Valentino Zeichen, poeta, del Natale amava solo il silenzio. Partiva dalla sua baracca a cinquecento metri da Piazza del Popolo e attraversava il centro storico dando forma a una delle sue massime: «Non basta mai il tempo/per non fare niente». Nei giorni di Natale, trascinandosi pigramente in città spettrali che mostrano luminarie, festoni e vite da immaginare oltre le finestre, si può oziare davvero e soprattutto ricordare quando le feste erano precedute e seguite dal silenzio delle grandi attese. Scrivevamo lettere speranzose, immaginavamo che sarebbero arrivate dalle parti del Circolo Polare e la sera del 24, in un'orgia di accumulazione che avremmo imparato a trasformare in religione, pregavamo che sotto l'albero ci fosse davvero il nostro desiderio. (…). (Tratto da “Un genovese generosissimo” di Malcom Pagani pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 14 di dicembre 2024).
“PensieriniInutiliperNatale”. “Tutte le crisi sono uguali?”, testo di Elena Stancanelli pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 14 di dicembre 2024: Guardando le vetrine dei negozi, le serie Tv e l'andamento della curva di consenso sui social, è facile notare che due prodotti stanno andando molto peggio del solito: il Natale e l'amore romantico. Per varie ragioni ma una in particolare: la crisi. Sì, ma quale crisi? (…). La crisi è endemica e eterna, la crisi siamo noi con la nostra incapacità di affrontare qualsiasi cosa, la crisi è il vuoto necessario a tenere insieme l’occidente. La crisi è un'araba fenice, che muore e rinasce a ogni generazione, o forse la nostra crisi è la coda di quella stessa crisi di cui gridava Eleonora Danco (attrice, regista e scrittrice n.d.r.) una ventina d'anni fa? E queste crisi sono tutte uguali, tutte di uguale intensità? La mia crisi è più grossa della tua, più larga, più lunga, più profonda pensa ogni essere umano. La mia crisi è il global warming, dico io, tra qualche giorno finiremo tutti come l'orso polare secco secco alla deriva su un pezzettino di ghiaccio. Sì, ma quella di mia nonna era la guerra e certi giorni bollivano le suole delle scarpe pur di mettere qualcosa sotto i denti. Sì, ma la mia ha gli stipendi più bassi d'Europa e i b&b che hanno occupato tutti i palazzi facendo esplodere gli affitti. E allora la mia, dicono i nostri genitori, che la gente si sparava per strada e le cose esplodevano davvero, tipo le stazioni dei treni, o le hall delle banche? Ma la mia è definitiva, insisto io, perché davanti non c'è un'altra crisi ma l'estinzione della razza umana. Per carità, le inondazioni e la siccità sono brutte ma anche il pensiero che la bomba atomica potevano sganciarla in testa a te, dopo averla sganciata su due città a caso in Giappone, non era tanto rassicurante. Tutte le crisi sono uguali, ma alcune crisi sono più uguali delle altre. La nostra forse non sarà la peggiore, forse non sarà l'ultima prima dell'estinzione, ma è quella della quale ci sentiamo più responsabili. Per aver consumato senza pensare alle conseguenze, per essere quintuplicati in pochi anni, per non aver avuto abbastanza immaginazione da capire che la plastica una volta creata andava anche smaltita e non buttata in mare.
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