Da “il Fatto Quotidiano” del 21 di gennaio dell’anno
2015 «Vita dei Giuliani Amati/1» di
Marco Travaglio: (…). C’è l’Amato socialista unitario amico del Pci e della Cgil. C’è
l’Amato giolittiano che nel 1976, dopo la svolta dell’hotel Midas con l’ascesa
di Craxi a segretario, lo chiama “cravattaro” e “autocrate”. C’è l’Amato
craxiano anticomunista. C’è l’Amato scalfariano (nel senso di Scalfaro) e
filocattolico. C’è l’Amato scalfariano (nel senso di Scalfari) e laico. C’è l’Amato
filoberlusconiano. C’è l’Amato dalemiano. C’è l’Amato neoulivista. C’è l’Amato
solipsista che sta solo con se stesso. C’è l’Amato equivicino che sta con
tutti. C’è l’Amato montiano e anticasta che insegna come tagliare i costi della
politica in cui sguazza da mezzo secolo. C’è l’Amato napolitaniano che si
parcheggia alla Consulta in attesa di ereditare il trono di re Giorgio. C’è
l’Amato che ogni dieci anni si ritira dalla politica e c’è l’Amato che ogni
volta vi rientra senza mai esserne uscito, candidato a tutto e assiso
dappertutto, anche se finge sempre di non essere stato da nessuna parte. Il
professionista a contratto. Craxi, che lo conosceva bene, lo definì “un
tecnocrate, un ottimo professionista che lavora a contratto… un Giuda, un opportunista
che strisciava ai miei piedi e ora striscia a quelli degli altri per salvarsi
la pelle”. Fu quando il suo ex Tigellino cominciò a far finta di non averlo mai
conosciuto. Un uomo per tutte le stagioni, che in ciascuna ha lasciato segni e
impronte indelebili. Non digitali, però: infatti è uno dei due o tre ex
ministri socialisti mai sfiorati da inchieste giudiziarie. Nato a Torino il 13
maggio 1938 da una famiglia di origini siciliane che presto si trasferirà in
Toscana, Amato studia al liceo classico Niccolò Machiavelli di Lucca. Poi
s’iscrive e si laurea in Giurisprudenza alla Normale di Pisa, aggiungendo nel
1962 un master alla Law School della Columbia University. Dal 1975 insegna
Diritto costituzionale comparato alla Sapienza di Roma. Politicamente nasce nel
Psiup (Partito socialista italiano di unità proletaria), poi trasloca armi e
bagagli nel Psi come testa d’uovo della corrente di sinistra di Antonio
Giolitti. Nel 1978 fonda con Giorgio Ruffolo il gruppo “Progetto Socialista”. E
nel 1979, sempre da sinistra, tuona contro le “forme degradanti” del dibattito
interno dopo lo scandalo delle tangenti arabe Eni-Petromin. La questione morale
è talmente bruciante che Franco Bassanini e altri lasciano il partito, nel
frattempo agguantato da Bettino Craxi. Ma lui no. Anzi, diventa a poco a poco
il consigliori più ascoltato di Bettino, che solo pochi anni prima chiamava “il
cravattaro”, scalando a passo di marcia tutti i gradini fino al vertice del
partito. Il servo serve. Il 7 luglio 1981 è in partenza per un viaggio di studi
a Washington e teme che, insomma, lontan dagli occhi lontan dal cuore di Craxi
(con annessi sorpassi di altri arrampicatori garofanati). Così prende carta e
penna e, su carta intestata del direttore della Facoltà di Scienze politiche
della Città Universitaria di Roma, gli scrive una lettera strisciante alla Sir
Biss, per mettersi a sua completa disposizione, anche dall’altra sponda
dell’oceano, e mendicare un incarico purchessia, anche di “portavoce”, per
“rendermi utile” e “farmi usare, se serve”. E, già che c’è, vellica le fregole
ducesche del Capo facendogli balenare quel progetto di Repubblica presidenziale
che lui stesso ha lanciato un anno prima dalle colonne di Repubblica. “Caro
Bettino, vorrei proprio poterti parlare (ti cercherò attraverso Serenella
(Carloni, la segretaria di Craxi, ndr), per due questioni: – Una personale:
ormai si avvicina il tempo della mia partenza per Washington (25 agosto)”.
Starò lì – prosegue Amato – diversi mesi: per rendermi utile al partito, non potrei
avere una qualche investitura, che mi permetta di avere rapporti per conto del
Psi, di farmi usare – se serve – come tramite, portavoce etc? – Una
istituzionale: da tempo, prima per la verità delle elezioni francesi, arrivano
da varie parti sollecitazioni a riprendere il discorso presidenziale. Se Craxi
ci sta – sento dire – il polo laico lo aggregherà con questa carta. Riflettici
con calma. Ma definiamo una linea. A presto. Giuliano”. Zampino & zampini.
