"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 19 dicembre 2024

MadreTerra. 33 Maura Gancitano: «Lipari, Vulcano, Salina, Stromboli, Panarea, Filicudi, Alicudi: un arcipelago di meraviglia, immerso nell'acqua, e che pure è costantemente assetato».

                                            Sopra. "Tindari", Sicilia.

II 19 dicembre 1853 partii da Saint Louis col treno della sera, diretto a Chicago. Non c'erano che ventotto paseggeri in tutto: non c'erano né donne né bambini. Eravamo di ottimo umore e facemmo ben presto buona conoscenza. II viaggio si iniziò sotto lieti auspici, e credo che non un solo componente della comitiva avesse il benché minimo presentimento degli orrori che avremmo patito di lì a poco. Alle undici di sera cominciò a nevicare fitto. Poco dopo aver lasciato il piccolo villaggio di Welden ci inoltrammo in quella spaventosa prateria solitaria che si estende per leghe e leghe nel suo desolato squallore fino al campo di Jubilee. I venti, non ostacolati da alberi o da colli e neppure da rocce solitarie, sibilavano fieramente sulla pianura deserta, cacciando innanzi la neve turbinante come spruzzi di schiuma dalle onde crestate di un mare in tempesta. E la neve si accumulava rapidamente; si capiva, dalla diminuita velocità del treno, che la macchina si scavava un passaggio con difficoltà sempre crescente.
(Tratto da “Cannibalismo in treno - 1867 ca. – di Mark Twain).

Storied’Acqua”. 3 “Il segreto della pesca miracolosa”: Il motore della Seicento Multipla si lamentava lungo la strada tortuosa da Nuoro al Lago Omodeo. Nell'abitacolo, il silenzio era fitto quasi quanto il profumo di tabacco e cuoio che impregnava l'aria. Marcello, nove anni e un filo di timidezza, stringeva tra le mani una borraccia di latta. Suo padre, Vincenzo, guidava concentrato, le mani grandi che parevano forgiate dal lavoro e dai silenzi. Era la prima volta che uscivano da soli, senza la madre a fare da ponte tra i loro mondi. "Tutto bene con la strada? Vuoi che mi fermi?" chiese Vincenzo, quasi sottovoce, sapendo quanto suo figlio soffrisse le curve. "Sì, no, tutto bene" rispose Marcello, ma non era sicuro che fosse vero. Un filo di nausea la sentiva, ma era troppo intento ad osservare suo padre, cercando in lui qualche somiglianza, qualche indizio su chi avrebbe potuto diventare un giorno. Quando il lago si mostrò all'improvviso, come una lama d'acqua tra le colline, Vincenzo rallentò. Qualche pescatore scoraggiato li raggiunse al parcheggio: "Oggi marca male" disse mostrando il cestino vuoto. Vincenzo fece di spalle per significare al figlio che non si preoccupasse. "I pesci stanno aspettando noi" sussurrò rivolto a lui. Marcello annuì, senza sapere se stava davvero capendo. Raggiunsero la riva quando il sole si alzava a spezzare la foschia mattutina. Altri pescatori, scoraggiati, se ne andarono. Vincenzo scaricò con gesti precisi la canna da pesca, la scatola degli ami e un cestino di vimini. "Noi ci proviamo," disse, e Marcello si accorse che anche nella voce del padre c'era una strana emozione. Non la sicurezza di chi sa già come andrà, ma, una trepidazione nuova, come se quel giorno fosse una prima volta anche per lui. Sedettero accanto, le lenze nell'acqua e un silenzio che sembrava crescere con il tempo. Vincenzo cercava di spiegare al figlio i segreti del lancio: "Non devi forzare, basta lasciar ·: fare alla canna. È lei che conosce il lago." Marcello i ascoltava, cercando di capire come dominare l'imbarazzo che si insinuava tra loro. A metà mattinata, la pesca non aveva ancora dato frutti. Vincenzo, con un sorriso un po' colpevole, tirò fuori dal cestino un pane carasau, un pezzo di pecorino e... una bottiglia di birra. "Solo un sorso, eh? Ma non dirlo a tua madre," disse, porgendogli il bicchiere smaltato. Marcello esitò, ricordando le parole della madre: "Non si gioca con certe cose, Vincenzo. Lui è troppo piccolo." Ma poi il padre gli fece l'occhiolino, e quella complicità inattesa sciolse ogni dubbio. Il sapore era amaro, pungente. Marcello si trattenne dal tossire, sentendosi improvvisamente più grande. Fu allora che accadde. La canna tremò, un sussulto che li fece sobbalzare entrambi. Vincenzo afferrò l'attrezzo, ma poi, dopo un istante di esitazione, lo passò a Marcello. "Tira tu," disse. Marcello si alzò in piedi, le mani che stringevano con forza e paura. "Piano, non farti fregare," lo guidò il padre, le mani sulle sue, e insieme tirarono fuori dall'acqua il primo pesce persico. Non era l'ultimo. La pesca si trasformò in una danza, un ritmo che sembrava orchestrato dallo stesso lago. Ogni pesce che emergeva faceva brillare Vincenzo di un entusiasmo infantile, mentre Marcello, ormai mascotte dichiarata, sentiva crescere dentro un orgoglio che gli allargava il petto. Quando il secchio fu colmo, Vincenzo si lasciò cadere sull'erba, esausto. "Lo sapevo," disse. "Porti fortuna." Marcello si sedette accanto, il sorriso che non riusciva a contenere. Il ritorno a casa fu più leggero. Vincenzo guidava con una mano sola, l'altra fuori dal finestrino. Ogni tanto canticchiava, e Marcello lo ascoltava, pensando che quel giorno fosse diverso da tutti gli altri. Quando entrarono in paese, il padre fece una rapida raccomandazione: "Di' a tua madre che abbiamo mangiato pane e formaggio, eh? Per il resto... aranciata, ok?". Marcello annuì, tenendo per sé il segreto. Non era solo la birra o il pesce che avevano tirato fuori dall'acqua: era la consapevolezza che, per un giorno, lui e suo padre erano stati una cosa sola. E quella, lo sapeva, sarebbe stata la loro vera fortuna. (7 giugno 1969)

