“Inutile aspettare Che Guevara, salvatevi da soli”, testo di Ray Banhoff pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 27 di agosto ultimo: Lasciate ogni speranza, o voi precari! Solo così forse continuerete a svilupparvi come una super specie quale ormai siete. Dimenticati dalla politica, perennemente in crisi, tra di voi regna la legge della Natura Matrigna: sopravvive solo il più forte. L'Italia è la Sparta della vostra stirpe, la giungla biologico-economica in cui vi siete evoluti e siete sopravvissuti. Il mercato ha bisogno di voi, la sacra economia italiana vi sfrutta, ormai anche nel settore pubblico siete in abbondanza, quindi scordatevi di mutare la vostra condizione sociale. Precari siete e precari rimarrete in un sistema di caste che vi vuole schiavi moderni. Non abbastanza schiavi da non avere il cibo, diciamo piuttosto il giusto refill monetario mensile per permettervi di pagare l'affitto, le tasse e le bollette. Le uscite, la vita sociale avete già imparato a ridurle al minimo, accampando scuse per evitare l'imbarazzo di non poter pagare il conto. Tranquilli, potrete vedere le partite (se proprio non avete i soldi per gli abbonamenti digitali, su qualche gruppo Telegram si trova ogni match in streaming pirata). Producete, consumate, crepate voi eroi moderni necessari al Capitale per perpetuarsi; voi vittime del Mercato, il culto più in voga in questi anni senza dei. Siamo così evoluti ora che siamo quasi pagani, così emancipati che non ci fa mica troppo dispiacere piegare milioni di esistenze a una vita di stenti. È il progresso, bellezze! Se sei povero è colpa tua; tu che vuoi il salario minimo o il reddito di cittadinanza, tu che non hai voglia di lavorare! Se da domani tutti i precari d'Italia incrociassero le braccia per una settimana, il Paese collasserebbe. Non funzionerebbe più niente, dalla scuola ai trasporti, passando per la consegna dei pacchi di Amazon, fino ai media. Ma non succede. C'abbiamo 'sta cosa per cui i nostri cugini francesi sono famosi per fare casino ogni volta che viene loro toccato un diritto. Noi no, poiché fare casino potrebbe significare anzitutto lo stigma sociale e la nomea di guastafeste con la conseguente minaccia del «non lavori più», letale per la nostra mentalità; ma, soprattutto, magari vi beccate il penale (o le botte) e tocca prendere un avvocato. Sapete quanto costa un avvocato? Lasciate perdere. Forse i precari non protestano più perché sono troppo impegnati in un processo evolutivo che li renderà gli esseri perfetti dell'austerità economica. Esseri in grado di vivere con le borse dell'acqua calda sotto il maglione in inverno per risparmiare sul riscaldamento di casa, gente che cambia gestore telefonico di continuo per la tariffa migliore, esperti nella rateizzazione per gli strumenti informatici che usano per lavorare. Sono troppo presi da questa continua necessità di sopravvivenza. Disabituati alla protesta, completamente scoraggiati dalla possibilità di un cambiamento, consapevoli che la politica deve occuparsi solo dei temi del giorno: il generale che scrive un libro in cui esprime i concetti che tutti i maggiori quotidiani di destra stampano da anni, la psicanalisi di Roberto Mancini che lascia la Nazionale, chi scopa chi nel mondo dei famosi. In attesa che arrivi una sorta di Che Guevara a salvarvi, voglio solo ricordare una cosa: nella storia i diritti si sono sempre e solo conquistati con la lotta, oggi grande assente forse da riabilitare.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
venerdì 1 settembre 2023
Capitalismoedemocrazia. 81 Angelo Flaccavento: «La moda incita alla pantomima, per cui apparire è già essere».
Ha scritto Angelo Flaccavento in “Posseggo, ergo sum” pubblicato sul
settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 19 di agosto 2023: (…).
Ebbene, signori miei: se lo avessimo dimenticato, la lotta di classe, nelle
sbrilluccicanti lande del fashion e del lusso, perdura. Impazza proprio, considerando
quanto plutocratico sia il vivere contemporaneo, a dispetto della apparente
democratizzazione di costumi e consumi, che è poi solo ingannevole apparenza
prodotta dai media e della socialità digitale. È una lotta di classe non
marxiana e nemmeno marxista, o forse sì. Di certo non la si combatte con furia
distruttiva in nome della sostituzione di leadership. Piuttosto, a suon di più
o meno riuscite emulazioni, in un movimento a cascata che parte dall'alto per
rotolare giù in fondo. Esibire dovizia è rappresentare potere, come ben sapeva
il Re Sole, non troppo dissimile da certi nouveaux riches di oggidì. L'accesso
al privilegio, dopotutto, è godimento personale, ma è ben più godurioso ed
effettivo se lo si mostra in maniera chiara, evidente, inequivocabile. Chi
brilla abbaglia, carico di ori, e chi è carico di ori tutto può comprare e
tutti dominare, generando ammirazione, emulazione e il più potente dei magneti:
invidia. In tempi di quiet luxury e nuovo understatement, però, la situazione
confonde. I ricchi li si vuole altamente visibili o under the radar, crapuloni
o dediti al penitenziagite. È pur vero che una sporta di tela in tutto simile a
quella blasonata dal prezzo infinitamente più alto è roba da simulatori
parvenu, almeno quanto è vero che non sono di meno i parvenu simulatori che la
borsa firmatissima se la possono effettivamente permettere, e la esibiscono
come definitivo viatico di ottimo posizionamento sulla scala sociale, raggiunto
magari solo stamattina, o un secolo fa. Se nel primo caso lo stigma della
classe bassa - sempre che di stigma si tratti - è goffamente evidente, nel
secondo è platealmente cancellato, con tutto quel che ne consegue nel teatrino
del vivere sociale. Come che sia, la moda incita alla pantomima, per cui apparire
è già essere, ma la verità è che non sono un paio di friulane o una Birkin a
regalare un certo chic e un alto standing, ma qualcosa di non acquistabile,
insieme di altamente volatile e più profondo, con il quale il census, siamo
chiari, non c'entra. Eppure, possedere oggetti belli o costosi è facile, ed è
anche il solo orizzonte possibile nel gioco della pura visibilità, quindi siamo
punto e a capo. A meno di non spostare tutto su un altro piano e affrontare la
pratica del vestire come una espressione più personale e viscerale. Ovvero,
come outsider, che è in realtà solo un modo differente di affermare status. E
la lotta di classe continua, ad infinitum. Vostro Maramao
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