane. Esiste però anche un altro possibile significato. È quello che si può applicare all'essere umano che legge, solo, in un ambiente in penombra, in un muto colloquio tra il sé che legge e il sé dell'autore che comunica attraverso le pagine. Il filologo Ezio Raimondi nel suo saggio Un'etica del lettore ha scritto proprio questo e cioè che la lettura è «un incontro tra due solitudini», educa, tra l'altro «a riconoscere la compresenza di verità differenti nella pluralità delle coscienze», il che, volendo tirare più in là il discorso, richiama uno dei principi base della democrazia - non vorrei però esagerare. La mia opinione è che in silenzio o a voce alta, da soli o in compagnia, più si legge meglio è. La ragione è semplice: leggere è atto colto per eccellenza, cioè innaturale, educa all'astrazione, alla ricostruzione simbolica di quanto leggiamo, allena e stimola la fantasia proprio perché la lettura non è cinema né tv, le immagini ognuno le crea da sé, nella sua mente. La divulgazione dei libri, la loro lettura, comunque avvenga, è dunque azione benemerita. Nel suo Jacques il fatalista Denis Diderot fa dire a un certo punto al suo personaggio: «Ma chi sarà il padrone? Lo scrittore o il lettore?». Una prima risposta legittima è: entrambi. Alla libertà dello scrittore di mettere su carta ciò che vuole (là dove si possa fare senza pericoli), corrisponde infatti la libertà del lettore di interpretare come crede ciò che legge. Come si usa dire, e non si tratta d'una battuta, l'autore di un romanzo non è il suo miglior critico. All'inizio degli anni Sessanta Umberto Eco, di precoce ingegno, pubblicò il saggio Opera aperta che indicava come caratteristica dell'opera d'arte la sua "apertura interpretativa" teorizzando che il vero padrone d'un testo è in realtà l'interprete, cioè il lettore. La lingua che suggiamo insieme al primo latte si chiama non a caso "madre"; non ci è infatti meno madre delle mammelle (o del biberon) dal quale traiamo alimento. La lingua è "madre" perché ci permette d'intrattenere rapporti con gli altri; ma prima ancora ci permette di pensarci come individui, di capire (chi più, chi meno) chi siamo, in definitiva di esistere in quanto esseri pensanti, di leggere e capire ciò che leggiamo. In un testo sapienziale ebraico, Sefer Yezirah, si legge che Dio creò il mondo grazie a trentadue vie segrete. Dieci sefirot, o numeri, ventidue lettere. Le sefirot servirono a creare le cose astratte, le lettere gli esseri viventi. Nella tradizione giudaica, insomma, l'universo è come un libro fatto di numeri e di lettere. Chi padroneggia questi segni può interpretare correttamente il mondo e addirittura dare origine ad alcune forme di vita. Poiché nella tradizione ebraica non manca mai una nota di humour, dice una leggenda che due dotti talmudisti riuscirono effettivamente a combinare lettere e numeri in modo così perfetto da far scaturire dal nulla un vitello che poi mangiarono allegramente a cena. Lasciamo in pace i vitelli, prendiamo il simbolo della parabola: la lettura aiuta a capire un libro o il mondo, i libri nutrono.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
lunedì 2 dicembre 2024
Strettamentepersonale. 33 Marcel Proust: «Non esistono forse giorni della nostra infanzia che abbiamo vissuto intensamente quanto quelli che crediamo di aver perduto senza viverli, i giorni trascorsi in compagnia di un libro molto caro».
Nell'anno 1918, e precisamente nei giorni
intorno al 15 giugno si svolgeranno in Germania feste solenni per il trentesimo
anno di regno dell'imperatore Guglielmo II, feste che dovranno attestare al
mondo intero la grandezza e la potenza germaniche. [...]. Ora tu ben sai che
nello stesso anno il nostro augusto Imperatore celebrerà il settantesimo
giubileo della sua ascesa al trono e che l'anniversario cade il 2 dicembre. La
troppa modestia che distingue sempre noi austriaci nelle questioni riguardanti
la nostra Patria m'ispira il timore che si prepari per noi, diciamolo pure, una
nuova Koniggratz, vale a dire che i tedeschi con il loro metodo mirante
all'effetto, ci prevengano, così come allora adottarono il fucile ad ago prima
che noi pensassimo a una sorpresa da parte loro. [...]. Poiché il 2 dicembre
non si può naturalmente far cadere prima del 15 giugno, si è avuta la felice
idea di estendere i festeggiamenti a tutta l'annata 1918, facendone l'anno
giubilare del nostro Imperatore della Pace. (Tratto da “L'uomo senza qualità” – 1930/1933 – di
Robert Musil).
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