“Cosemiserevolid’Italia”. «Quel
verso Mio fratello è figlio unico perché non ha mai criticato un film senza
prima vederlo la diceva lunga, già mezzo secolo fa, sull'italico vizio di
pronunciarsi su quel che non si conosce. Quando non addirittura su quello di
cui non ci si intende: come se io fossi nella giuria di Miss Maglietta Bagnata,
per capirci. Ma il ministro della Cultura che prende l'impegno di leggere libri
che dovrebbe aver letto, in quanto anche da lui votati, è più di una semplice
gaffe: è pura commedia dell'arte. È una one-liner da stand up comedian. È una
boccata d'ossigeno per i content creator sforna-meme. È una clamorosa
minchiata, suvvia. Oppure dobbiamo pensare che, allo Strega, il liquore scorra
a fiumi anche prima della proclamazione del vincitore. Una sfigatissima topica,
insomma, che, per restare in tema letterario, sembra ispirata al celebre
romanzo di Goethe, L'Infaust. Qualcuno potrebbe replicare che tutto è nato da
un increscioso travisamento subito chiarito da Sangiuliano, come si evince dal
video dell'intervista. Ma noi non siamo mica figli unici: noi quel video
l'abbiamo criticato "senza prima vederlo"». (“Sangiuliano
da stand up comedian” di Dario Vergassola pubblicato sul settimanale “il
Venerdì di Repubblica” del 21 di luglio 2023).
«La sfrenata ambizione
del Dottor Sottile, finito a sparare “verità”» di
Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, sabato 9 di settembre
2023: Esaurito il suo novantanovesimo incarico, con emolumenti da devolvere
in conclamata beneficenza, il telefono di Giuliano Amato, anni 85, dormiva
della grossa. Per rianimarlo, il titolare, ebbe un’idea: mettere sul carrello
delle chiacchiere uno dei fatti più tragici, misteriosi e controversi della
nostra storia recente, le 81 vittime civili sbriciolate nei cieli di Ustica,
famiglie devastate da quarant’anni, commissioni di inchiesta senza verità,
processi senza colpevoli, bugie senza vergogna, guerra di ricatti, segreti e
omertà tra i militari di mezza Europa e tra gli spioni del mondo intero.
Ustica, dunque, 24 giugno 1980, Mar Tirreno. Facciamo un’intervista per dire
chi è stato, ma non troppo esplicita. Insinuiamo la colpevolezza di un missile
francese, ma senza esagerare. Ricordiamo che a dirlo fu Cossiga. Confondersi
con Craxi, scusate, è l’età. Prendersela con Macron e lo scandalo del suo
silenzio, non quello degli italiani, degli americani, degli inglesi, dei belgi
che volavano dalle parti del Dc-9. Non quello dell’Aeronautica militare che ha
fatto sparire i tracciati radar e i testimoni. Chiedete proprio a Macron. Poi
basta, s’è fatta l’ora di cena, buon appetito. E il giorno dopo godersi il
botto. Danzare sulla sinfonia delle cento telefonate a seguire. Lei dunque,
presidente, conosce la verità? Chi io? Magari, mi piacerebbe. È stato un
missile francese? Così mi è stato detto, ho solo riferito qualcosa di antico. Quel
che mi spinge “è il bisogno intrinseco della verità”. Confermo che non fu Craxi
a dirmelo. E neppure Cossiga. Forse l’ammiraglio Martini, il capo dei Servizi
segreti. Oppure Santovito, l’altra barba finta. Nessuno che gli chieda come mai
se così tanto gli pesa la strage, niente ne sa e malamente ricorda? A suo modo
l’ha spiegato: io c’ero, non c’ero, e se c’ero, studiavo. Sette cattedre,
authority, associazioni e comitati. È un luminare d’alta giurisprudenza il
nostro Giuliano Amato, nato a Torino nell’anno 1938 da famiglia piccolo
borghese. Uno che si è fatto da solo moltiplicando “ambizioni forsennate”
(Bruno Trentin dixit) “alle mie sole capacità” (Amato dixit). Collezionista di
sette cattedre universitarie, da Roma a New York, passando per Firenze e
Modena. Presidente o garante di altrettanti comitati, associazioni, authority,
come l’Antitrust in piena era berlusconiana. E ovunque sventoli la bandiera a
stelle e strisce, dall’Istituto Aspen, farina del sacco di Gianni De Michelis,
al Centro Studi Americani: tutta roba che coniuga studi strategici e interessi
militari, carriere di massima eleganza e segretissimi pasti caldi, lungo le
rotte non proprio pacifiste della Nato. Compresa la presidenza della Fondazione
ItalianiEuropei di Massimo D’Alema, transitato dall’eurocomunismo ortodosso, al
neoliberismo compassionevole in affari con la Colombia. Naturalmente presidente
dell’università che l’ha allevato, la Normale di Pisa. E della Enciclopedia
Treccani per chiara fama. Consulente di Mario Monti in Europa per l’Antitrust.
