“Mr. Fisco, il decollo del supereroe Dc per federare il nulla” di Pino Corrias, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 19 di dicembre 2024: Man mano che il pianeta deflagra, polverizzando il centro della vita vera – scossa dai boati delle guerre e dall’offensiva degli autocrati, in arrivo The Donald, il peggiore per massa critica – noi lo cerchiamo tra i velluti danzanti della politica nazionale, dove sul carillon delle chiacchiere, da anni bisticciano in tutù e unghie le comari Renzi & Calenda, più una masnada di ex margherite, ex cespugli, ex tutto, reduci dalle migliori palestre dei compromessi inconcludenti per tutti tranne che per loro medesimi, vedi Tabacci, Fioroni o l’inarrivabile Mastella. A questo giro, l’intera compagnia si è appena coalizzata per circondare, liquidare o annettersi, l’ultimissimo arrivato Ernesto Maria Ruffini, 55 anni, che per il tripudio dei politologi da sofisma sempre riscaldato nel microonde, è una bella preda dai lombi nobili, uno zio in porpora cardinalizia, un babbo democristiano d’alto rango. Ernesto Maria si occupa laicamente di tasse. Con quattro governi – Gentiloni, Conte-2, Draghi, Meloni – le ha riscosse con risultati importanti, anche se controversi. Eccellenti per lui che si vanta d’aver portato nelle casse del Fisco 31 miliardi recuperati dall’infedeltà fiscale. Esagerati per il Capitano politico degli evasori, Salvini Matteo, che ormai affida la sua permanenza sul palcoscenico mediatico alla banda musicale dei condoni, da suonare ai milioni di nostri compatrioti che inghiottono vantaggi dai danari pubblici senza versarne di propri. Elegante, educato, perbene, ma non sveglissimo, il nuovo Ruffini s’è accorto qualche ora fa della compagnia che stava frequentando più o meno da 25 mesi. Compagnia non anonima, bensì guidata dalla Marescialla della Nazione che dalla trincea del sovranismo a singhiozzo, capovolge il senso costituzionale delle tasse da bene comune a “pizzo di Stato”, come da comizio strillato nel maggio ’23. L’eco di quelle parole – insieme con i 20 condoni sgocciolati a sua insaputa – lo ha lentamente raggiunto fino ai bordi levigati della sua scrivania di direttore della Agenzia delle Entrate. E risvegliandolo di soprassalto, se n’è adontato. Ha fatto le valigie. Perfezionate con una intervista a tambur battente sul Corriere: “Non mi era mai capitato di vedere pubblici funzionari additati come estorsori”. Alla fine di quella sofferta rivelazione, quando Fiorenza Sarzanini gli chiede, quindi ora che fa, si candida? Ruffini risponde, quando mai, “mi dimetto, ma non mi candido”. Di più: “Non scendo e non salgo da nessuna parte”. Che è la classica doppia negazione buona per spalancare il contrario del contrario, spedire l’ingenuo Ruffini nel cielo della politica presunta, che fa sempre premio su quella terrena e terrestre. In un amen lo hanno fatto prigioniero: “È lui il federatore del nuovo Centro?”. È lui il nuovo Ulivo? Il nuovo Prodi, anzi il Messia del centro tavola? Per primi lo hanno sputazzato i veterani del nulla Renzi Matteo – tra un gettone estero e l’altro – e Carletto Calenda: “Parliamo di cose serie”. Poi Beppe Sala, il sindaco di Milano, che da un paio di anni, dietro ai molti grattacieli presenti e futuri, si considera in lista d’attesa per diventare lui la betoniera dell’impasto. Al contrario se lo sono coccolato i senior Dario Franceschini e Rosy Bindi: “È bravissimo!”. Mentre Romano Prodi gli ha mandato un sorriso avvolto in un enigma: “Bisognerà vedere se infiamma la gente”. Che è, detto con una certa educazione, l’eterno tema della politica, non solo della post-politica degli influencer, ma della politica di sempre: i leader, i federatori e persino i Messia del centro tavola li seleziona la gente, li indica un movimento, quando nasce, il partito quando c’è, e infine li incorona un’elezione. Difficilmente il gratta e vinci. Narra il destino che Ernesto Maria Ruffini sia nato a Palermo il 21 giugno 1969 da famiglia assai cattolica e assai benestante. Lo zio cardinale era arcivescovo di Palermo. Il babbo avvocato è stato partigiano nelle Brigate Verdi, poi segretario provinciale della Fc, poi quattro volte ministro, discepolo di Fanfani, di Moro e nella perigliosa Sicilia un poco amico dei cugini Salvo, gli esattori, e di Salvo Lima, il mascariato, tutti compari di Andreotti in anni non commendevoli. L’adolescenza romana la trascorre al liceo classico Virgilio – “Avrei voluto fare l’artistico e il pittore, l’arte è la mia passione” – poi alla Sapienza, laurea in Giurisprudenza, carriera da avvocato tributarista. Come tanti, nell’anno 2015, passa dalla stazione Leopolda delle ferrovie renziane in compagnia dell’eccentrico Pippo Civati. Riparte, impiegandosi a Equitalia dove “per passione civile” scopre la sua vocazione autentica, le cartelle fiscali, meglio dei colori a olio. Diventa Mr. Fisco con il governo Gentiloni che lo nomina plenipotenziario della riscossione. Innova la caccia. Punta sulla digitalizzazione. Si inventa la dichiarazione dei redditi precompilata, la trasmissione elettronica degli scontrini fiscali. Negli anni in cui dirige le danze, ottiene il via libera all’incrocio delle banche dati per scovare i renitenti. Dice: “Il Fisco non è bellissimo e non è amico. Gli amici ce li scegliamo. Al massimo è un parente. Un equo interlocutore”. E poi: “Le tasse sono giustizia sociale”. Aumenta il gettito al punto da diventare indispensabile ai governi che stanno tutti con i debiti alla gola. Almeno fino a quando scoppia il caso della lettera inviata alle partite Iva per sollecitare i versamenti. Insorge la Lega: “Un conto è contrastare chi non vuole pagare, un altro vessare, intimidire, minacciare i contribuenti”. La Destra vuole lo scalpo e lo ottiene: “Stia lontano dai portafogli degli italiani”. Il vuoto che si lascia alle spalle dopo le dimissioni funziona come un acceleratore di particelle. Parte il dibattito tra i bosoni del Centro che fanno festa. Compulsano i suoi libri, l’ultimo con la prefazione dell’amico di famiglia, il presidente Sergio Mattarella. Conteggiano le cene con il cardinale Zuppi. Calcolano il peso del fratello Paolo che da anni dirige la comunicazione del Vaticano. Frasi inoffensive delle sue passate interviste – “Preferisco avere una meta che stare seduto” – vengono citate e analizzate come quelle di Mister Chance, il protagonista di Oltre il giardino. E sulla sua ombra fanno progetti: “Il Federatore sarà indispensabile nelle elezioni del 2027”. Verosimile? Improbabile? Lo scopriremo quando il Centro uscirà danzando dal suo buco nero per affiancare la materia oscura del Pd, al largo di Orione.
Aula del Senato della Repubblica. 18 di dicembre 2024. Buone feste a tutti Voi.
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