"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 31 agosto 2023

Piccolegrandistorie. 53 Giorgio Manganelli: «La mia sensazione più profonda è che il Ferragosto sia la festa del nulla e a questa convinzione io mi adeguo».


CrepuscoloFerragostano”. Ha scritto Massimo Fini in “È caldissima, però l’aspetto tutto l’anno” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 28 di agosto 2023: L’estate sta finendo. Meno male. Mentre sto scrivendo la temperatura a Milano è di trentanove gradi. Vivo da sempre a Milano e una temperatura del genere non l’ho mai vista. Abbiamo avuto un inverno, almeno qua a Milano, che non è stato un inverno. (…). Poi c’è stata una stagione incerta. Anormalmente calda, non si capiva se era il residuo di un inverno anomalo o l’inizio di una primavera incerta. In qualche modo si è arrivati a luglio che normalmente a Milano è il forno di tutti i forni. E così è stato. Ma poi è arrivato agosto che normalmente, a parte i primissimi giorni, è più fresco di luglio. Invece adesso siamo a trentanove gradi. Non so se Milano, piazzata al centro di una pianura che sta, seppur lievemente, sotto il livello del mare, che a differenza di tutte le altre città italiane ed europee non ha un fiume degno di questo nome, possa essere un segno del cambiamento climatico globale. Certamente qualcosa dice. (…). L’estate sta finendo. Ed è l’estate, non il primo dell’anno, che segna il passaggio da un anno all’altro. Diamola pure per finita l’estate, adesso che ci resta? “Basta che non ci debba mai mancare qualcosa da aspettare” canta il menestrello Jannacci. Ma adesso che cosa abbiamo da aspettare? Un'altra estate sperando che sia migliore di questa ma, come canta Giorgio Gaber in Porta Romana “un anno è lungo da passare”. E quindi dobbiamo aspettarci le solite polemiche politiche prive di senso, Salvini che tenta di fare le scarpe a Meloni, l’opposizione che abbaia a vuoto, Zelensky che fa la star, i russi che perdono anche se vincono, la Cina sempre più vicina, il festival di Sanremo, il concorso di Miss Italia con ragazze standard prive di qualsiasi appeal, aggiungiamoci pure la Festa del Fatto, le partite di un calcio sfinito che si è trasferito negli Emirati dove non hanno mai visto un pallone. Una prospettiva da far venire i brividi. L’estate è stata sempre una promessa di amori, e, diciamo pure la parola proibita, di felicità, soprattutto se al mare. Sono infinite le canzoni che parlano di amori estivi e di conseguenti, e altrettanto elettrizzanti, tradimenti. Canta sempre Celentano in Storia d’amore: “Tu non sai cosa ho fatto quel giorno quando io la incontrai/ In spiaggia ho fatto il pagliaccio/ Per mettermi in mostra agli occhi di lei/ Che scherzava con tutti i ragazzi all'infuori di me/ Perché perché perché perché, io le piacevo/ Lei mi amava, mi odiava, mi amava/ Mi odiava, era contro di me/ Io non ero ancora il suo ragazzo e già soffriva per me/ E per farmi ingelosire/ Quella notte lungo il mare è venuta con te”. Ah quelle passeggiate notturne lungo il mare. Ma qui mi rendo conto di confondere l’estate con la vecchiaia, la mia. A noi vecchi è consigliata, perché molto più riposante, la collina. Ma lì c’è un riposo che, almeno ai miei occhi, somiglia un po’ troppo all’eterno riposo. E quindi insisto ad andare al mare anche se non cavo più un ragno dal buco. In realtà molto più favorevole per i vecchi è l’inverno. Con la sua oscurità, con la sua penombra, ci nasconde e ci protegge. Mentre d’estate i vecchi sono costretti ad uscire come topi dalle tane. Li vediamo in carrozzella, con i bastoni, con le protesi all’anca. Eppure nonostante sia consapevole di tutto questo io, come il giovane Celentano, continuo ad aspettare l’estate tutto l’anno, anche se non mi può dare assolutamente più nulla. E non so nemmeno quanto possa dare anche ai giovani, (…). “L’estate sta finendo…”.

