“Vita dei Giuliani Amati/4” di Marco Travaglio pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 24 di gennaio dell’anno 2015: Dopo aver regalato nel 1987 l’Alfa Romeo alla Fiat a prezzi di saldo, lo Stato nel 1992 prepara un altro gradito dono miliardario al gruppo Agnelli-Romiti, a sua volta molto prodigo di mazzette ai partiti di governo: 3 mila miliardi di fondi pubblici per il nuovo stabilimento di Melfi, in Basilicata.
Fiat, Amato Sicuro. I retroscena li racconterà quattro
anni dopo l’ex vicesegretario socialista Giulio Di Donato dinanzi al gup
torinese Francesco Saluzzo, nel processo con rito abbreviato a Romiti per falso
in bilancio e finanziamento illecito al Psi.
Gup: “Le è mai capitato di parlare con Balzamo (lo scomparso tesoriere
del Psi, ndr) dei canali di finanziamento del partito?”. Di Donato: “Mah, in
maniera molto generica: Balzamo non rivelava le fonti del finanziamento, né di
quello lecito né di quello non lecito. Credo che lui avesse un rapporto di
questa natura con il vicesegretario vicario, Giuliano Amato. Vicario, cioè
quello che si occupava di mantenere rapporti più assidui, più in contatto col
segretario Craxi”. G: “Lei cosa sa di contatti con Cesare Romiti?”. D: “Un mese e mezzo prima delle elezioni
(dell’aprile ’92, ndr) ci fu una visita di Romiti al quinto piano di via del
Corso, dove c’erano gli uffici di Craxi, Amato, Acquaviva (capo della segreteria
Psi, ndr). Un po’ difficile che il dottor Romiti venisse a parlare con
Acquaviva: lo escluderei. Penso che abbia parlato con Craxi e con Amato.
Balzamo mi disse 48 ore più tardi che dopo quell’incontro i rapporti di
sostegno finanziario dalla Fiat erano molto migliorati (infatti, il 12 marzo
1992, arrivò su un conto estero del Psi una mazzetta Fiat di 4 miliardi, ndr). G:
“Romiti con chi aveva rapporti, nel Psi?”. D:“Più che direttamente col
segretario, penso con Amato. Dico questo perché, sulla strategia
degl’investimenti della Fiat nel Mezzogiorno, io espressi perplessità ed ho
trovato sempre un contraddittorio in Amato e in Acquaviva… L’ultima grande
questione che ha impegnato a livello politico è stato l’investimento di Melfi.
Una decisione presa due anni prima d’intesa con la Fiat dal governo, che
stanziava un incentivo molto cospicuo che se non sbaglio arrivava a circa 3
mila miliardi. Nel ’92 la situazione si era bloccata: la carenza di denari
dell’Agenzia per il Mezzogiorno bloccava questa erogazione e i lavori di Melfi.
Ci voleva un rifinanziamento con nuova legge di bilancio”. G: “Ci furono
pressioni della Fiat sul governo?”. D: “Da Fiat presumibilmente ce ne sono
state: doveva costruire lo stabilimento e doveva incassare i soldi, senza i
quali non avrebbe costruito Melfi. Ricordo che si è discusso di questo problema
con Amato: io ero perplesso. Dicevo che gli investimenti nel Mezzogiorno
avevano finanziato grandi complessi industriali che non avevano creato indotto,
e si erano risolti nelle solite cattedrali nel deserto. Amato invece aveva una
considerazione completamente diversa: ‘Sì, vabbè, ma si deve realizzare, si
deve fare’…”. E i soldi, puntualmente, arrivarono. Quelli del contribuente,
alla Fiat. Quelli della Fiat al Psi. Un commissario a Tangentopoli. Tanto tuonò
che piovve: dopo gli scandali degli anni 80 a Torino, Genova, Milano e
Viareggio, che vedono il Psi alla guida del partito trasversale delle mazzette,
nel 1992 il pool di Milano scoperchia l’intero sistema. Il primo arrestato è
Mario Chiesa, il “mariuolo” del Pio Albergo Trivulzio. Poi è la volta di altri
dirigenti locali, su su fino all’ex sindaco Carlo Tognoli e a quello in carica,
Paolo Pillitteri, cognato di Craxi. Trovare un socialista intonso da avvisi o
manette è un’impresa. Bettino spedisce a Milano un commissario di grande
esperienza accumulata con le Tangentopoli di Torino e Viareggio: Giuliano
Amato. Nella capitale di Tangentopoli, il Dottor Sottile si distingue subito
per il grande slancio moralizzatore: “Ogni volta che da noi si scopre un
mariuolo – proclama – quelli del Pds dicono che è un sistema di potere. Quando
il mariuolo è loro, è una pecorella nera” (8.5.92). E ancora, lungimirante: “Se
si guarda al tentativo di coinvolgere Craxi nella storia di Mario Chiesa,
questo mi sembra il classico scandalo montato sul nulla per impedire che Craxi
abbia l’incarico” (7.6.92). Infatti sarà proprio Chiesa a inguaiare Craxi. Il
premier di Bettino. Dopo le elezioni-terremoto del 6-7 aprile (quadripartito al
minimo storico del 51% e boom della Lega Nord) e la strage di Capaci del 23
maggio, il nuovo presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro deve nominare
il nuovo premier al posto di Andreotti. L’accordo Dc-Psi prevede il ritorno di
Craxi a Palazzo Chigi, ma dopo le confessioni di decine di politici e
imprenditori milanesi al pool di Di Pietro & C. si prevede anche per lui il
primo avviso di garanzia. E, con l’aria che tira, Scalfaro non ha alcuna
intenzione di battezzare un governo nato morto. Le alternative sono Amato e
Claudio Martelli, il delfino, che però sta prendendo le distanze da Bettino.
