A 81 anni padre Kizito Sesana, africano di origine lecchese, missionario in Africa per l'intera sua vita adulta, ha fatto un altro viaggio sui Monti Nuba del Sudan. Si tratta di una regione remota, isolata, impervia. Isole di roccia su una sterminata pianura semiarida, da millenni rifugio di genti in fuga, avaro luogo d'asilo dove la vita è durissima, ma forse possibile quando altrove è negata. Oggi è di nuovo così. La guerra per bande che da venti mesi infuria attraverso il Sudan ha causato la morte di decine di migliaia e l'esodo di milioni: alcuni oltre i confini, altri sfollati all'interno del Paese. Un milione, ha scritto padre Kizito sul suo blog, ha cercato la salvezza salendo su queste montagne dove non c'è niente da mangiare. Dividendo questo nulla con due milioni di Nuba che le abitano e sopravvivono di stenti. «Un milione di rifugiati per due milioni di abitanti è un rapporto spaventoso, inverosimile», ho scritto a padre Kizito. In risposta, mi è arrivata la foto di un rapporto dell'agenzia sudanese degli aiuti. Un foglio Excel su carta intestata, con due timbri e tre firme in calce, datato 15 novembre 2024. Dati raccolti con metodologie codificate dalle organizzazioni internazionali. Cifre suddivise in 14 righe, quante sono le contee della Nuba Mountains Region. E sette colonne di numeri: nuclei familiari, maschi, femmine, bambini sotto i cinque anni, bambini sopra i cinque anni, madri che allattano, individui. Nell'ultima casella in basso a destra c'è il totale: 998.022 persone. Sui Monti Nuba non arriva un sacco di riso, un pacco di biscotti, una scatola di latte in polvere. È stagione di magro raccolto, i Nuba offrono un pugno di sorgo, un mazzetto di verdura, scrive padre Kizito. Poveri che aiutano poveri, qui da noi nessuno ne sa niente. (Tratto da “Padre Kizito e la lista della vita” di Pietro Veronese, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 20 di dicembre 2024).
“Un genovese generosissimo”, testo di Malcom Pagani pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 14 di dicembre 2024:(…). Quando in un vecchio film degli anni 70 Zeudi Araya domanda a Paolo Villaggio cosa sia davvero il Natale, il grande bugiardo per una volta dice la verità: «È una festa inventata dall'associazione commercianti». Villaggio, smentendo ogni luogo comune sulle origini che ci marchiano, era genovese e generosissimo. Non avendo alcun senso del denaro ne guadagnava molto e lo spendeva tutto per rendere felici gli altri. Lo pungeva vaghezza di un'improvvisa vacanza al caldo? Affittava un volo per venti amici e senza permettere loro di offrire neanche un caffè si metteva in viaggio dimenticando ogni preoccupazione sul conto in banca. Me lo ricordo già vecchio, fendere il quartiere in tunica a bordo di una bicicletta. Me lo ricordo serissimo e spiritoso, feroce, malinconico e disilluso, caustico e del tutto disinteressato al giudizio altrui. Me lo ricordo pigro e nottambulo. Loquace e tagliente. Provocare era una maniera di mettersi davanti allo specchio. Provocare rappresentava un test per valutare l'umorismo di chi aveva di fronte. Se i paradossi venivano interpretati alla lettera, Villaggio si incupiva. La corazza del conformismo, l'obbligo di mostrarsi adulti e la razionalità ostentata come virtù erano pericoli che lo mettevano in allarme. Era nato a fine dicembre, quando i bilanci e le aspettative creano la tempesta perfetta. Era nato a fine dicembre quando una celebrazione dà il cambio a un'altra e tutto appare un po' meccanico e un po' forzato. Era nato a fine dicembre ed era stato bambino anche lui, con i bombardamenti sulla testa, la guerra nell'aria e la tessera del pane. Poi era cresciuto e in un'epoca talmente diversa da far smarrire ogni senso al paragone, si era messo in marcia per restare, secondo Roberto Benigni, il bambino che era. «Spietato, rivoluzionario e liberatorio» perché i bambini si chiedono di rado quale sia il limite e con la patente dell'età possono osare ciò che gli adulti provano soltanto a rimpiangere. Dario Brunori, cantante, uno che se si fossero allineati gli astri e le generazioni, di Villaggio avrebbe potuto essere amico, confessore e compagno di lazzi sulle navi da crociera, sul Natale ha sempre avuto le idee chiare: «Perché spesso a Natale mi viene il magone. Con le luci, il presepe e tutte quelle persone. Con i pacchi dei regali, con le facce tutte uguali. Col boccone sempre in bocca come un branco di maiali». O ancora: «Quest'anno a Natale volevo morire. Poi ho visto l'orario e sono andato a dormire. Ho spento la luce e la stella cometa, "Finite le feste mi metterò a dieta"». A volte, nella sua fame vitale, lo faceva anche Paolo Villaggio. Passava dall'assalto notturno al frigorifero, all'ascesi. Per poi ricominciare. Per i regali aveva sincero orrore, a meno che non fosse lui a farli. Qualcuno avrebbe detto che si trattava di protagonismo, altri di tacito egoismo. Sono entrambe ipotesi da escludere. Il dono aveva senso perché era un'estensione del suo desiderio di condividere. «Non fate mai regali inutili», diceva. Senza spiegare ciò che riteneva utile perché il dubbio, anche senza confezione, è l'unico vero regalo che si concedeva.
"Buone feste"
Nessun commento:
Posta un commento