“Vita dei
Giuliani Amati/5″ di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano”
del 25 di gennaio dell’anno 2015: Nel gennaio del 1993 Bettino Craxi è ormai
sepolto sotto una raffica di avvisi di garanzia e prepara le dimissioni da
segretario del Psi. Amato, da Palazzo Chigi, lo difende: “Craxi inquisito? Ogni
volta che una persona che ha avuto una sua grandezza è in difficoltà, c’è una
tendenza a scaricargli tutte le responsabilità addosso: ma questo non si fa, né
con i vivi né con i morti” (16-1-93). Il 9 febbraio l’architetto socialista
Silvano Larini, collettore delle tangenti milanesi al Psi, rientra dalla
latitanza e inizia a collaborare con il pool Mani Pulite e svela i contorni del
Conto Protezione: il deposito svizzero a lui intestato su cui negli anni 80 il
Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, complice Licio Gelli, girò una stecca di 8
miliardi di lire a Craxi su indicazione di Martelli, ora ministro della
Giustizia. Ma Di Pietro&C. stanno arrivando al cuore di Tangentopoli con le
indagini su Enimont-Montedison (l’affare che vede implicato l’intero vertice
del pentapartito e che Amato a suo tempo seguì molto da vicino), sul Gotha
della finanza italiana (Fiat, Fininvest, Ligresti) e delle Partecipazioni
statali (Eni, Iri, Enel), ma anche sulle tangenti rosse (il 1° marzo verrà
arrestato Primo Greganti, il “compagno G” della finanza occulta del Pci-Pds).
Sta per saltare il sistema marcio e consociativo che ha retto l’Italia negli
ultimi vent’anni. Ecco Amato pronto al salvamento. “Bettino, abbi fede”. Il 9
febbraio, mentre Larini canta in Procura, su carta intestata “Il Presidente del
Consiglio dei ministri”, con tanto di stemma della Repubblica Italiana, il
premier Amato scrive di suo pugno una lettera non protocollata all’amico
Bettino – indagato per corruzione, concussione e finanziamento illecito e
furibondo con lui perché il suo governo non fa nulla contro i magistrati – per
suggerirgli la linea difensiva e rassicurarlo sul colpo di spugna che sta
preparando. “Caro Segretario, prendo a
calci i primi mattoni di un muro di silenzio che non vorrei calasse fra noi. E
vorrei chiederti invece di avere fiducia in quel che io sto cercando di fare.
Occorre certo che passi qualche giorno, che la situazione delle imprese, e non
solo della politica, appaia (come del resto già è) insostenibile. È inoltre
realisticamente utile che la macchia d’olio si allarghi. Neppure a quel punto
credo che sarà possibile estinguere reati di codice. Ma credo che l’estensione
per essi dei patteggiamenti e delle sospensioni condizionali sia una strada
percorribile. Sto conquistando su questo preziosi consensi. E ritengo che si
ottengano così procedure non massacranti, che evitano la pubblicità devastante
dei dibattimenti e forniscono possibilità di uscita. Se posso darti un
consiglio personale, ricomponi le tue linee difensive: tu hai detto che sapevi
– come tutti – che c’erano dei finanziamenti irregolari. Ora neghi di aver
avuto conoscenza delle singole cose che ti vengono addebitate. Ciò significa
che neppure tu sapevi quanto fosse ramificata, estesa e legata a fatti
specifici di corruzione o concussione la provvista dei fondi irregolari. Questo
ho tentato di suggerire quando ho toccato il tema alla Camera. Per il partito
sto facendo così come mi hai chiesto di fare: non interferisco nella scelta
(del successore alla segreteria, ndr). Ma mi sta a cuore il massimo di unità.
Per questo un’invenzione, caso mai accanto a Benvenuto, sarebbe utile. Lo
scontro in Assemblea è comunque pericoloso. Anche se Claudio mi pare ormai in
pericolo. Apprendo che, se ci fosse un riscontro a ciò che ha detto Larini, già
sarebbe partito un avviso per concorso in bancarotta fraudolenta (del Banco
Ambrosiano, ndr). Io sono qua. E continuo ad esserti grato ed amico. Giuliano”.
