"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 7 maggio 2022

Piccolegrandistorie. 16 Uomini che hanno fatto l’Europa.

 

“Uomini che hanno fatto l’Europa”. Per dire di quel tanto che non guasta – per gli improvvisati salottieri e guerrafondai “de’ noantri” - che sta dietro alle quinte spesse della guerra “putiniana” all’Ucraina. Ha scritto Bernardo Valli in “Era già Putin venti anni fa” pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del primo di maggio 2022: (…). Anna Politkovskaja parlava di quel che vedeva e toccava con mano. Era difficile per lei immaginare le azioni di Vladìmir Putin. Ma lo giudicava capace di qualunque cosa. E così lo ha presentato nel libro (“La Russia di Putin”, 2005, Adelphi n.d.r.). La semplice cronista non poteva immaginare imprese capaci di mettere in agitazione mezzo mondo. Tutto sarebbe accaduto qualche lustro dopo. Lei era già morta. Uccisa. Gli assassini sono in carcere, ma i mandanti restano sconosciuti. Da viva non si lanciava in pronostici. Si atteneva ai fatti, e nei suoi anni le piaghe aperte del regime erano la corruzione e i soprusi in generale. In particolare, nella Cecenia in rivolta. Il teatro in cui si sarebbero svolti avvenimenti più allarmanti per il resto del mondo non sarebbe stata tuttavia la Cecenia, ma la limitrofa e indipendente Ucraina. Anna raccontava i fatti, analizzava quello che vedeva. Tratteggiava i ritratti dei protagonisti, ne elencava delitti e viltà con la precisione e l'asciuttezza di cui pochi reporter sono dotati. Con un'audacia senza retorica. Virtù rara nei suoi colleghi. Non poteva annunciare l'invasione dell'Ucraina, ancora tutta nella mente di Putin, ma descrivendo i particolari della situazione nella patria russa anticipava ben più gravi avvenimenti. Vladimir Putin è da poco al potere, ma è già sicuro di sé, negli anni in cui Anna ricostruisce, svela i delitti, le omertà, le azioni canagliesche degli incaricati dell'ordine pubblico, i furti dell'apparato poliziesco e del potere politico, post-comunista. In quegli anni Putin, l'ex tenente colonnello del Kgb, gestisce quel che resta dell'impero sovietico amputato: è diventato presidente e sogna di recuperare le province perdute, sfuggite al controllo di Mosca. Nel frattempo, esibisce una democrazia finta e corrotta. Una maschera che, con le sue inchieste, la disarmata cronista gli strappa dalla faccia. L'invasione dell'Ucraina ha ridato una straordinaria attualità al libro scritto quasi venti anni fa. Dalle prime righe emerge l'esercito russo d'oggi. Non è infatti cambiato. Anna ne fa il ritratto. Non è più quello - benché duro - di Vasilij Grossman, impegnato nella Seconda guerra mondiale e descritto in "Vita e Destino" e in "Stalingrado". Quello degli anni Quaranta combatteva in patria contro l'invasore. Nella Germania appena occupata i comportamenti poi mutarono. L'esercito impegnato negli anni Duemila in cui Anna compie con onestà il suo lavoro di cronista a Mosca ma in particolare nella Cecenia insubordinata, è un «luogo chiuso, chiuso come una prigione». La vita del soldato semplice è quella di uno schiavo. L' esercito russo, a differenza degli altri, ha un rapporto peculiare con la popolazione. In patria manca qualunque controllo della società civile sull'operato dei militari. Al di là dei muri di una caserma un ufficiale può fare a un soldato quello che vuole, quello che gli passa per la mente. Può trattare come più gli piace un subalterno. (…). I primi capitoli del libro di Anna Politkovskaja sono dedicati alle Forze Armate, descritte come un inferno dove le reclute sono sottoposte a umiliazioni crudeli, senza pietà. Le falsificazioni dei vari graduati sono comportamenti correnti; creazione di false prove e documenti, torture e processi che il più delle volte sono soltanto farse. La cronista dedica spazio al colonnello Budanov, il quale violenta e uccide una ragazza cecena, e finisce con l'essere assolto. Lo stesso esercito combatte, distrugge, violenta adesso in Ucraina. E l'ex tenente colonnello Putin, un presidente in esercizio ormai da più di vent' anni - tanti ne sono trascorsi da quando la giornalista Politkovskaja percorreva le contrade saccheggiate della Cecenia - ha allargato il campo d'azione delle sue Forze Armate all'Ucraina. Di seguito, il testo tratto da “Schroder, che portò il gas russo al popolo (e i benefit a se stesso)” di Pino Corrias, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 5 di maggio ultimo: Il bel tempo che fu, Vladimir Putin offrì a due stelle dell'Europa politica le chiavi della slot machine che a ogni giro del giorno suona le tre campanelle di Gazprom che pompa la linfa negli ingranaggi produttivi d'Occidente e in cambio incassa stratosferici guadagni per la gloria dello Zar e dei suoi oligarchi: un miliardo di euro al giorno, tutti i giorni dell'anno. Il primo era Romano Prodi, ex presidente del Consiglio italiano, e pure ex presidente della Commissione europea. L'altro era Gerhard Schroder, ex cancelliere tedesco che aveva appena lasciato le chiavi della Germania alla irresistibile ascesa di Angela Merkel. Prodi, che ha sempre avuto un angelo custode dossettiano, declinò con un "Per carità, no grazie". Mentre Schroder, in perfetta etica protestante, per nulla scalfita dalle paturnie socialdemocratiche sul conflitto d'interessi, chiese l'essenziale: "Quanto?". Era il 2005. Stava convolando a nozze con la sua quarta moglie, penultima