"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 5 dicembre 2024

MadeinItaly. 42 Tommaso Foti: «Con l’azione di governo del presidente Giorgia Meloni, la sinistra si rassegni, qui siamo, qui rimarremo. Qui stupiremo gli italiani».

                                Sopra. Tommaso Foti, pur detto "Masino".

CombriccoleAllegrediGoverno”. 1 In una bellissima intervista (…) la filosofa Silvia Federici parla di magia e reincanto a proposito del nostro tempo oscuro. Non solo. L'autrice di Calibano e la strega si sofferma sulla stregoneria capitalista: «Si parla di economia come si parla di un evento naturale, di un temporale, qualcosa che non si può controllare, un evento atmosferico di cui, al massimo, possiamo capire da dove tira il vento per sfruttarlo». L'intervista va letta tutta e meditata, e fa anche venire in mente che, almeno in Italia, siamo vittime di un altro genere di sortilegio: la stregoneria di Deyverson, dal nome del calciatore brasiliano che nel 2021 simulò una rovinosa caduta da contatto senza accorgersi che a toccarlo era stato l'arbitro. I ministri del governo Meloni si comportano esattamente allo stesso modo: quello dell'Istruzione, Giuseppe Valditara, si è conquistato parecchi articoli e trasmissioni per l'improvvido intervento sul patriarcato morto e gli stupratori "marginali" (…). Fatta la gaffe, si è gettato immediatamente a terra come Deyverson sostenendo che non solo non aveva detto quello che aveva detto, ma glissando su quanto aveva promesso e non realizzato: ovvero, il progetto "Educare alle relazioni", che a novembre 2023 annunciò dicendo: «È la prima volta che in Italia viene fatto un esperimento di questo genere, affrontando di petto il problema del maschilismo e della violenza psicologica». Di quel progetto sono rimasti: un obiettivo di apprendimento contro la violenza all'interno dell'insegnamento dell'educazione civica, un concorso per cortometraggi e, fiore all'occhiello, il ministero illuminato di rosso il 25 novembre. Sempre da terra, il ministro è riuscito anche a raccogliere solidarietà per la scritta «dimettiti» apparsa su un muro e subito definita vigliacca e irrispettosa da Salvini e Roccella. Nel frattempo, già che c'era, ha trovato il modo di rilasciare dichiarazioni sull'importanza «di assicurare il diritto dei ragazzi, a prescindere dal reddito, a studiare nelle scuole paritarie». Il riferimento era all'emendamento del deputato di FdI Lorenzo Malagola, poi ritirato, che prevedeva un voucher di 1.500 euro spendibile presso una scuola privata. Se fosse passato, si sarebbero utilizzati 65 milioni di euro, mentre sono 88 milioni quelli "risparmiati" in dieci anni per tagliare scuole, specie nelle aree interne e nelle periferie urbane. È vero, anche i villain piangono: lo ha fatto - visto che il ministro ama Star Wars - anche Anakin Skywalker quando ha sterminato i giovani Jedi ed è diventato Darth Vader. Però il gioco alla fine stufa. Ed è per questo che il ministro dovrebbe ogni tanto riflettere su quello che dice e fa, e magari pensare a quanto sarebbe stato efficace arrivare a quella presentazione con un libro fra le mani, che poi è la cosa preziosa di oggi. Un libro di poesie, addirittura: si intitola Prima tempesta, sottotitolo Non una donna di meno, non una morta di più. Lo ha pubblicato Sur nella traduzione di Concita De Gregorio, lo ha scritto Susana Chavez Castillo. Era una poetessa messicana: fu trovata morta a 37 anni, il 6 gennaio 2011, a Ciudad Juarez, la città da cui prende origine la parola femminicidio, perché vi sono state uccise centinaia di giovani donne, senza motivo, senza colpevoli. Pensi, ministro Valditara, quanto sarebbe stato più nobile recitare un suo verso, invece di... (Tratto da “Valditara e la stregoneria di Deyverson” pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 20 di novembre 2024).