Il Dottor Spugna. Detto, fatto. Mentre in privato il premier assicura
gratitudine e amicizia al plurinquisito e dichiara in Senato che “la questione
morale è diventata di prepotenza prioritaria”, Amato lavora alla “soluzione
politica di Tangentopoli”. È lui a ispirare il decreto del 5 marzo che
depenalizza il reato di finanziamento illecito ai partiti, firmato dal nuovo
ministro della Giustizia Giovanni Conso, subentrato a Martelli dopo le sue
dimissioni dell’11 febbraio per l’indagine sul Conto Protezione. Un mega-colpo
di spugna sulle indagini su Tangentopoli, senz’alcuna sanzione neppure politica
o amministrativa per i colpevoli. Scalfaro e i presidenti delle Camere,
Napolitano e Spadolini, sconsigliano. Conso tentenna. Ma il premier tira
dritto. “Amato garantì l’‘assenso preventivo del Colle’”, ricorderà Ripa di
Meana, che in totale dissenso si dimette da ministro dell’Ambiente e poi dal
Psi. Ma non è vero, anzi Scalfaro ha posto precisi paletti alla “soluzione
politica”: “Mi raccomando, dovete scrivere che chi confessa e patteggia per
finanziamento illecito deve rinunciare per sempre alla vita pubblica”. Invece
nel decreto c’è scritto soltanto che l’illecito finanziamento non è più reato,
ma una semplice infrazione amministrativa, punibile con una semplice multa,
senza alcuna interdizione dai pubblici uffici. Non solo: c’è pure il bavaglio
alla stampa col ripristino del segreto istruttorio, che il nuovo Codice penale
del 1989 aveva abolito per venire incontro alle esigenze dell’informazione e
della trasparenza: nessuno potrà più sapere nulla delle indagini fino al
processo. La bugia sottile. “Non è un colpo di spugna, abbiamo fatto
esattamente quel che ci han chiesto i giudici di Milano, Di Pietro e Colombo”,
dichiara Amato. Ma anche questa è una balla. Per il procuratore Francesco
Saverio Borrelli la misura è colma. Il 7 marzo, di domenica, convoca la stampa
e legge il comunicato che lo sbugiarda: “Come magistrati abbiamo il dovere
inderogabile di applicare le leggi dello Stato quali che esse siano… Non
consentiamo però a nessuno di presentare come da noi richieste, volute o
approvate, le iniziative in questione… Ciascuno si assuma davanti al popolo
italiano le responsabilità politiche delle proprie scelte, senza farsi scudo
del nostro operato o delle nostre opinioni. Che sono esattamente opposte al
senso dei provvedimenti adottati. Il prevedibile risultato delle modifiche
legislative approvate sarà la totale paralisi delle indagini e la impossibilità
di accertare fatti e responsabilità di coloro che li hanno commessi. Senza
contare che così si disincentiva qualunque forma di collaborazione”. Migliaia
di cittadini indignati inondano di fax le redazioni dei giornali e scendono in
piazza in molte città per protestare. Lega, Rete e Msi sparano a palle
incatenate contro il “governo degli inquisiti”. Il Pds, inizialmente tiepido,
non vuol farsi scavalcare. Scalfaro convoca Amato nella sua residenza privata,
presenti anche Spadolini e Napolitano. Questo decreto – gli dicono tutti e tre
– non s’ha da fare. In ogni caso, il presidente non lo firma, anche perché
interferisce con una materia – il finanziamento ai partiti – che il 18 aprile
sarà oggetto di un referendum popolare (che l’abolirà a furor di popolo),
dunque è di dubbia costituzionalità. Il
vaffa di Max. Ridotto a pugile suonato dal gran rifiuto di Scalfaro, Amato
schiuma di rabbia contro il Pds, accusandolo di aver avallato (all’indomani
dell’arresto del Compagno G) e poi impallinato il decreto: “Quella del Pds è
pura doppiezza. In privato m’invitano a rimanere, in pubblico ad andarmene, e
con parole di violenza inaudita, intollerabile. E anche D’Alema era d’accordo
sul decreto Conso” (10-3-1993). D’Alema, vicesegretario Pds, replica al
fulmicotone, definendo il suo governo “pericoloso” e il premier un cacciaballe:
“Lo dico e lo ripeto: Amato è un bugiardo e un poveraccio. È uno che deve far
di tutto per restare lì dov’è, sulla poltrona. Ma che devo fare? Devo dire
vaffanculo…” (La Stampa, 11-3-1993). “Mi ritiro”, anzi no. Il 16 marzo se ne
discute alla Camera. Amato parla in un clima da bolgia infernale, fra i
leghisti che urlano “ladri, ladri!” e i missini che roteano guanti bianchi e
spugnette variopinte. Il leghista Luca Leoni Orsenigo sventola un cordone