di cinque, e il quanto avrebbe agevolato l'imminente trasloco nella nuova vita, a 61 anni, evviva gli sposi. Il quanto lo fece sorridere: 600 mila euro l'anno dalla Rosneft, altri 250 mila dal consorzio Nord Stream 2, due ingranaggi societari del gas russo, più spese, capricci e premi. Che comprendevano l'uso dei jet della compagnia, l'apparato di sicurezza, la foresteria all'87esimo piano del grattacielo di cristallo di Gazprom a San Pietroburgo, un ufficio ad Hannover. Il tutto senza intaccare il suo vitalizio da ex Cancelliere: 9 mila euro al mese di pensione, più una segreteria e lo staff. L'ingaggio avvenne in modalità calciomercato, coerente con la passione di Schroder per il suo Borussia, squadrone che lo annoverava tra le tessere oro della tri-buna vip. Neanche il tempo di sfilarsi la maglia di Cancelliere che già gli offrivano quella di presidente del Consiglio di sorveglianza del gasdotto che aveva raddoppiato durante i suoi 5 anni di governo, 1998-2005, vedi mai le coincidenze. A onor del vero, Schroder tentennò il tempo di una doccia e quello di ricevere sul proprio cellulare la telefonata del suo amico Vladimir che non aveva tanta voglia di scherzare: accetti o mi devo offendere? Due settimane dopo, Schroder - come un qualunque senatore di Rignano - si era già accomodato al cospetto del sultano, servitore del colosso energetico russo che nei successivi 17 anni ha reso sempre più indispensabile all'economia tedesca, italiana, europea, assecondato da tutto l'establishment dell'era Merkel, fino a garantire il 55 per cento del fabbisogno energetico della locomotiva tedesca. Il che ha voluto dire gas illimitato e a buon prezzo, ma anche dipendenza illimitata, che non è mai un buon prezzo. Specialmente da quando le spallate della Russia sono diventate sempre più perentorie, prima ai confini della Georgia, anno 2008, poi a quelli della Crimea, cancellati con l'annessione, anno 2014. Per diventare - tralasciando gli avvelenamenti dei dissidenti - la valanga di acciaio del 24 febbraio scorso, quando ha varcato quelli dell'Ucraina con il fuoco e le fiamme dei carri armati, dei missili, le fosse comuni. Guerra canaglia come tutte le guerre. Con l'Europa che, da un giorno all'altro, si è ritrovata a recitare due parti nella tragedia: armare la resistenza ucraina, in nome del diritto dei popoli, e insieme finanziare l'aggressione russa, in nome delle rispettive catene produttive. Schroder ha provato a fare il pesce in barile, "questa guerra è un errore", ma aggiungendo che anche i cancellieri precedenti, Willie Brandt e Helmut Schmidt avevano varato gasdotti che passavano persino nel sottosuolo della Guerra fredda. Lui si è limitato a incrementarli per garantire i fatturati della manifattura tedesca e i pasti caldi all'intera Germania. Dedicandogli una doppia pagina, il New York Times ha scritto che Schroder sta diventando un paria in patria. Il Parlamento tedesco vorrebbe revocargli il vitalizio. Mentre lo staff si è revocato da solo con dimissioni a catena. Ma se i suoi ex amici pensano di turbarlo con gli addii e gli attacchi, non hanno fatto i conti con la sua biografia di ferro. "Non faccio mea culpa. Non fa per me". Come il suo amico Putin, anche Gerhard viene dalla strada. Nasce nel 1944 in una famiglia povera della Bassa Sassonia, genitori segnalati come "elementi antisociali”. La madre analfabeta fa la donna delle pulizie. Il padre, soldato della Wermacht muore in battaglia in Transilvania senza avere mai visto l'ultimo nato dei suoi cinque figli battezzato Gerhard Fritz Kurt. L'infanzia è una battaglia che combatte per strada. Lo raddrizzano il lavoro in un ferramenta e la scuola serale. Lo salva la politica. E poi gli studi di Giurisprudenza. Diventa segretario dei Giovani socialisti a vent'anni, avvocato a 27, deputato al Bundestag a 35. Si trasferisce a Hannover, poi a Berlino. Scala il partito. Nel 1998 vince le elezioni con i Verdi, battendo Helmut Kohl. Diventa Cancelliere promettendo lotta alla disoccupazione, protezione sociale, investimenti nelle imprese. Nei suoi cinque anni di governo si oppone agli interventi armati degli Usa in Medio Oriente e nel 2002 si sfila dalla "Coalizione dei volenterosi" voluta da Bush figlio che decide di invadere l'Iraq, spianando con fuoco e fiamme le città e i villaggi, come in ogni guerra canaglia, anche se dai divani occidentali non si vedevano i morti e le macerie. Detestato da sempre dagli americani, Schroder è stato l'artefice del riavvicinamento della Germania con la Francia e specialmente con la Russia del suo amico Putin, "un impeccabile democratico". Oltre alla politica, ama le donne e il lusso. Veste italiano. Beve francese. Fuma cubano. Gioca con il suo passato da duro e per il suo congedo dal governo ha scelto My Way di Frank Sinatra come colonna sonora della festa. Oggi che i tempi si sono fatti cupi, la velocità con cui si è messo al servizio di Putin fa crescere a tanti il sospetto che lo fosse anche prima. Ogni giorno riceve attacchi da stampa e tv. Il Borussia gli ha revocato la tessera oro. Persino il suo partito non vede l'ora di cancellare la sua ombra lunga. Che minaccia non tanto il passato, quanto il presente, visto che è stato proprio Olaf Scholz, l'attuale Cancelliere, il suo migliore allievo. E fino a ieri, il suo pupillo, che oggi vorrebbe voltargli le spalle, ma senza spegnere il gas.

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