CombriccoleAllegrediGoverno”. 2 “Masino, la zazzeretta bianca sale al governo. A colpi di apericena” di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, 4 di dicembre 2024: Dunque il nuovo ministro della nidiata Meloni si chiama Tommaso Foti, detto Masino. Viene dall’ultimo apericena a casa Meloni (andato di traverso a Tajani e Salvini) e meno recentemente dalla fiamma tricolore di Piacenza. Fino a ieri l’altro era il capogruppo dei Fratelli d’Italia alla Camera. L’avete visto di sicuro in tv, di solito dopo il Meteo e un po’ prima dei Tarallucci del Mulino Bianco. Compare quando il cuoco del Tg1 versa il pastone politico nelle gamelle degli italiani. Come il destino, il nuovo ministro viene da lontano non solo per la sua storia di militante del Movimento sociale di Giorgio Almirante, in pieni anni 70, al tempo di “fascisti carogne, tornate nelle fogne”. Ma anche per l’inquadratura che ogni sera lo incorona. Eccolo laggiù, sullo sfondo di Montecitorio. Caracolla con zazzeretta bianca, occhiali acquamarina, il passo lento da pedone di provincia, la erre moscia che gli rotola in bocca mentre recita la sua automatica dichiarazione d’amore e militanza con la quale si guadagna lo stipendio da una quarantina d’anni e che da ottobre 2022, ogni sera, comincia con l’inchino al capo dei capi: “Come ha detto giustamente il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, l’occupazione è la più alta di sempre dai tempi di Garibaldi”. Bravo, bravissimo. Oppure: “Grazie al presidente Giorgia Meloni l’Italia ha il ruolo che si merita nel mondo, mentre prima…”. Giusto, giustissimo. Poiché qualunque cosa accada sul pianeta Terra, guerre, terremoti, alluvioni e persino l’apocalisse del Festival di Sanremo che si addensa, Foti Tommaso c’è e ringrazia. Sempre. Compare tra le fioriere della piazza, dove passa le giornate in attesa delle telecamere. Si avvicina, respira, si alliscia la cravatta turchese, parla: “Con l’azione di governo del presidente Giorgia Meloni, la sinistra si rassegni, qui siamo, qui rimarremo. Qui stupiremo gli italiani”. D’abitudine gli sboccia accanto, in giubba di pelle, una sorridente Augusta Montaruli, sua vice in Aula e sua fedelissima anche nella disgrazia di qualche traversia giudiziaria patita per colpa delle toghe rosse. Lui prosciolto dall’accusa di corruzione e dalle offese di un imprenditore piacentino che malamente lo apostrofò in una intercettazione telefonica: “Foti è un ladrone!”. Acqua passata. Lei, al contrario, condannata in via definitiva per peculato quando sedeva sui banchi imbottiti della Regione Piemonte, 25 mila euro di finanziamento pubblico contestati, una cinquantina dei quali ben spesi in libri piccanti, gli altri 24 mila e rotti sciupati in cene e profumi. Foti, che è imperturbabile d’aspetto, fumantino di carattere, retorico di eloquio, eredita il dicastero e il malloppo Pnrr dal vivace Raffaele Fitto, spedito da Giorgia a Bruxelles con sprezzo del pericolo, viste le turbolenze con le quali è stato accolto nel nuovo organigramma Ursula-2 in una Unione europea mai così smandrappata e sbilanciata a destra, con raffica di bombe e guerre appena dietro l’angolo e i cingoli di Donald Trump in avvicinamento. Il neo ministro che dal suo Nord dovrà occuparsi anche delle politiche del Sud, sale al soglio con il viatico del presidente Mattarella, che subito dopo il giuramento e forse per scaramanzia, gli ha detto: “Ha un bel compito!”. Con il contorno colorato di faccine di Giorgia rivolte a lui e al presidente: “Eh, lo sa, lo sa!”, mentre anche lei incrociava le dita. In politica Tommaso Foti è un diesel. Lavora sulla distanza e non ha mai fatto altro, nonostante l’azienda agricola di famiglia creata dal padre. È nato a Piacenza il 28 aprile del 1960, mosca nera in piena Emilia rossa. Scostante e isolato a scuola, con quotidiani patimenti al liceo scientifico Respighi, si iscrive a 16 anni al Fronte della gioventù, “la mia prima palestra di confronto e di scontro politico”. Cresce con due altre passioni, una consueta, l’Inter, l’altra un po’ meno: “Attaccare i manifesti ai muri”. A vent’anni entra in consiglio comunale e ci rimarrà per sei mandati, fino al 2005. Tre volte di seguito viene trombato alle elezioni regionali e nazionali, sempre il primo dei non eletti. Nel frattempo si sposa e ha una figlia. Entra alla Camera dei deputati nel 1996, subito dopo la svolta di Fiuggi. Fedelissimo di Gianfranco Fini in Alleanza nazionale. Fedelissimo del “grande statista Silvio Berlusconi” tormentato dagli “odiatori di sinistra”. Si autocelebra in una imperdibile autobiografia, titolo stentoreo: Ha chiesto di parlare. Ne ha facoltà, prefazione di Gustavo Selva, che ai tempi suoi masticava le zecche rosse in Radio Rai e contributi di vari camerati che di Masino testimoniano la “poderosa attività parlamentare” e comunale dove è “indomito protagonista”. Segue la cronaca delle sue battaglie e dei suoi pregi, “competente”, “determinato”, “coraggioso”, con l’ammissione di un solo difetto che ha il fegato di confessare: “La mia impulsività e certe battute all’acido nitrico”, che nientemeno sarebbe l’acido impiegato per la fabbricazione dei fertilizzanti, ma specialmente degli esplosivi. Dopo il disastro dell’ultimo governo Berlusconi, anno 2012, l’unità di An si rompe, nasce Fratelli d’Italia in opposizione alla scelta del Popolo delle libertà di appoggiare la nascita del governo tecnico di Mario Monti “con i comunisti sinistrati”. Da quel momento entra nella scia di Giorgia Meloni e Ignazio La Russa, guadagnandosi tutti i gradi della lunga marcia. Il giorno dell’insediamento del governo, si commuove e recita: “Mi consenta questa confidenza, presidente, anche lei da ragazza della Garbatella può diventare presidente del Consiglio con la destra!” Applausi. Per poi spiccare il volo: “La destra è coraggio o non è; la destra è Patria o non è”. Bravo, bravissimo: a noi! Anche lui, dopo anni di persecuzioni e isolamento sulle ruvide trapunte parlamentari, finalmente si sente in sintonia con il Paese, “l’interesse nazionale è nelle nostre corde, nelle nostre vene”, e finalmente anche con la reietta Rai “dove si respira aria di pluralismo e cambiamento”. È pronto. È in marcia. Non più tra le fioriere di piazza Montecitorio, ma direttamente verso l’alto compito che lo aspetta. E che commuovendosi ha prefigurato tra gli applausi della Camera: “Ritti sulla cima del mondo noi scaliamo ancora una volta la nostra sfida alle stelle”, che è una delle tante stupidaggini vergate cent’anni fa da Marinetti, il supremo futurista. Da oggi per intero il programma di Foti, nitrico ministro.

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