Scrivevo su questo “blog” il venerdì 22 di giugno
dell’anno 2012 nel post che ha per titolo «Il “compagno” Giorgio e quelli venuti dal “piccì”»: “C’è una cosa, che mi è stata cara assai,
che mi accomuna a Giorgio Napolitano: la militanza politica. Della quale il
grande Giorgio ne ha fatto un impegno pieno di vita. Per me essa, la militanza
politica, è rimasta un impegno di cittadinanza responsabile, coltivata nel
tempo residuo che il mio duro lavoro dell’educare mi ha consentito. Ambedue
veniamo da quello che fu il Partito Comunista Italiano, quello di Antonio
Gramsci per intenderci, di Giorgio Amendola, che pur veniva da una grande
famiglia di democratici liberali, di Umberto Terracini, il confinato politico,
di Luigi Longo, di Palmiro Togliatti, del tanto amato e compianto Enrico
Berlinguer e dei tantissimi altri che, con passione ed impegno civile, hanno
reso quel Partito, che non c’è più, il più forte dei Partiti Comunisti
dell’Occidente. Ambedue veniamo dal Partito che fu della “via italiana al
socialismo”, che ha rappresentato il momento magico e tragico di rottura con
l’egemonismo, a volte spietato, del comunismo sovietico. Ambedue siamo rimasti
tramortiti per i fatti repressivi che quel comunismo ha consumato nell’Europa
ed altrove nel mondo. È questa condivisione di militanza e di ideali che mi
hanno reso tanto caro Giorgio Napolitano e per il quale ho esultato, come non
sono solito fare, al momento della Sua elezione, del grande “compagno” Giorgio,
al Quirinale. Ma tutto ciò non ha fatto da velo alle stridenti contraddizioni
che ho potuto verificare nell’impegno pubblico del Presidente. Ne ho fatto
menzione su questo blog – che è un “b-log della cittadinanza e dell’impegno,
del leggere e dell’educare e di altro ancora di varia umanità” – (…). Poiché ci
sono state due circostanze, almeno, che mi hanno fatto avvertire una
insospettata “lontananza” tra me ed il grande “compagno” Giorgio, divenuto nel
frattempo il Presidente, una insospettata “lontananza” tra due militanti che
sono venuti dallo stesso grande Partito. Una “lontananza” scavata come un solco
profondo nelle nostre vite dalla comune storia di cittadini di questo
disastrato paese. E sì che la vocazione e la formazione laica, assorbita
abbondantemente con un lungo e faticoso esercizio, nella lunga militanza
partitica, non ha concesso, e non concede - ancor’oggi? -, licenze e facili
lasciapassare. Per la quale – una “rigidità ideologica” secondo alcuni - la
“mitizzazione” dei fatti della Storia e dei suoi principali protagonisti –
avendo in uggia il mito dell’uomo della provvidenza che sia - trova sempre un
confine netto ed invalicabile che non consente idolatrizzazioni di sorta delle
persone, dei fatti o delle cose. Per la qual cosa il “compagno” Giorgio,
divenuto il Presidente, è rimasto agli occhi del “compagno” di partito persona
tra le tante investita di grandissime responsabilità politico-istituzionali.
Tanto basta. Ma è potuto accadere che il Presidente abbia risposto piccato ad
un cittadino che, nel corso di una pubblica manifestazione – in Puglia? a Bari?
– lo abbia tirato per la giacchetta per aver promulgato un decreto-legge,
nell’era berlusconiana, che nel Paese aveva suscitato tantissima preoccupazione
e mobilitazioni molto partecipate. In quella occasione il Presidente ebbe a
dire, al sospettoso cittadino, che qualora non avesse firmato e promulgato quel
famigerato decreto-legge ne sarebbe stato costretto, per come stabilito nella
Carta, a seguito di una seconda presentazione del medesimo in altre forme.
Mancò in quella occasione il rendere pubblico, da parte del Presidente, e
“politicamente” manifesto, un disaccordo di natura politico-istituzionale che
andasse in sintonia con l’opinione pubblica più avvertita. Non avvenne. Ancor
più preoccupante fu una esternazione del Presidente in occasione di iniziative
partitiche, personali o familiari, durante le quali si è ricordata la figura –
controversa assai – di Bettino Craxi. In quell’occasione il Presidente ebbe a
dire che la giustizia del bel paese era stata molto “severa” con la vicenda
umana e politica – “tangentopoli” e “mani pulite” – dell’uomo, del suo partito
e di tutta la “casta” politica del tempo. Incredibile! Poiché, con le stesse
leggi del Parlamento sovrano, che condannarono in via definitiva quell’uomo,
nel tempo erano stati giudicati e condannati migliaia e migliaia di altri
semplici cittadini italiani incorsi nelle stesse malefatte, e nessuno di essi
ha potuto giovarsi dell’incredibile pensiero a difesa del Presidente. Eppure è
stato. (…)”.
