"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 29 dicembre 2024

Lavitadeglialtri. 65 Tomaso Montanari: «Ci commuoviamo davanti a Gesù, Giuseppe e Maria migranti, profughi se li vediamo dipinti. Ma ci rifiutiamo di vedere che i migranti e i profughi vivi e veri di oggi sono esattamente dei poveri cristi».

           Sopra. "Fuga in Egitto" (1620-22), olio su tela di Orazio Gentileschi.

(…). Giuseppe, vinto dalla stanchezza, è riverso sul proprio bagaglio, sprofondato in un sonno senza grazia e senza decoro. La Vergine Maria, anch'essa stesa in terra fuor d'ogni consuetudine, allatta un Gesù ormai grandicello, che, tutto nudo, guarda fisso in camera, verso di noi: come se ci avesse sorpreso a turbare la sua intimità familiare. E poi c'è il muro: il vero protagonista del quadro. Un muro cadente, che sta perdendo il suo intonaco: un rudere senza alcuna nobiltà, non certo una rovina classica. Un muro in cui si risolve tutto il paesaggio, giacché solo la testa lanosa dell'asino di casa, e un bellissimo cielo pieno di soffici nuvole suggeriscono che il mondo non finisce proprio lì. Ed è forse questo il caso più estremo del nuovo senso del paesaggio, inteso come ambiente dell'azione umana, che scaturisce dalla rivoluzione naturalista. Ma davanti a questo quadro senza grazia, tutto tessuto di verità, come facciamo a nasconderci? «Quel che aborriscon vivo, aman dipinto»: questo verso folgorante di Salvator Rosa fulmina la nostra mostruosa ipocrisia. Ci commuoviamo davanti a Gesù, Giuseppe e Maria migranti, profughi se li vediamo dipinti. Ma ci rifiutiamo di vedere che i migranti e i profughi vivi e veri di oggi sono esattamente dei poveri cristi. Gesù e i suoi genitori ci vanno benissimo dipinti, ma veri e vivi? Avessimo sentito l'odore dei corpi stanchi della Sacra famiglia, che avremmo detto? Avessimo visto la loro pelle olivastra e i loro tratti mediorientali, avessimo udito il loro incomprensibile aramaico? Chissà, se invece del presepe, con la capanna della nascita, i cristiani avessero allestito nelle loro case delle piccole messe in scena della foga in Egitto, forse oggi le cose andrebbero diversamente. Forse i politici che maledicono profughi e migranti contorcendosi nei rosari e allestendo ovunque presepi avrebbero avuto qualche difficoltà in più ad essere votati. O forse no, perché quel muro intorno a cui Orazio costruisce il suo mirabile quadro ce l'abbiamo conficcato nella testa, e nel cuore. Anche a Natale, sì. (Tratto da “Quei profughi che amiamo soltanto dipinti” di Tomaso Montanari pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 27 di dicembre 2024).

“La sentenza Salvini è un caso magistrale di ragion di Stato”, testo di Raniero La Valle pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, sabato 28 di dicembre 2024: La sentenza di Palermo grazie alla quale è andato assolto il ministro Salvini è un paradosso che spiega più cose di quanto potrebbe fare un intero corso universitario. Si tratta di una sentenza evidentemente dettata dalla ragion di Stato, che è il paradigma nascosto che ispira la condotta degli Stati accanto e contro il paradigma ufficiale e dichiarato del diritto. E che di questo si tratti è dimostrato dalla lunga gestazione della sentenza (una giornata intera in Camera di Consiglio) e dalla plateale motivazione secondo la quale "il fatto non sussiste", che è l'unica cosa invece assolutamente incontrovertibile: si può infatti dire che non sia un reato quel sequestro di persone, o che non si possa definire così quella omissione di atti d'ufficio, o che quelli fossero atti d'ufficio non dovuti, ma non si può dire che non sussista il fatto che a 147 naufraghi disperati sia stato impedito di toccare terra, di esercitare il diritto di chiedere asilo, di essere trattati e curati come esseri umani. È dunque una sentenza suicida, che nega se stessa, che sfugge ad ogni principio di realtà, e di cui gli stessi giudici sembrano dire che è impugnabile e riformabile da un'istanza superiore. Ma ciò non per caso, o per denegata giustizia. Al contrario appare che i giudici con tutto fondamento abbiano ritenuto di dover farsi carico di una ragion di Stato che, in presenza di un potere del tutto privo di una cultura di governo, di senso delle istituzioni, e incline a discorsi eversivi e vendicativi, esigeva di prevenire una crisi devastante dell'ordinamento repubblicano e dei rapporti tra gli organi dello Stato, che nemmeno il presidente della Repubblica avrebbe forse potuto risanare. L'arrogante preannuncio del ministro di non dimettersi e la solidarietà con l'imputato manifestatagli da poteri legittimi o prevaricatori interni e internazionali, rendevano molto plausibile tale pericolo. Ancora di più la millanteria del ministro Salvini di aver difeso i confini della Patria facendo strage di migranti inermi, rappresentava un oltraggio a quanti, militari e no, ad altissimi costi difendono le loro terre. Quanto alla ragion di Stato, è chiaro che un ente pubblico, compresa la magistratura, agisce pur sempre nell'ottica del perseguimento dell'interesse collettivo, ma è molto delicato maneggiarla. È la prima cosa che andrebbe rivisitata in una riforma dello Stato che abbandonasse la sua versione moderna fondata sull'assoluto della sovranità, sul diritto di guerra, sulla mitica difesa dei confini e sulla "competizione strategica" di ognuno contro tutti. Dalla ragion di Stato discendono i Servizi segreti, che solo quando affiorano dal buio del segreto sono chiamati "deviati"; suoi frutti sono i colpi di Stato, come in Cile o a Damasco, le false rivoluzioni come in Ucraina o in certe "primavere arabe", il sabotaggio delle infrastrutture, come i gasdotti nel mar Baltico, le irruzioni con i deltaplani a motore come a Gaza, gli omicidi mirati, come quelli a Teheran e a Dubai, o con i cercapersone come in Libano e in Siria, i prelevamenti forzati della Cia e le renditions, come quella di Abu Amar a Milano. Ma dove la ragion di Stato e i relativi Servizi danno il meglio di sé è nel tirannicidio, pratica celebrata e discussa perfino in diritto e in morale: la tesi soggiacente, come ricordato da Carl Schmitt, è che tyrannum licet adulari, tyrannum licet decipere, tyrannumm licet occidere: è lecito adulare il tiranno, è lecito ingannarlo, è lecito ucciderlo. Lecito o no, di certo è quello che in nome della ragion di Stato si fa nel benemerito Occidente, anche se non si tratta di tiranni, da Wael Zuaiter, il palestinese ucciso a Roma, a Kennedy, a Allende, a Moro, a Gheddafi, fino a Ismail Haniyeh, il capo Hamas, fino al generale russo Kirillov. In ogni caso, tutto si può sostenere, tranne che la ragion di Stato consista nel fare del Mediterraneo un cimitero, e delle navi di soccorso bare galleggianti.

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