Morgan chi? Al secolo passa per Marco Castoldi. Cosa
vi lascia pensare il suo desiderio di mimetizzarsi all’ombra di un pirata? Affronta
l’arduo dilemma Pino Corrias su “il Fatto Quotidiano” di mercoledì 30 di agosto
2023 in «Morgan, il “pirata” che si
mette in croce tra Bach, ego e insulti» e dipana egregiamente l’intricata
matassa offrendoci uno spaccato di vita sorprendente del nostro. Scrive Pino
Corrias: (…). Quello vero si chiama Marco Castoldi. Un ragazzetto di 51 anni con
il ciuffo alla violetta alpina e la erre di blesa liquerizia. Sveglio.
Simpatico quando vuole. Matto specialmente quando non può. Uno di quei
predestinati nel Rollerball dello Spettacolo che fanno punteggio solo quando
inciampano, si rompono il naso, si piangono addosso. Una dozzina di anni fa
ebbe la buona idea di dichiarare che usava “il crack e la cocaina” come
antidepressivi. Che è come dire mi butto dal balcone per pettinarmi alla Elvis.
Smentì l’intervista che però era registrata. Poi disse sono stato frainteso. Ma
siccome eravamo alla vigilia di Sanremo, i titolari dell’unica morale che
conta, quella radiotelevisiva, invece di smaltirlo con l’aperitivo e un
briciolo di compassione, lo hanno triturato in nome dei sacri valori. E lui: “Mi
hanno cancellato, ucciso, crocifisso!”. Dieci anni dopo, tracollo ancora più
spettacolare. Allestito direttamente sul palco di Sanremo, insultando in
diretta tv il partner del suo duetto, un tale Bugo, con coda di sputi e morsi
nel retropalco, la squalifica, le reciproche querele, gli strascichi trash
davanti alle palpebre ventose di Barbara D’Urso e Mara Venier, il nuovo Golgota
dove si è fatto trascinare con chiodi e corona di spine. Questa cosa della
crocifissione è il suo fisso tormento. Da ateo credente si è paragonato a Gesù:
“Lo hanno messo in croce perché era famoso, era molto
carismatico, lo collego a me”. E poi: “Tutti e due
abbiamo il padre falegname”. Dettaglio che farebbe piangere dal ridere, se
non fosse che la storia del padre di Marco, morto suicida, una mattina del
1981, tagliandosi per il lungo le vene di entrambe le braccia e poi sdraiandosi
a dormire nel proprio sangue, è la tragedia vera della vita del figlio, appena
quindicenne. Quella che gli spalanca il vuoto per sempre. Destinandolo, da
allora, a riempirlo con l’unico pieno disponibile: il proprio narcisismo. Che a
forza di gonfiarsi lo tiene a galla e insieme lo soffoca: “Sono il più bravo di
tutti”. “Sono la musica”. “Sono lo spettacolo”. “Sono la star”. “Sono
l’istrione”. Lui è il viaggio, lui è la rotta. Lui è il naufragio permanente,
ma mai definitivo, come furono quelli del suo pirata preferito che pure fu
governatore della intera Giamaica. Per fortuna Marco Castoldi non ha governato
quasi nulla nella sua isola di Muggiò, al largo della quieta Brianza. “Sono
nato in una famiglia che direi banale”. Mamma maestra elementare, con baby
pensione a 38 anni e la passione del pianoforte. Babbo pieno di debiti e di
cattivo umore. Una sorella che se la caverà da sola. Il figlioletto che cresce
a dismisura nei propri racconti. “Sono nato dentro la musica”. “Facevo
spettacoli già a quattro anni”. “Ho composto canzoni e sinfonie”. “Quando mio
padre è morto ho mantenuto la famiglia suonando nei piano bar”. “A 16 anni
guadagnavo un milione di lire a settimana”. “Suonavo tutte le notti, intorno a
me ballavano, limonavano, erano felici”. Lui un po’ meno. È tra i rari studenti
che dopo quattro anni di Liceo classico, si diploma geometra. E che dopo otto
anni di Conservatorio, abbandona. Passa da Beethoven al sintetizzatore.
Registra musica dentro la cameretta. Fonda gruppi musicali nei weekend e li
scioglie il lunedì mattina. Fa il giovane mattatore nei locali di Monza e
provincia. A inizi anni 90 si inventa i Bluvertigo che sono la sua personale
ciambella con il buco. Fa una serie di album notevoli, la “trilogia chimica”
che apre con Acidi e basi, finisce con Zero, i critici applaudono parlando di
“Pop italiano rivisitato con le sonorità della British Invasion” che vuol dire
David Bowie, Duran Duran, Genesis, ma con un orecchio anche ai Rem e a Madonna.
Vince una Targa Tenco per l’album Canzoni nell’appartamento. Si infila negli
studi di Mtv che sono il suo Atlantico. Incrocia David Byrne dei Talking Heads,
poi Vasco Rossi, Ivano Fossati, il mitologico Franco Battiato. Registra
videoclip cinematografici, conduce programmi musicali. Inizia lì a confondere
le armonie della musica con le bollicine del successo, la fatica insonorizzata
della ricerca musicale in studio, con le veloci vacanze sulle superfici della
celebrità. Tra il mare aperto e gli scogli, sceglie Asia Argento, l’attrice. Un
paio di anni di storia tormentosa, dieci di carte bollate per la figlia
contesa, per la casa, le botte, per gli alimenti. Fino “allo sfratto con
resistenza a pubblico ufficiale” e ai mobili sul marciapiede. Per campare
diventa giudice di X Factor. Si veste come gli Scapigliati negli sceneggiati
tv. Mette un po’ di ombretto per fare il trasgressivo. Dice: “Sono anarchico
libertario”. E di sicuro vuole anche “la pace nel mondo” come tutte le
aspiranti miss qualcosa. Ma sa aggrapparsi alle tende del melò: “Muoio e
rinasco in continuazione. La sofferenza mi fa vedere lontano”. Fino alle vette
della letteratura: “Sono molto profondo. Leggo Shakespeare. Anche per me essere
o non essere è il problema”. Tra i danni in circolazione, sceglie Sgarbi che di
lui si è incapricciato come fosse una delle sue anziane contesse. Vittorio lo
convoca. Lo monta. Lo candida sindaco a Milano, lista Rinascimento. Poi a
Sulmona. Poi a Verona. Un Cantagiro di tormenti. Compreso quello di portarselo
al ministero della Cultura come consulente musicale. Bocciato senza mai neanche
essere ricevuto dal ministro, il grande Gennaro Sangiuliano, quello che prima
vota i libri e poi li legge. Navigando per rotte sbagliate, ha battuto il
record di tre fidanzate, tre figlie. Ora si gioca la carta dell’esistenzialismo
problematico: “Se mi chiedi come sto, potrei scrivere due libri”. È l’eterno
incompreso: “Ce l’hanno tutti con me”. Specialmente uno. Quello che sbraitando
in Fa diesis, si sogna usignolo.
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