“Il
Peggiorista”, testo Marco Travaglio pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di
ieri, domenica 24 di settembre 2023: (…), …Napolitano di talento ne aveva da
vendere. Fascista fino alla Liberazione e poi comunista, nel 1956 esalta
l’Armata Rossa che soffoca nel sangue la rivolta di Budapest, anzi libera
l’Ungheria dal “caos” e dalla “controrivoluzione” e “salva la pace nel mondo”.
Plaude al Pcus che esilia Solzenicyn. Partecipa all’espulsione dei dissidenti
del manifesto, critici sull’invasione della Cecoslovacchia. Poi diventa il
“comunista preferito” di Kissinger, ma anche della Fininvest. Capo della destra
Pci (i “miglioristi”, detti “piglioristi” per le loro arti prensili), fa la
guerra a Berlinguer che osa porre la “questione morale” e chiamare Craxi col
suo nome: “gangster”. Nel ‘92, quando i gangster finiscono sotto inchiesta, è
presidente della Camera e legge in aula la lettera del socialista Moroni,
suicidatosi perché coinvolto in Tangentopoli, fiancheggiando l’assalto degli
impuniti a Mani Pulite. Nel 2006, dopo un passaggio al Viminale sanza infamia e
sanza lode, diventa presidente della Repubblica. E inizia a impicciarsi
dappertutto in barba alla Costituzione. Come racconterà il ministro Padoa
Schioppa, mette i bastoni fra le ruote al Prodi 2 in nome della prima missione
della sua presidenza: le larghe intese con B. (il leader Pd Veltroni gli va
dietro e si brucia subito). La seconda è l’attacco a tutti i magistrati che
indagano sul potere: Woodcock, De Magistris, Robledo, Forleo e i pm di Palermo
che hanno scoperto la trattativa Stato-mafia, trascinati alla Consulta perché
intercettando Mancino si sono imbattuti nella sua sacra Voce. Moniti, pressioni
e sanzioni tramite il Csm, ringraziamenti ai procuratori che sterilizzano le
indagini scomode (come Bruti Liberati sul caso Expo) e interventi a gamba tesa
contro chi non lo farebbe mai (come quello che blocca il Csm perché non nomini
Lo Forte a Palermo). Al terzo governo B. la dà sempre vinta, firmando tutte le
leggi vergogna (tranne il decreto Englaro). E quando il Caimano ne fa una
giusta opponendosi all’attacco Nato in Libia, lo costringe a intrupparsi. Lo
salva pure dalla sfiducia dei finiani, rinviandola di due mesi e dandogli tempo
di comprare i “responsabili”. Lo scaricherà solo quando lo farà l’establishment
nazionale e internazionale. Intanto scava trincee contro i 5Stelle che
minacciano l’Ancien Régime di cui è santo patrono e imbalsamatore. “Boom dei
5Stelle? Non vedo nessun boom”, esclama stizzito ai loro primi successi. Va
bene ‘sta democrazia; ma, se il popolo non obbedisce, si abolisce il popolo. Nel
2011 B. si arrende allo spread e agli scandali e lui, per scongiurare le
elezioni, architetta il governo tecnico di Monti, che fa pagare la crisi ai più
deboli. Crede di aver salvato l’establishment, invece nel 2013 il M5S balza da
zero al 25,5%, alla pari col Pd di Bersani, che prima di Monti aveva la
vittoria in tasca. Napolitano dà il meglio di sé: dopo aver giurato per mesi
che mai si farà rieleggere, briga per il bis per sbarrare la strada a Rodotà,
candidato di Grillo, Vendola e base dem (occupy Pd di Schlein) e a Prodi
(impallinato dai franchi tiratori che, per sua maggior gloria, uccidono pure
Bersani): due presidenti che rispetterebbero gli elettori benedicendo un
governo di cambiamento M5S-Pd-Sel. Incontra B. per garantirsene l’appoggio, si
fa rieleggere da Pd, FI e Centro e crea in laboratorio il governo Letta con i
partiti che han perso le elezioni per tener fuori chi le ha vinte. Un altro
golpe bianco, ma pure miope: all’opposizione ci sono M5S, Lega e FdI: i partiti
che vinceranno le elezioni dal 2018 al 2022. Mentre i giudici di Palermo
distruggono le sue intercettazioni, lui commissaria le Camere con un discorso
della corona mai visto prima in una Repubblica parlamentare: la sua presidenza
bis sarà a tempo (ma la Costituzione parla di 7 anni) e “a condizione” (che i
partiti che l’han rieletto formino il governo e riformino la Costituzione che
ha giurato di difendere per ben due volte). Però il diavolo fa le pentole, ma
non i coperchi: dopo tre mesi B. viene condannato in Cassazione e deve lasciare
il Parlamento per la Severino. Lui gli dà pubblicamente le istruzioni per
ottenere una grazia incostituzionale, che gli promette in segreto se lascerà il
Senato prima di venirne cacciato: tutto purché FI tenga in piedi Letta. Ma FI se
ne va col suo leader pregiudicato: altri intrighi per far nascere il Ncd coi
cinque ministri forzisti imbullonati alla poltrona. Letta comunque va a casa
nel febbraio 2014, cacciato da Renzi che ha vinto le primarie Pd all’insegna
della “rottamazione”. Napolitano cambia cavallo e provvede subito a formattare
il Rignanese per la restaurazione. Dalla lista dei ministri, piena di
impresentabili, depenna l’unico buono: Gratteri (non sia mai che faccia
funzionare la Giustizia). E impone a Renzi la sua vera fissazione: la riforma
costituzionale per verticalizzare vieppiù il potere, come chiedono i poteri
finanziari italiani e internazionali. Renzi esegue e ci rimane stecchito,
entrando di diritto nel Comitato Vittime di Napolitano insieme a Prodi,
Veltroni, Letta, Bersani, Fini e Monti. Re Giorgio si dimette nel 2015, giusto
in tempo per perdersi i boom dei 5Stelle alle Comunali del 2016 a Roma e Torino
e alle Politiche del 2018. Con tutto quello che ha fatto per loro.