annodato a mo’ di cappio. Il missino Carlo Tassi, in camicia nera, fa
ciondolare un paio di manette. Napolitano, paonazzo in volto, perde più volte
la pazienza ed espelle questo e quello. Un mese dopo, all’indomani dei
referendum sui soldi ai partiti e sulla legge elettorale maggioritaria, Amato
si dimette da premier e dalla vita politica. “Per cambiare – annuncia all’aula
di Montecitorio – dobbiamo trovare nuovi politici. Per questo, confermo che ho
deciso di lasciare la politica, dopo questa esperienza da primo ministro. Solo
i mandarini vogliono restare sempre e io sono in Parlamento ormai da dieci
anni”. Del resto, un mese prima, era stato ancor più esplicito: “Intendo dare
per primo l’esempio: quando fra un giorno, fra un mese o più in là chiuderò
questa esperienza di governo, mi ritirerò dalla politica. Non farò come certi
che vorrebbero essere protagonisti del vecchio, del nuovo e del nuovissimo”
(10-2-1993). “Con tutto il rispetto per la persona di Amato – si domanda
Veltroni sull’Unità – è immaginabile un nuovo governo dell’ex vicesegretario
del Psi?”. Ma sì che è immaginabile. Arriverà nel 2000, con l’appoggio di
Veltroni e D’Alema. Intanto al suo posto s’insedia il governo tecnico di Carlo
Azeglio Ciampi, che fin dal primo giorno subisce i rimbalzi di Tangentopoli. Il
29 aprile la Camera nega alcune autorizzazioni a procedere contro Craxi: Amato
non c’è (forse è di nuovo in bagno?) e tiene a farlo sapere: “Per me sarebbe
stato particolarmente difficile decidere come votare”. Da allora se ne perdono
le tracce per circa un anno (che sia rimasto chiuso nella toilette?). Il trust
dei fiammiferi. La discesa in campo di Berlusconi non lo trova impreparato: non
si candida, ma appoggia il Patto Segni, alleato al Centro con il Ppi di Mino
Martinazzoli. Il Cavaliere comunque stravede per lui, memore dei decreti pro
Fininvest. E nelle prime riunioni preparatorie di Forza Italia ad Arcore si
spertica in elogi, esortando con Gianni Letta e Fedele Confalonieri i direttori
dei giornali e delle tv del gruppo a sostenere il suo governo. Infatti, il 9
novembre 1994, il premier Caimano sceglie proprio Amato come presidente
dell’Autorità garante della Concorrenza (l’Antitrust): “È una personalità di
prestigio indiscusso e di grande competenza giuridica”, spiega:
“L’autorevolezza del presidente Amato è garanzia di indipendenza e di
obiettività di giudizio”. Lì, per tre anni, il Dottor Sottile sarà talmente
indipendente e obiettivo da non accorgersi del più spaventoso trust editoriale
e pubblicitario del mondo: quello della Fininvest di Berlusconi, che lui stesso
ha contribuito a creare. In compenso spezza le reni a un trust ben più grave e
minaccioso contro il libero mercato: le scatole di fiammiferi. Che – denuncia –
possono ospitare pubblicità a differenza degli accendini. Furibondo, Amato
scrive una lettera grondante di sdegno ai presidenti delle Camere, al premier
Prodi e al ministro Bersani perché provvedano immantinente: “Fiammiferi e
accendini sono prodotti che assolvono alla stessa funzione d’uso e l’esistenza
di due distinte discipline normative determina una disparità ingiustificata di
trattamento a favore delle imprese attive nella produzione e
commercializzazione di fiammiferi”. Ecco perché non vede il caso Fininvest: ha
sempre un fiammifero negli occhi. Da Squillante a D’Alema. Nel 1996 il suo nome
torna nelle cronache giudiziarie per le intercettazioni e i tabulati telefonici
del giudice Renato Squillante, il capo dei Gip romani di stretta osservanza
socialista e poi berlusconiana, arrestato per corruzione giudiziaria: poco
prima della cattura, “Renatino” si consultava con Amato e Antonio Maccanico per
decidere se accettare o meno la candidatura al Senato in Forza Italia. Nel 1997
Amato si butta a sinistra. È un fedelissimo di D’Alema (quello che quattro anni
prima lo mandava “affanculo”), il quale lo vorrebbe al suo fianco nel progetto
della “Cosa 2”, per una nuova formazione di sinistra socialdemocratica che
affossi l’Ulivo del premier Romano Prodi. B. è raggiante: “Non dobbiamo
intravedere in questo progetto qualcosa di negativo per il Polo” (3-7-1996).
Amato è molto tentato, ma basterà un fax da Hammamet per mandare tutto in fumo.
(5-fine).
Nessun commento:
Posta un commento