Tratto da “L’atroce
bellezza del soldato morente” di Tomaso Montanari pubblicato sul
settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 20 di maggio 2022: (…). …se
oggi mi è tornata in mente questa tela (sopra, “Soldato morente”, secolo
XVII, di incerta attribuzione n.d.r.) magnifica non è per la sua attribuzione, ma
per il suo significato. Un soldato morto, o forse meglio sul punto di spirare.
In una caverna, tra teschi e ossa: come un san Giorgio sconfitto dal drago.
Composto come un ballerino, cui potrebbero appartenere quelle leziosissime
scarpe col fiocco. È quasi l'alba, il cielo si rischiara. Ma la lanterna ha
finito l'olio, si spegne: il soffio vitale è esaurito. E le bolle, in primo
piano, parlano dell'umana fragilità, della facilità di spezzare una vita. In
queste settimane ho pensato ogni giorno ai civili, ai genitori e ai figli, ai
maestri e ai medici dell'Ucraina sotto le bombe. Ai disertori: perché è
benedetto chi dice no alla guerra, in ogni modo e in ogni forma. Ma questo
quadro è un epicedio per chi è caduto in armi. Quelle
maledette armi con cui, invasori e invasi, sperano di vincere la guerra. Belle,
scintillanti, eleganti: come una bara che chiude per sempre corpo e anima di
questo soldato steso ad aspettare la morte. Ma più bello delle armi è il soldato:
i suoi capelli ribelli da ragazzo, il suo profilo elegante, la sua mano ossuta
e troppo grande - come succede agli adolescenti che non hanno finito di
crescere. Bello: ma di una bellezza atrocemente rapita dalla morte. Come non
vederci i corpi senza vita dei soldati russi, mandati al massacro da un tiranno
mostruoso. E quelli dei soldati ucraini, che né il loro governo né i nostri
riescono a salvare. Sono tutti uguali nella morte. Perfino quelli dei mostri
che combattono su entrambi i fronti. I nazisti del battaglione Azov col sole
nero sull'uniforme, e i ceceni che sembrano posseduti dalla morte anche da
vivi. Ma davvero di fronte a un corpo così qualcuno riesce a parlare di eroismo
e di patria, di bandiere e libertà? Ideali per vivere, non per morire. Lasciamo
che a celebrarli con parole colme di menzogna siano i capi dei governi: che a
morire non vanno. Noi sostiamo in silenzio, accanto a quei corpi. Tutti
sdraiati così, mentre il sole sorge inutilmente e la lanterna della vita si
spegne. Ha scritto Michele Serra in “Come taniche vuote”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del
15 di maggio 2022: Di tutte le notizie di guerra, molte delle quali di infernale
brutalità, questa dei cadaveri dei soldati russi lasciati a terra come taniche
vuote, e non reclamati da Mosca, è forse la più crudele. Non ci fossero
numerose testimonianze dirette, di molte fonti diverse, si stenterebbe a
credere che per davvero si possa compiere un simile tradimento dei propri
figli. Perché di questo si tratta: ragazzi di vent'anni mandati a morire dai
loro padri e dimenticati nella polvere e nel fango. Riportare in patria quei
corpi, e consegnarli alle famiglie, significherebbe ammettere che i morti russi
sono molte migliaia, forse dieci volte più delle cifre ufficiali. La cura dei
morti è antica come la civiltà umana. Esprime pietà per chi abbandona la vita e
contiene, al tempo stesso, la speranza che il viaggio continui in un altro
mondo. Soprattutto per questo in tutte le culture le pratiche di sepoltura sono
così accurate: è un lungo viaggio, e ci si deve presentare in ordine. Specialmente
per chi ha fede, o dice di averla, abbandonare ai corvi e ai topi un cadavere è
un sacrilegio. Chissà se ha qualcosa da dire in proposito il patriarca Cirillo,
ammesso che trovi il tempo, tra una benedizione della guerra "in difesa
dei valori tradizionali" e una maledizione dell'Occidente corrotto, di
fare finalmente il prete, e ricordarsi di portare i sacramenti ai defunti, e
dare loro sepoltura. Perché quei cadaveri abbandonati fanno pensare,
inevitabilmente, che dei valori tradizionali, ai capi della Russia, non importi
un bel niente. Paradossale che tocchi a noi miscredenti ricordare al patriarca
il suo mestiere.
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