Così tocca ad Amato, ritenuto più fedele al segretario. Il Dottor Sottile mette
su un esecutivo che somiglia molto a un lombrosario, l’ultimo grido della Prima
Repubblica: infatti nel giro di pochi mesi perderà per strada ben sette
ministri, impallinati da altrettanti avvisi di garanzia per tangenti varie.
Intanto c’è da tamponare la crisi economico-finanziaria, con lo Stato in
bancarotta: i partiti si sono mangiati tutto, gli stipendi dei dipendenti
pubblici sono a rischio, il debito è fuori controllo, i parametri di Maastricht
sempre più lontani dall’essere rispettati. Amato, con la legge finanziaria di
fine 1992, impone una cura da cavallo di tasse e tagli da 92 mila miliardi di
lire. E, non bastando quelli, dispone nottetempo il prelievo forzoso del 6 per
mille sui conti correnti degli italiani. Molti gli rimprovereranno una politica
monetaria suicida, con la difesa a spada tratta della lira per tutta l’estate e
la successiva svalutazione del 30 per cento, con annessa uscita dallo Sme (il
sistema monetario europeo). I suoi futuri amici del Pds lo trattano come un
incapace e un affamatore del popolo. Anche Giorgio La Malfa lo attacca a testa
bassa: “La decisione di svalutare è tardiva. Il governo Amato porta la
responsabilità di aver costretto le autorità monetarie a svenarsi nelle loro
riserve valutarie”. Poi, chissà perché, Amato tornerà a essere un genio della
finanza. Poker d’assi alla toilette.
Sentendosi braccato dai pm e tradito da Martelli che vuole “restituire l’onore
perduto ai socialisti”, Craxi decide di investire Amato della successione in
via del Corso. Anche perché il Dottor sempre meno Sottile gli dà una buona mano
nell’attacco ai magistrati. Il 27 agosto 1992, con mirabile sensibilità
istituzionale, il presidente del Consiglio partecipa alla segreteria del Psi
convocata da Bettino per scatenare l’offensiva dei dossier contro Di Pietro e
preceduta da alcuni minacciosi corsivi anonimi (cioè suoi) sull’Avanti! Persino
il Guardasigilli Martelli capisce che non è il caso di andarci. Amato invece ci
va. Dirà poi di non essersi accorto dello scopo della riunione perché, nel
momento topico, si era assentato per andare alla toilette. In realtà – secondo
diversi testimoni – in quel nobile consesso furono esaminate alcune informative
e dossier dei servizi segreti su Di Pietro (la Mercedes usata, il telefonino,
qualche prestito, le amicizie con alcuni socialisti milanesi suoi futuri
indagati) e i risultati di attività spionistiche illegali sui pm di Milano.
Rino Formica, all’uscita, dichiara: “Bettino ha in mano un poker d’assi”.
“Amato – racconterà Di Donato – era rimasto a bocca aperta per le rivelazioni e
come tutti si era sentito rassicurato per il futuro”. Altro che toilette. Servizi & dossier. Ecco il racconto di
Carlo Ripa di Meana, allora ministro dell’Ambiente e amico di Craxi,
interrogato nel 1995 dal pm bresciano Fabio Salamone: “Amato (nell’estate ’92,
ndr) mi disse: ‘Io ho i rapporti del capo della Polizia (Vincenzo Parisi, ndr)
e di tutti i servizi, che dicono che bisogna fermare questo pool, e in
particolare Di Pietro, perché questi stanno mettendo in pericolo le
istituzioni’…”. Altri particolari Ripa di Meana li racconta nella sua
autobiografia (Cane sciolto, Kaos, 2000): “La stretta arrivò in estate, quando
Craxi con una serie di corsivi sull’Avanti! cercò di intimidire i magistrati
milanesi di Mani Pulite… Trovavo inaccettabile il silenzio del governo (Amato,
ndr) che non aveva aperto bocca per difendere l’indipendenza dei giudici…
Pensavo che Craxi dovesse essere fermato prima che completasse la propria
rovina personale e quella del Partito socialista… Decisi che avrei scritto una
lettera aperta ai magistrati milanesi (‘Fate un lavoro necessario. Chi vi attacca
per fermarvi sbaglia’) e che comunque avrei rotto col governo, con il partito e
col mio amico Bettino… Giuliano Amato mi rimproverò: disse che l’azione
giudiziaria di Mani Pulite – come indicavano i Servizi e il capo della Polizia
Parisi – era un pericolo per le istituzioni. Poi il confronto tra noi dinanzi
al magistrato di Brescia, con Giuliano che pretendeva di negare tutto…”. (4 –
continua)
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