Nel marzo 1983 esplode a Torino la prima Tangentopoli d’Italia. Il sindaco
comunista Diego Novelli riceve la denuncia di un imprenditore costretto a
pagare tangenti e lo accompagna alla Procura della Repubblica. Finiscono in
carcere il faccendiere Adriano Zampini, il suo amico vicesindaco Enzo Biffi Gentili
col fratello Nanni, il capogruppo comunista in Regione Franco Revelli, mentre
il suo collega del Comune, Giancarlo Quagliotti è indagato assieme a tanta
altra bella gente del Psi, del Pci e della presunta opposizione Dc. Craxi tuona
subito contro “la deliberata ferocia delle procedure e l’inumana spettacolarità
che mi auguro sia stata soltanto casuale, viste le conseguenze di eccezionale
gravità causate alle istituzioni locali”. E nomina commissario del partito
Giusy La Ganga, il quale però finisce subito pure lui sott’inchiesta. Così
Bettino – che sta per diventare presidente del Consiglio – manda sotto la Mole
il professor Amato, al suo primo incarico ufficiale. Per cominciare, Amato fa
un cazziatone a Novelli. “Mi rimproverò – ricorda l’ex sindaco rosso – di non
avere ‘risolto politicamente la questione’ anziché andare dai giudici”. Cioè di
non averlo insabbiato. Lui la “soluzione politica” – come dimostrerà in seguito
– ce l’ha nel sangue. Piero Fassino, giovane e smilzo segretario della Federazione
torinese e membro della Direzione nazionale del Pci, si presenta il 7 aprile al
Comitato centrale e spara a zero sulla predisposizione di certi socialisti a
rubare. Amato gli risponde per le rime, alla maniera craxiana: “Abbiamo
sopportato con pazienza, per giorni, le dichiarazioni che Fassino ha fatto sul
nostro partito, derivando dalla nostra natura e dal nostro modo di fare
politica le degenerazioni su cui inquisisce la magistratura. Ora la pazienza è
finita e corrono il rischio di finire anche il garbo e la riservatezza con cui
abbiamo trattato sin qui i protagonisti comunisti (e ce ne sono a vario titolo)
di questa vicenda. Dico solo, per ora, che Fassino, mettendo in discussione la
nostra dignità di interlocutori politici, ha trovato la via migliore per
ritardare la conclusione delle trattative in corso (per rifare la giunta
Pci-Psi, ndr). Noi potremo a questo punto rifiutarci di andare all’incontro con
il Pci. Se all’incontro non ci verrà formalmente assicurato che Fassino ha
espresso sul Psi opinioni puramente personali, la trattativa finirà lì… Le
strade della governabilità sono sempre più di una”. Come dire: se il Pci non la
smette di fare del moralismo, ci rivolgiamo alla Dc. Fassino replica a stretto
giro: “Con vivo stupore ho letto le dichiarazioni del professor Amato. Trovo
francamente incomprensibile che si pretenda di sindacare e censurare un
intervento fatto in qualità di membro del Comitato centrale. Non riesco a
capire il senso di questa gratuita polemica. Sarei lieto di trovare nei socialisti
torinesi lo stesso spirito di autocritica che contraddistingue il comportamento
mio e dei comunisti torinesi”. Di autocritica, ovviamente, non ci sarà traccia,
e ben presto Novelli dovrà lasciare il campo a un pentapartito, guidato
ovviamente da un socialista, Giorgio Cardetti. Il testa-coda. Il 27 giugno 1983
si vota per le elezioni politiche nazionali. E Amato, candidato per la prima
volta alla Camera, risulta il socialista più votato in Piemonte: quasi 33 mila
preferenze, al primo colpo. Di quella campagna elettorale si parlerà a lungo, a
Torino. Perché l’irrompere di Amato, con la diretta investitura di Craxi,
semina lo scompiglio nei giochi correntizi del Garofano subalpino. Fino ad
allora comandano La Ganga per i craxiani e Antonio Salerno per la sinistra
interna. Si tratta di trovare un valido supporter per la campagna del professor
Amato. Che, in seguito a forti pressioni del vicesegretario Claudio Martelli,
viene “adottato” da uno dei signori delle tessere socialisti: Francesco
Coda-Zabet, altro esponente della sinistra con solidi agganci nelle autostrade,
nella sanità e nelle banche. “Per quella prima campagna di Amato – ci raccontò
anni fa un alto esponente del Psi dell’epoca, che ci chiese l’anonimato – fu
preventivata una spesa di 1 miliardo di lire. E non fu facile trovare tutto
quel denaro. Ma chi lo fece si svenò volentieri, sperando che Giuliano si
rivelasse un buon ‘investimento’. Gli amici di Coda riuscirono a racimolare 700
milioni. Gli altri 300 li procurò l’entourage di Giuseppe Rolando, assessore
socialista ai Trasporti, che però di suo non aveva mai una lira ed era solito
ricorrere a sistemi di approvvigionamento, diciamo, ‘alternativi’…”. Le
indagini del giudice istruttore Sebastiano Sorbello dimostreranno che Rolando
prendeva tangenti sugli appalti comunali dei trasporti, e si faceva pure
finanziare dai cambisti di Saint-Vincent rilasciando in garanzia assegni a
vuoto o postdatati. Amato dichiarerà di aver speso, per quella campagna, 50
milioni di lire. Ma il nostro interlocutore, l’Anonimo Socialista, aggiunge un
racconto di seconda mano che, se fosse vero, sarebbe davvero avvincente:
“Appena eletto, Amato volò a Roma per diventare sottosegretario alla presidenza
del Consiglio del nuovo governo Craxi. E quasi subito si dimenticò degli amici
che l’avevano aiutato, lasciandoli pieni di debiti. Coda-Zabet e Rolando,
infuriati, decisero di chiedergli indietro i soldi. Partirono per Roma e gli
diedero appuntamento in un ristorante. Quando Amato arrivò a mani vuote, Coda
perse la pazienza, impugnò una sedia e cominciò a rotearla per aria,
minacciando di colpirlo, mentre Rolando tentava di calmarlo e Amato guadagnava
rapidamente l’uscita. I due se ne tornarono a Torino con un pugno di mosche in
mano”. (1 – continua)
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