«Chi
dunque – meglio del libro – sa essere al tempo stesso medico e nomade,
bizantino e indù, persiano e greco, eterno e contingente, mortale e immortale? Chi
al pari di lui potrebbe essere l’alfa e l’omega, il troppo e lo scarso, il
nascosto e l’apparente, il testimone e l’assente, l’illustre e l’umile, il
consistente e l’inconsistente, la forma e il suo contrario, il genere e il suo
opposto? Andiamo più in là: quando mai hai visto un giardino trasportabile in
una tasca, un orto allineato su una tavoletta di pietra, un essere che parla al
posto dei morti e si fa interprete dei viventi, un famigliare disposto ad
addormentarsi solo quando tu stesso hai ceduto al sonno, un essere che parla
soltanto secondo i tuoi desideri, più muto di una tomba, e conserva i segreti
come il più discreto dei segretari… A mia conoscenza non v’è compagno più
fedele ai propri impegni, più pronto a onorare i favori ricevuti, più premuroso
nell’offrire i propri servigi, e con spesa modesta, del libro». (Jahiz, autore arabo del IX secolo).
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
mercoledì 27 settembre 2023
Memoriae. 75 Alberto Manguel: «La lettura ci fa sbattere il naso contro la realtà, apre porte e finestre su tutto ciò che è umano».
Sopra. "Prime luci sul lago", acquerello (2023) di Anna Fiore.
“Le biblioteche
ci rendono immortali”, testo di Alberto Manguel – da Wikipedia: nato a “Buenos
Aires, 13 marzo 1948 è uno scrittore e traduttore argentino naturalizzato
canadese” – pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di ieri, 26 di
settembre 2023: (…). Scrivo di lettura, biblioteche e libri da qualche decennio a
questa parte e ho vissuto tra i libri fin da quando ero bambino. Entro i
confini della mia casa d’infanzia è successo ben poco, o perlomeno poco
rispetto alle favolose avventure dei miei personaggi letterari preferiti. Da
quando ho imparato a leggere, la complicata esperienza del mondo mi si è
presentata prima con le parole così che in seguito, quando mi sono imbattuto
nella realtà, avevo delle storie attraverso le quali darle un nome. Tutto ciò
che mi accadeva, era già accaduto in un libro. (…). Le biblioteche sono
essenziali per una società alfabetizzata perché nei libri risiede la nostra
identità. In Occidente, agli inizi dello sviluppo delle società della parola
scritta la Bibbia era considerata una raccolta di libri, una biblioteca che
apparteneva a ogni membro della fede. La reverenza per i libri è molto antica.
Una pratica in atto dall’inizio del Medioevo imponeva che qualsiasi libro non
più adatto all’uso dovesse essere sepolto in modo reverenziale nel cimitero,
spesso nella tomba di uno studioso o in una stanza speciale di una sinagoga. Se
un libro cadeva a terra, doveva essere baciato prima di rimetterlo sullo
scaffale. Ricordo mia nonna di 90 anni che si chinava dolorosamente per
raccogliere un libro che aveva lasciato cadere, qualsiasi libro, anche l’elenco
telefonico e avvicinarlo con reverenza alle sue labbra. Il suo rispetto per i
libri era tale che ogni volta che finivo di leggere mi ricordava di chiudere il
mio libro prima di lasciare la stanza perché se lo avessi lasciato aperto il
demone dell’oblio mi avrebbe fatto dimenticare ciò che avevo imparato. Coloro
che attaccano la lettura, o meglio, coloro che attaccano i lettori per quello
che considerano un intrattenimento egocentrico ed egoriferito basano la loro
accusa sulla percezione che agli occhi degli aggressori la lettura allontana i
lettori dal mondo. Li allontana dalle altre persone. Permette loro di indulgere
nella fantasia e nella finzione. Fornisce loro un alibi per non prendere parte
agli affari della comunità. In effetti come ogni vero lettore sa, la lettura fa
esattamente il contrario. La lettura ci fa sbattere il naso contro la realtà,