E insieme consigliere dei trust bancari di Unicredit e di Deutsche Bank. Senza
dimenticare i dieci anni di giudice della Corte costituzionale, scalata fin
sulla cima della piramide, dove sventola il pennacchio di presidente. Basta? Neanche
per sogno. Tutti gli orti della Repubblica hanno visto fiorire il suo schivo
sorriso elettorale, cinque legislature tra Camera e Senato, iniziate in sella
alla sinistra socialista, quella che definiva Craxi “un cravattaro”. Proseguite
in piena sottomissione al regnante Bettino e ai suoi magnifici governi anni 80,
con l’inflazione a due cifre e il debito pubblico che allegramente mandava i
conti dello Stato in malora. Quattro volte ministro. Due volte presidente del
Consiglio. La prima nel 1992, quando gli toccò svalutare del 20% la lira. E
prelevare, in una notte di luglio, gli spiccioli del 6 per mille sui conti
correnti degli italiani, per arginare lo sprofondo del debito, ignorare lo
scandalo a seguire, incolpare del misfatto notturno il suo ministro del Tesoro,
Giovanni Goria, che da morto non smentì. È roba sua il trucco legislativo
adottato dal governo Craxi, anno 1984, che consentì alle tv di Berlusconi di
continuare a trasmettere, quando la legge ancora lo vietava. È roba sua la
cordata di imprenditori – Berlusconi, Barilla e Ferrero – che sempre Craxi,
anno 1985, schierò contro Carlo De Benedetti nella battaglia per annettersi il
colosso alimentare Sme. È ancora roba sua la svendita dell’Alfa Romeo alla
Fiat, anno 1987, facendo deragliare, un minuto prima dell’accordo, l’offerta
più vantaggiosa della Ford. Per lui, entomologo dei codici, trovare escamotage
legislativi per mangiarsi le leggi è una pacchia, anzi “un orgasmo”, beato lui.
Sette anni dopo tocca a Carlo Azeglio Ciampi issarlo di nuovo alla Presidenza
del Consiglio per riparare i danni di D’Alema che due anni prima aveva
sgomberato Prodi da Palazzo Chigi e in piena euforia da capotavola aveva
bombardato i Balcani per poi finire bombardato alle Regionali: capolavoro della
sinistra fratricida, che da allora il giovane Enrico Letta studia nei manuali
del masochismo politico. Specializzato in naufragi, sa sempre come
allontanarsene. Specializzato in naufragi, Giuliano sa sempre come
allontanarsene. Quando il suo capo si eclissa in Tunisia, inseguito dalle
guardie, lui continua a fischiettare nei palazzi del potere. È tra i pochi
craxiani da combattimento che la farà franca. Bettino iracondo a Hammamet lo
chiamerà “un Giuda che strisciava ai miei piedi”. Ma lui i perdenti non li
calcola, li ignora. Ama invece la scia dei vincenti, come i banchieri del Monte
dei Paschi di Siena, istituto privatizzato negli anni d’oro, quelli di Giuseppe
Mussari, principe della città più massonica d’Italia, di cui Amato fu amico e
sponsor, con vicendevoli incantamenti. Compresi i 150mila euro che Mps versava
al circolo del Tennis di Orbetello presieduto nientedimeno che da Giuliano
Amato in calzoncini e maglietta, decorata da Cavaliere di Gran Croce. Eppure
nulla ha ancora risarcito la sua forsennata ambizione. Aspirava alla presidenza
della Commissione europea, lo surclassò Prodi. Aspirava al Quirinale, lo hanno
battuto Ciampi, Napolitano e Mattarella. Troppe tragedie per un uomo solo.
Troppi silenzi oggi da sopportare. Ma se tutta la gloria e le onorificenze
vengono nel passato, allora sì, parliamo del passato: mi è venuta un’idea.
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