"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 16 dicembre 2024

MadreTerra. 32 Stefania Auci: «Il vero problema sono, ancora una volta, i siciliani. È la gestione insensata del nostro patrimonio idrico, è l'incapacità di pretendere il rispetto per un diritto basilare per la vita dignitosa di ogni essere umano: il diritto all'acqua».


Storied’Acqua”. 1 “La sete del santo ha salvato noi e la terra”: Tra le poche cose che mio padre rimpiange della sua giovinezza, al primo posto c'è l'acqua che sgorgava dalle rocce e dalle fontanelle vicine al paese nostro. Ne parla come si fa di un amore lontano, mai dimenticato. "Un sapore come quello", dice, "oggi non lo trovi nemmanco nella più costosa acqua minerale". La mamma, però, gli intorbidisce l'idillio, ricordandogli che durante le annate d'inferno le fonti naturali si seccavano del tutto; o la violenza dell'acqua, quando invece diluviava e le strade diventavano fiumare e le vere fiumare s'ingrossavano e straripavano, trascinando verso il mare piante e animali di ogni razza, a volte pure cristiani senza sorte. E infine gli rammenta la fatica che ci voleva per lavare i panni sporchi nei ruscelli. "Queste cose le so meglio di te" ribatte mio padre stizzito. "Io parlavo del sapore dell'acqua nostra di una volta, non ho mai detto che la vita era meglio prima, anzi". E, siccome io ascolto divertito il loro battibecco durante il pasto, lui mi parla del giorno in cui è arrivata l'acqua in casa, che ha chiuso le porte all'epoca anticària e ha benedetto la modernità. Al ricordo, s'illumina e racconta la festa in piazza, tutto il paese a bocca aperta che vedeva schizzare dalla fontana, come per magarìa, la potente spruzzata di acqua fresca della Sila, acqua che gorgogliava felice, quasi ti parlava, conclude mio padre, ti invitava a berla, ti dissetava corpo e spirto. Era una sete atavica, quella del paese nostro, che si tramandava di generazione in generazione. Per questo i miei mi hanno educato a rispettare l'acqua, guai a sprecarla inutilmente, ancora oggi mi rimproverano come se versassi per terra un litro d'olio. L'acqua è la vita, la sua assenza è il disseccarsi degli organi vitali, l'agonia, la morte. La mamma annuisce, gli occhi colmi di tenerezza, come se mi leggesse nei pensieri. C'era pure lei il giorno in cui mi aggregai alla strana processione dietro la statua di sant'Antonio. Ero un bambino. Non ne capivo il senso, il tredici di giugno era già trascorso da un pezzo, e noi eravamo diretti verso la campagna. Sulle labbra del santo sorridente, i contadini avevano attaccato una sarda salata che spiccava come un baffone rosso fuoco: speravano di suscitargli una sete incontenibile e che l'acqua scendesse dal cielo per rigenerare la campagna riarsa. Camminavamo sulle zolle dure, sotto il sole superbo di fine giugno, gli adulti guardavano desolati il cielo, dove sbuffava una sola nuvola rachitica. Io mi divertivo con gli altri bambini a rincorrere le lucertole esauste, assetate anche loro, non sapevo che la gente stava stuzzicando il miracolo. Non pioveva da mesi, le piantine di ortaggi si sbriciolavano alle frustate di vento, la polvere ricopriva ogni cosa come un lenzuolo luttuoso, le spighe di grano secche e leggere si piegavano in un inchino doloroso e i frutti degli alberi erano aborti legnosi, privi di linfa. Vidi una vecchia che piangeva e parlava al santo: "Dacci acqua, ti prego, acqua benedetta dal cielo, sennò la nostra terra muore, e noi con lei". Tornammo in paese dopo mezza giornata di cammino. Rimettemmo il santo nella sua chiesetta, una donna gli levò la sarda salata dalla bocca, gli pulì le labbra con dolcezza, come si fa con un bambino, usando un fazzoletto di lino ricamato. Poi uscimmo e lo lasciammo da solo a pensare ai nostri guai e all'arsura del mondo. La mamma non aveva dubbi: "Domani pioverà" mi disse sorridente, "sant'Antonio ci aiuta sempre". Cominciò a piovere alle dieci del mattino. La gente uscì di casa, si lasciò bagnare da quella pioggia santa, aprì la bocca al cielo e bevve l'acqua che scendeva a goccioloni grassi, gustosi, vitali. Anch'io aprii la bocca come un uccellino assetato. La polvere fu inghiottita dalla terra assieme all'acqua e tutta la campagna splendeva beata da lontano. "Il guaio vostro è che credete ancora ai miracoli..." commenta mio padre bevendo a sorsi rumorosi il caffè che gli ha preparato mamma "Comunque sia, volete mettere il sapore che aveva il caffè con l'acqua della giovinezza?"

