“Vogliamo il disarmo. O sarà la fine del mondo”, testo dello scrittore – e partigiano – Carlo Cassola – dal Suo volume “Contro le armi” (1980), pagg. 168, Euro 15.70, Rogas editore - riportato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, domenica 8 di dicembre 2024: La gente s'illude che la Terza guerra mondiale non scoppierà. È questa "la grande illusione" in cui si culla, per riprendere il titolo di un celebre film di Renoir. Il film di Renoir rievocava la 'Prima guerra mondiale, a cui il nostro tempo è molto simile. Alla vigilia di quel catastrofico evento, gli europei erano sicuri che la guerra tra le Grandi potenze non ci sarebbe stata. Erano troppo comuni i benefici della civiltà per pensare a una guerra... un conflitto tra le nazioni era da escludere. Questa, purtroppo, era solo l'apparenza, captata da coloro che avevano sott'occhio la civiltà. La barbarie sotto sotto lavorava. Lavorava nelle caserme, nelle scuole e nella famiglia. In ogni ambiente veniva istillato il veleno nazionalista: erano tacciati di antinazionalismo coloro che pretendevano di usare ancora il cervello, vale a dire i socialisti e gli anarchici. Rigide frontiere guardate da eserciti giganteschi si ergevano tra gli Stati. Davvero curiosa questa famiglia umana spezzettata in tante parti! Comunque, gli eserciti non sarebbero mai stati usati, predicavano i sapientoni. Allora che ci stavano a fare? Per spaventare il nemico e dissuaderlo dai propositi offensivi: non si era sempre usato così? La pace non aveva sempre riposato sull'equilibrio del terrore? Quarantatré anni di pace non dimostravano forse che la guerra era impossibile? Quarantatré anni di pace non dimostravano un bel niente, come non dimostrano un bel niente i trentacinque anni di pace di cui abbiamo beneficiato finora. Se ci voltiamo indietro, vediamo che l’equilibrio del terrore ha sempre portato alla guerra; e ci porterà anche questa volta, malgrado le Nazioni unite, le diplomazie, la distensione, i Salt e gli altri rimedi da quattro soldi. La prima conferenza internazionale per il disarmo generale (simultaneo e controllato) fu tenuta nel 1847: sono passati più di centrotrent'anni, e la soluzione del problema non ha fatto mezzo passo avanti. Ho sempre davanti agli occhi una vignetta di Daumier del 1868, che fotografa la situazione come meglio non si potrebbe: un militare francese e un militare prussiano fanno i complimenti davanti a una porta su chi debba passare per primo: "Passi prima lei"; "Ma le pare! Dopo di lei". Sulla porta è scritto: "Ufficio del Disarmo": ecco il perché di tutti quei complimenti. Naturalmente non passa nessuno e due anni dopo Francia e Prussia sono in guerra. La guerra si concluse nel 1871: da allora i maggiori Stati europei stettero in pace tra loro per 43 anni, e anche questo lungo periodo di pace precaria contribuì al formarsi di quella che abbiamo chiamato "la grande illusione". Eppure, anche la logica avrebbe dovuto parlar chiaro. Se il militarismo è considerato un bene, nessuno intende privarsene se non se ne priva il supposto nemico. Se invece il militarismo è considerato un male, si desidera distruggerlo prima di tutto a casa propria. Di qui la formula "disarmo unilaterale", che non ha niente di scandaloso ed è la sola corretta. Viviamo, purtroppo, nel periodo delle sovranità nazionali. Il che significa che ogni Paese è libero di prendere decisioni unilaterali. Che il nostro Paese usi bene la propria sovranità, compiendo il gesto più ragionevole e più rivoluzionario della storia, quello di disarmare. Sono italiano e conseguentemente posso far qualcosa solo in Italia. D'altra parte sono un patriota, mi auguro quindi che il mio Paese sia il primo a disfarsi del nazionalismo e del conseguente militarismo. Nazionalismo e patriottismo sono agli antipodi, anche psicologicamente. La cosa è tanto più vera oggi, nell'era atomica, in quanto la guerra, a cui conduce sempre il nazionalismo, ha un costo proibitivo. In che cosa il patriota differisce dal nazionalista? Mentre quest'ultimo se ne infischia del mondo, il patriota si sente prima di tutto cittadino del mondo. Vuole che il suo Paese si metta in mostra dando esempi di civiltà, non di barbarie. Noi disarmisti siamo accusati di essere sognatori fuori della realtà. Invece siamo i soli realisti. Gli altri, i sedicenti realisti, sono solo struzzi che hanno nascosto la testa sotto l'ala per non vedere le conseguenze scellerate della loro politica: l'imminente fine del mondo e l'attuale miseria del mondo. Siamo stati noi a rimettere quest'ultima questione coi piedi in terra. Non si risolve la questione sociale se non si elimina il peggiore ostacolo alla sua soluzione, vale a dire il militarismo. Come non si risolve nessun problema politico nazionale o internazionale se non si tiene presente che la fine del mondo è alle porte, e che il mondo non potrà sfuggire a questa triste fine, se non distrugge il militarismo.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
lunedì 9 dicembre 2024
Lastoriasiamonoi. 22 Carlo Cassola: «Non si risolve la questione sociale se non si elimina il peggiore ostacolo alla sua soluzione, vale a dire il militarismo».