P.S. Per leggere l’intero post «Il “compagno” Giorgio e quelli venuti dal “piccì”» è necessario digitare Storiedallitalia 16 sulla sezione – a sinistra in alto della schermata - “cerca nel blog” e cliccare.
Riporto il commento sulla “vicenda Napolitano” della lettrice C.N. pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri – «Napolitano. È stato complice di B.: le lodi post-mortem sono ipocrite”» -, martedì 26 di settembre 2023: Caro "Fatto", quando la morte funge da sanatoria delle azioni compiute in vita dal decuius, siamo di fronte a casi di amnesia collettiva oppure è banale ipocrisia? Visto che l'informazione (escluso pochissimi casi) ci dispensa lodi sperticate a reti unificate, è doveroso ricordare come Giorgio Napolitano ha ricoperto la più alta carica dello Stato. Che non avrebbe onorato il ruolo per cui era stato eletto è stato chiaro fin dagli esordi del primo settennato, quando paragonò la Carta a una signora di 60 anni che, per mantenere la propria bellezza, ha bisogno di ritocchi di chirurgia estetica. Non solo Napolitano non è mai stato il supremo garante della Costituzione, così come prevede la Costituzione, ma ne ha costantemente sollecitato la modifica. Nel suo mandato ha inteso rappresentare l'unità nazionale, essere equidistante tra due poli, mediare. E lo ha fatto sapendo che uno dei due poli era completamente fuori dalla Costituzione e perseguiva le finalità del proprio capo, B., abbandonando ogni elementare regola democratica, fuori dallo Stato di diritto e dentro lo Stato clientelare. La gravità di quello che stava succedendo nel Paese, con lo stravolgimento di fatto della Costituzione, avrebbe richiesto un presidente della Repubblica inflessibile, come era stato Scalfaro, non un complice, uno che riusciva a indignarsi solo per il "vergognoso spettacolo" offerto dalle procure di Catanzaro e Salerno, da lui messe sullo stesso piano con lo scopo di intimidire i magistrati che facevano il proprio dovere come De Magistris e Nuzzi. D'altronde era difficile aspettarsi un comportamento diverso da parte di colui che aveva cercato di impedire l'accertamento della verità sulla trattativa Stato-mafia, interferendo nel lavoro della Procura di Palermo, su richiesta di uno degli indagati, e infine richiedendo la distruzione delle intercettazioni. Non stupisce quindi anche il rifiuto di nominare Gratteri ministro della Giustizia del governo giusto non poteva essere contemplato da chi non ha mai tutelato l'equilibrio dei poteri dello Stato né viene ricordato un suo monito in tal senso. Si ricorda invece la sua firma su tutte le peggiori leggi, senza fare un plissè. Anche nella messa a punto del governo di emergenza presieduto da Mario Monti, Napolitano ha fatto ben più che cercare in Parlamento diverse possibili maggioranze, ne è stato lo sponsor e ha continuato a essere il suggeritore di governo e il cementatore di un'alleanza che ha tradito il voto dei cittadini, così come col governo Letta nel 2013. È una strana coincidenza che i due maggiori responsabili della decadenza democratica dell'ultimo ventennio scompaiano nello stesso anno, pur avendo età, storie e responsabilità diverse. Mentre Berlusconi è stato palesemente uomo di parte in quanto leader di una forza politica, portatore in primis dei propri interessi, la responsabilità di Napolitano è maggiore in quanto eletto per rappresentare la Nazione, essere organo di garanzia, ruolo a cui è venuto meno. Insieme, anche se in modo diverso, hanno contribuito a sfasciare l’Italia e la sua struttura istituzionale.
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