“Estasi di ferragosto”, testo di Malcom Pagani pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 26 di agosto ultimo: Ce ne eravamo accorti ben prima che lo cantassero i Righeira, ma la consapevolezza che l'estate finisca è un'amarezza sempre nuova, e farci i conti diventa ogni anno più difficile. Ho sempre cercato di far coincidere la fine delle vacanze con il giorno di Ferragosto. Un trucco, un espediente, un illusionismo per fermare il tempo. Tornare in città e trovarla deserta, solo per accarezzare un miraggio: che il silenzio delle strade vuote e il lavoro incessante delle cicale riportino a giugno quando ogni cosa è una promessa di futuro, la luce del giorno non ti abbandona e la stagione ha ancora molto, se non tutto, da raccontare. Ferragosto in città dunque. L'aeroporto di Roma sembra una fotografia di Paolo di Paolo: si può scorgere la profondità dei corridoi, il facchino che si appisola, la mancanza di fila ai bar, il volto straniato della commessa che aspetta qualche turista americano di passaggio. Chiedo al tassista se la città è davvero vuota e non mi dà soddisfazione: «Macché?! Stanno tutti qui». So per certo che mente e infatti, una volta oltre il Raccordo anulare, ecco il deserto. I pochi automobilisti in transito bruciano semafori rossi con il gusto di chi può farla franca senza il peso di una sanzione e dalle parti dello Zoo, dove Carlo Verdone colse la malinconia del Quindici di Agosto più di mille professori di Sociologia, i venditori di palloncini aspettano qualcuno che non arriverà. A passo d'uomo, osservando le persiane sbarrate degli appartamenti e i negozi chiusi, sembra di tornare ragazzi quando la metà del mese era quasi una tappa obbligata tra un viaggio e l'altro. Si svuotavano le valigie, si contavano i reduci rimasti a presidiare il territorio e si inseguiva un tabaccaio aperto per darsi al vizio senza sapere ancora che sarebbe diventata schiavitù. Nelle azzurre sere di fine estate in città, sentendoci un po' poeti, avevamo persino l'impressione di essere più intelligenti. Vedevamo cose che ci pareva di non aver mai visto, scoprivamo angoli che ci sembravano sconosciuti e sentivamo ogni tocco dell'esistenza come se ci parlasse, fosse lì proprio per noi, ci chiamasse a imprese che restassero. Non è rimasto niente che meritasse un trafiletto su un libro di Storia, ma siamo gente che sa accontentarsi. Ritrovare quella sensazione di eroismo a buon mercato, a Ferragosto, è quasi un'estasi. I telefoni taceranno ancora per qualche giorno, la musica potrà uscire liberamente dalle finestre senza la ribellione dei vicini, i ladri, se proveranno a entrare, ci troveranno lì, sulla porta, in mutande, come in una canzone di Dalla. Moriamo forse mangiando un gelato, ma ci sembra di vivere a fondo, di stilare un bilancio, di essere veramente lì, soltanto adesso, di fronte a noi stessi, prima che ogni cosa riparta. Quando ero ragazzo la solitudine di un  giorno d'estate in città era un peccato da espiare. Oggi è un lusso. Le ore ti sfuggono dalle mani e tu, anche se vorresti, non fai niente per fermarle. «Nessuna vacanza è così stranamente gremita di questa che spopola le città», scrive Giorgio Manganelli, «più chiassosa di questa che rende silenzioso il Tritone a mezzogiorno. Non è una festa, è un incantesimo, una malìa, una fattura. Irretisce le folle, ispira programmi insensati, o immerge in una torva e diffidente sonnolenza». In quella nebbia tra luce e buio, nel sollievo di una doccia notturna, finalmente, ci perdiamo. Era questa la più scintillante delle vacanze e non lo sapevamo? L'anno prossimo, agosto, ti prometto, starò con te in città per l'intero mese. E aspetterò con te il giro di boa senza domandarmi troppo né pretendere alcunché. «La mia sensazione più profonda è che il Ferragosto sia la festa del nulla e a questa convinzione io mi adeguo», dice Manganelli. Non ho la presunzione di contraddirlo e se avrò la fortuna di poterne abbracciare un altro prometto di adeguarmi anch'io.

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