Bube ricomparve un mese dopo. Era una
mattina che facevano il pane: Mara aveva aiutato la madre a infornare, poi era
tornata a casa. Ed ecco, davanti alla porta, con la sua solita aria indecisa,
c'era Bube. «Buongiorno» disse. E subito dopo domandò del padre. «È a Colle». Bube
fece un gesto di disappunto: «Avevo proprio bisogno di vederlo... Stasera
torna?». «Credo di si». «È che io non posso aspettare fino a stasera». E spiegò
che era venuto in motocicletta con un amico, il quale aveva proseguito: «Siamo
d'accordo che ripassa a prendermi dopo mangiato». Entrarono in casa. Bube
indossava lo stesso vestito blu dell'altra volta, però smacchiato e rassettato.
Aveva anche qualcosa di diverso, nella faccia, nell'espressione... «Perché si è
tagliato i baffi?». «Come? Ah, sì, è vero» e sorrise. «Erano un avanzo della
vita alla macchia» aggiunse poi. «Tutti, alla macchia, c'eravamo fatti crescere
i baffi... qualcuno anche la barba». «Lei sta meglio senza». «Eh» fece Bube,
incerto. Rimasero in silenzio. Poi Mara ebbe un'idea: «Vado a mettermi la
camicetta. Vedrà come mi sta bene.» «Che camicetta?». «Quella che mi son fatta
con la pezza che mi ha regalato.» E corse in camera. In un momento si levò il
vestito, indossò la gonna e la camicetta, e si legò i capelli con un nastro celeste.
Il giovane stava fumando. La guardò, ma non disse nulla. «Come mi sta?». «Bene»
rispose Bube, asciutto. Mara sedette su uno sgabello. Per l'appunto aveva anche
fame, ma le seccava mangiare in presenza di lui. Cos'era venuto a fare, se se
ne stava lì senza dire una parola? Cercò di avviare lei la conversazione: «A
casa... ha trovato tutti bene?». «Si» rispose Bube. «Mia madre, magari, non
tanto bene. È a causa di tutti gli spaventi che s'è presa. Quei vigliacchi
l'hanno tenuta in carcere un mese, perché non voleva dire dov'ero io». «E... la
sua fidanzata?» azzardò Mara. «Io non ce l'ho mica la fidanzata» rispose serio
il giovane. «Non sarà magari fidanzato in casa... una ragazza però ce l'avrà
anche lei. Tutti i giovanotti ce l'hanno». «Io... non ho avuto il tempo di
pensare a certe cose» rispose Bube. «L'anno scorso di questi tempi ero già alla
macchia». «Ma ora è un bel po' che è tornato a casa». «Si, ma cosa crede? Il
giorno lavoro, e la sera vado in sezione. Non ho mai un momento libero, nemmeno
la domenica». «Oggi però se l'è presa una giornata di libertà». «Be', oggi...
Era tanto che volevo venire a farle una visita» aggiunse improvvisamente. Si
spaventò delle proprie parole: «Intendo dire che, trattandosi della sorella di
Sante... Io non li dimentico, i compagni che sono morti» disse alzando il tono
di voce. «Non sono come tanti, che a queste cose non ci pensano nemmeno più». (…).
(Tratto da “La ragazza di Bube” di
Carlo Cassola, capitolo secondo, pagg. 20/21).
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