Storied’Acqua”. 2 “Poi d’improvviso un gorgoglio come un colpo di tosse”: Uno dei miei ricordi d'infanzia ha a che fare con l'acqua.  L'acqua che manca per essere precisa.  Era un'estate, sarà stato il 1979, forse il 1980, una domenica mattina di luglio.  La luce entrava di taglio attraverso le imposte socchiuse. Fuori, lo scirocco. Dentro, caldo. Nessun condizionatore, nemmeno un ventilatore. Solo dei panni umidi stesi in giro per casa per tenere gli ambienti freschi. Io ero seduta per terra, sul pavimento di scaglietta, fresco, in canottiera e slip, sfogliavo un Topolino. La casa sembrava addormentata. Poi, d'improvviso un gorgoglio come un colpo di tosse. Quel suono continuava, diventava una sorta di sospiro soffocato, cresceva e infine, dal rubinetto della vasca, ecco un filo rugginoso. L'acqua si faceva più chiara fino a diventare trasparente. Dalla cucina, mia madre gridava: "L'acqua! Arrivò l'acqua! Le bacinelle, presto!" Ecco allora che la casa all'improvviso si svegliava. Bisognava riempire ogni cosa perché così era la vita con l'acqua razionata: riempire tutto, sempre. Anche le bottiglie, anche le pentole, persino la vasca da bagno. Quindi via a prendere tinozze, secchi e bidoni da 20 litri. Io ero piccola ma dovevo fare la mia parte e mi occupavo delle bacinelle più leggere. Mentre io e le mie sorelle riempivamo ogni cosa, mia madre caricava di gran carriera la lavatrice e nel frattempo snocciolava preghiere perché l'acqua durasse abbastanza, "almeno per fare due lavate", come diceva lei. A differenza di altri che avevano dei recipienti sui balconi o dentro case - le "tanche", come si diceva in dialetto - noi dovevamo arrangiarci così. Infine, dopo aver messo da parte l'acqua, c'erano i turni per farsi la doccia o lo shampoo sempre di corsa fino a che, con un nuovo colpo di tosse dal suono simmetrico e contrario, il flusso dell'acqua si esauriva. Oggi mi sembra quasi di essere tornata indietro di quarant'anni. Sono ricomparsi i bidoni, e un paio di secchi pieni d'acqua soggiornano sul mio balcone. È qualcosa che so, che conosco, che fa parte del mio passato e che adesso, prepotentemente, è tornato a occupare degli spazi nel presente. Sia chiaro. La siccità non se è mai andata: ha fatto sentire meno la sua pressione, forse, ma ha sempre fatto parte dell'estate siciliana, insieme al caldo, gli incendi e la pasta con la salsa e le melenzane fritte. Per me non "fa strano" vedere sui tetti delle case e dei palazzi grandi recipienti blu usati per fronteggiare una carenza d'acqua, così come non è strano chiamare l'autobotte per ricaricare la cisterna della villetta dove trascorro le vacanze. E non è strano nemmeno che d'estate ci si trovi con dei bidoni pieni d'acqua nello sgabuzzino o in garage, conservati appunto "per le emergenze". Non desta nemmeno scalpore vedere le grandi navi cisterne che navigano alla volta delle Eolie o delle Egadi. La siccità per un siciliano non è strana, non è insolita e forse, in una certa misura, è inevitabile. Arriva con i primi caldi, colora di giallo ocra dei terreni lasciato incolti, spaventa e si trasforma in pericolo nel momento in cui gli incendi che devastano il territorio. Nell'isola la rete idrica è un reticolo malmesso di condotte fatiscenti, allacci abusivi, dighe per lo stoccaggio delle acque che non sono mai state collaudate al massimo della portata; e poi ancora, dissalatori in disuso da anni. Allora il problema, forse, non è solo che in Sicilia piove e pioverà anche meno. Il vero problema sono, ancora una volta, i siciliani. È la gestione insensata del nostro patrimonio idrico, è l'incapacità di pretendere il rispetto per un diritto basilare per la vita dignitosa di ogni essere umano: il diritto all'acqua. Noi siciliani siamo abituati a questo, o meglio. Rassegnati. Siamo abituati ma non è detto che sia giusto perché la nostra isola, un tempo, era un giardino. Perché non può esserlo ancora?

N.d.r. I testi sopra riportati sono rispettivamente degli scrittori Carmine Abate – calabrese di Carfizzi – e di Stefania Auci – siciliana – e sono stati pubblicati sul periodico “Green&Blue”, del quotidiano “la Repubblica”, dell’undici di dicembre 2024.

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