Storied’Acqua”. 4 “La vita che arriva dal mare”: C’è sempre qualcuno che la guarda arrivare, aspettando il momento in cui si staccherà dalla linea dell'orizzonte. Lo fanno i turisti - che hanno scoperto da poco come funziona qui l'approvvigionamento dell'acqua e lo fanno anche i locali, che invece lo sanno da sempre. Tutti conoscono questo rituale, eppure i sentimenti sono contrastanti. Quando la nave finalmente appare, gli uni la accolgono con meraviglia, ma per gli altri l'arrivo è solo un mezzo sollievo, quel modo particolare di tirare il fiato di chi accetta che le cose siano come sono, eppure sa che potrebbero essere più facili, funzionare meglio. Dalle alture dell'isola, decine di occhi cercano quel punto nero che emerge dove il cielo tocca l'acqua. Il capitano ha condotto l'operazione centinaia di volte, in questo avanti e indietro tra Gioia Tauro e le isole, Napoli e le isole. Non ha timoni, ma strumenti digitali, eppure l'attracco rimane un fatto artigianale, una sapienza che richiede una cura chirurgica: è sufficiente un errore per mettere in pericolo la nave, il carico, l'equipaggio, e serve precisione nel capire i venti, le correnti, i fondali, la manovra millimetrica richiesta dalla prua. Getta uno sguardo agli schermi che illuminano la plancia di comando: raccolgono ed elaborano dati di continuo, gli mostrano maree, profondità e temperatura dell'acqua. Quando arriva il momento di gettare le corde, però, sono ancora le mani dei marinai a sentire se la tensione è quella giusta, se il vento permetterà la manovra, se la cima reggerà. All'alba, quando la nave si avvicina al porto, il suo ponte sfiora appena l'acqua del mare. Ora che è piena, infatti, quasi non si vede. La manovra è lunga, cerimoniosa. Come ogni cosa in queste isole, la sua durata è variabile, può sembrare eterna. Le corde vengono lanciate, ed è un rito che richiede forza e pazienza. Quando la nave finalmente si ricongiunge alla costa, gli isolani si preparano a seguire le manovre di scarico. A volte sono silenziosi, altre volte si lamentano. Ora che inizia a liberarsi, la nave comincia a sollevarsi dal livello dell'acqua, come se riprendesse fiato. Torna leggera, circondata da persone impazienti. Mentre l'alba illumina le operazioni, il capitano sa che tra qualche ora tutto sarà finito e che dovranno ripartire. Osserva i marinai per capire il loro umore e prevedere quale sarà il clima a bordo una volta che si saranno lasciati alle spalle la costa di questa isola, per tornare verso la Calabria. Più che la distanza da percorrere, in realtà, è questo avanti e indietro che stanca i marinai nei mesi che passano a bordo. Eppure, decenni di esperienza hanno insegnato a questo capitano a fare attenzione alle emozioni più che alla stanchezza fisica, e quindi sa già che cercherà di farli stare meglio e di distrarli dai pensieri negativi, ma pure di farli riposare. Ha anche capito che il viaggio non è uguale in tutte le stagioni, e che ogni volta è una cosa nuova e imprevedibile. Con il mare mosso diventa un'impresa: bisogna aspettare che si calmi, a volte interrompere lo scarico a metà. Il mare detta i tempi, gli umani si adeguano. Tra poco sarà tempo di ripartire, di ricominciare questo viaggio che tiene in vita le isole, un giorno dopo l'altro. Ciascuna di loro è un pezzo di sughero che galleggia nel mare. Lipari, Vulcano, Salina, Stromboli, Panarea, Filicudi, Alicudi: un arcipelago di meraviglia, immerso nell'acqua, e che pure è costantemente assetato.

N.d.r. I testi sopra riportati sono rispettivamente degli scrittori Marcello Fois – sardo – e di Maura Gancitano – siciliana di Mazzara del Vallo – e sono stati pubblicati sul periodico “Green&Blue”, del quotidiano “la Repubblica”, dell’undici di dicembre 2024.

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