apre porte e finestre su tutto ciò che è umano. Si rifiuta di permetterci di
distogliere lo sguardo dalle cose più terribili e meravigliose che accadono nel
mondo. Soprattutto, ci lega ad ogni altro lettore, vicino o lontano,
contemporaneo o di un lontano passato o di un futuro in attesa. Quando
leggiamo, ovunque siamo, entriamo in una comunità di lettori iniziata migliaia
di anni fa in un deserto lontano, una comunità che non scomparirà finché non
scomparirà l’ultimo essere umano, e potrebbe accadere prima di quanto pensiamo
se continuiamo con il nostro comportamento aberrante. Ma nella maggior parte
delle società è difficile superare il pregiudizio contro l’atto intellettuale,
e la paura di ciò che fa un lettore nel santuario segreto della pagina. I
lettori sono spesso derisi, esclusi, mentre il cittadino consumatore è di gran
lunga preferito al cittadino lettore perché anche se la lettura è essenzialmente
individuale porta quasi sempre al desiderio di condividere le proprie
impressioni e passioni, i propri amori e le proprie antipatie, per stringere
legami con altri lettori. Il Talmud ha un’ingiunzione contro il leggere da
soli, ma nessun lettore è mai completamente solo. I libri sono compagni
complessi e consentono quelle che Quevedo definiva Conversazioni con i morti.
Una biblioteca è un luogo di incontro per le anime, l’emblema dell’identità di
un popolo, passata e presente, una dimostrazione che la cultura non è la mostra
morta di cimeli ufficiali, ma il costante rinnovamento di ciò che abbiamo in
comune oltre i nostri confini immaginari e come parte del nostro patrimonio
universale. Ma che dire del futuro? Per trovare anche solo un tentativo di
risposta a questa domanda impossibile, possiamo forse guardare al passato. In
passato, nel I secolo a.C., Marco Tullio Cicerone scrisse un saggio
sull’amicizia in cui ci dà un indizio in merito a questa questione. Cicerone
pensava alla sua biblioteca nella sua casa di campagna ad Anzio, non solo come
l’anima della sua casa, ma anche, in senso più profondo, come al proprio io. La
sua figura di oratore astuto, avidamente incentrata nel favorire la sua
carriera politica era nutrita dalle sue letture e dalla sua esplorazione della
filosofia greca sia nei suoi primi giorni a Roma, sia ad Atene e ora nei suoi
ultimi anni nella sua biblioteca e nella biblioteca dei suoi amici. Anche se in
termini pratici, Cicerone sapeva perfettamente che i suoi amati volumi non
sarebbero stati un efficace strumento di sopravvivenza contro i complotti dei
suoi nemici politici. Sembravano servirgli come una promessa o una speranza per
qualcosa di meglio se non nei suoi ultimi anni, forse dopo la sua morte.
Immaginava che la sua biblioteca, piena di quelle antiche opere greche gli
avrebbe concesso una sorta di aldilà. Trovo che sia un pensiero consolante, di
questi tempi, in cui sappiamo di essere ancora una volta sull’orlo di un
precipizio. Subendo il contrappasso, come direbbe Dante, dei nostri peccati
sotto forma di siccità, incendi e alluvioni dovuti al cambiamento climatico, la
minaccia di perdere il controllo delle nostre macchine elettroniche
incredibilmente potenti. L’affievolirsi della nostra sensibilità umana, della
nostra curiosità, della nostra empatia, della nostra memoria comune. Nel I
secolo a.C., Diodoro Siculo ha notato come in Egitto le rovine di un’antica
biblioteca avevano incise sopra la porta le parole: “Clinica dell’anima”.
Questo vale per ogni biblioteca. Nelle società del libro, le biblioteche
conservano la memoria della nostra esperienza privata e della nostra stessa
identità e di quella della comunità di lettori che verrà in futuro. Le
biblioteche ieri, oggi e in futuro sono la nostra speranza per l’immortalità.
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