“Guerra&Semantica”. Tratto da “La guerra degli errori allontana il
dialogo” di Fabio Mini, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 28 di
maggio 2022, novantaquattresimo giorno di “guerra”: Nel fiume di parole dette e
scritte, strillate o sussurrate, che è esondato su tutti i nostri media, alcune
parole importanti sono state sommerse dal fango della vergogna e della
menzogna, trasportate dai detriti di ideologie divelte, confuse tra le ondate
di piena dell’intolleranza, dell’irrazionalità e della strumentalizzazione. Ad
esempio, la parola “aggressione”: nel diritto internazionale definisce una
violenza armata di uno Stato contro un altro, fatta con forze preponderanti e
senza preavviso. Ed è un crimine internazionale per quasi tutti gli aggressori.
Quasi. Con vari escamotage e cavilli non sono risultati criminali né la Nato
per l’attacco alla Serbia né gli Stati Uniti per la guerra all’Iraq del 2003 e
altre guerre sparse. Ancorché la norma appaia ferrea, la sua applicazione è
ancora oggetto di discussione tra gli esperti giuridici. Dal 2005 è stata
inserita la norma della “Responsabilità di proteggere” e la sua applicazione
nel quadro delle azioni previste dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni
Unite che assegna agli Stati e alleanze la responsabilità di proteggere i
propri cittadini dai crimini internazionali come genocidio, crimini di guerra e
contro l’umanità e pulizie etniche. In questo caso l’Ucraina, gli Stati Uniti,
la Nato e l’Unione europea sono stati velocissimi nel qualificare le operazioni
russe come aggressione, ma senza considerare gli otto anni in cui l’Ucraina non
solo non ha protetto i propri cittadini del Donbass da crimini contro
l’umanità, ma essa stessa ha intrapreso azioni violente contro di essi. Nessuno
ha poi dato retta alle osservazioni russe sul fatto che l’intervento era stato
chiesto da autorità di repubbliche autoproclamate e impegnate nella reciproca
sicurezza. È vero, si tratta di questioni legali, opinabili e saranno opinate
in tutte le sedi a partire dalle Nazioni Unite, ma intanto si spara, si ammazza
e il termine “aggressione” è entrato stabilmente nel lessico ufficiale dei
rapporti internazionali riferendosi esclusivamente alla Russia. Eppure da
quando è iniziata l’invasione russa, gli stessi americani hanno cominciato a
modificare la parola aggressione in “aggressione-non-provocata”. Non c’è tweet
o discorso ufficiale in cui tale nuovo termine non sia usato per definire la
guerra in corso. Siccome la giurisprudenza internazionale non prevede la
giustificazione o attenuante della provocazione per l’aggressione, la modifica
lessicale è quantomeno sospetta. Da un lato sembra offrire alla Russia uno
spiraglio a una possibile derubricazione del reato; dall’altro, appare come una
auto-assoluzione per tutti i precedenti di aggressione effettuati dalla Nato e
dagli Stati Uniti o, peggio, per l’accusa di aver provocato l’aggressione
russa. Altre parole chiave che hanno perduto il loro significato e la valenza
etico-politica sono “autodeterminazione” e “intervento umanitario”. Usate e
abusate per giustificare le guerre occidentali condotte dagli Usa e dalla Nato,
non valgono per le popolazioni russofone dell’Ucraina che non volevano stare
più in un Paese che con i presidenti Yushchenko e Poroshenko avevano perpetrato
l’annientamento politico e fisico delle loro comunità. C’è poi la parola
“minaccia” che nella forma di minaccia totale è applicata alla Russia e che
nella forma di “minaccia esistenziale” è invocata dalla Russia. La prima è il
pretesto per elevare i toni e i rischi di escalation bellica, la seconda è una
linea rossa tracciata dalla Russia per non ammettere eccessivi compromessi. In
questo caso, gli Stati Uniti e la Nato negli ultimi 24 anni hanno minacciato la
Russia su tutti i fronti, ma essa ha reagito con la forza soltanto quando essa
è diventata esistenziale. Ossia nella questione della sicurezza del Caucaso e
in quella della Crimea. Oggi la minaccia totale non riguarda l’Ucraina ma tutta
l’Europa, come minimo, e per la Russia è esistenziale la minaccia posta
dall’Ucraina e dalla Nato. Mentre non sembra “esistenziale” la prospettiva di
un ingresso nella Nato di Finlandia e Svezia. Una soluzione sensata per i
negoziatori. Ora, se soltanto si potesse far capire a eventuali negoziatori il
significato e le conseguenze dello stravolgimento lessicale, forse si potrebbe
trovare una soluzione sensata. Tuttavia lo stesso negoziato è in crisi per
l’errata e fuorviante interpretazione di un’altra parola chiave: diplomazia. Si
sente dire che “quando le armi parlano la diplomazia tace”: è una idiozia e un
crimine. Se i responsabili delle diplomazie europee e statunitensi non avessero
chiuso il confronto dialettico con Mosca non saremmo giunti a questo punto.
Anche il dialogo che parte con gli “aut aut” è pur sempre un punto di partenza.
E se al primo ostacolo si chiudono i canali significa solo che o non si sa fare
diplomazia o non si vuole nessun accordo e allora è infantile e ipocrita
affermare dopo, a guerra iniziata, di voler la pace o la sospensione delle
ostilità. Ma anche in questo caso è doveroso non rinunciare al dialogo. (…). …la
situazione in Ucraina sembra più difficile che mai ed è prossima a
un’escalation regionale e globale per una situazione formale che di fatto ha
incancrenito i rapporti fra Russia e Stati Uniti. A partire dalla rivoluzione
arancione del 2004 e dal colpo di stato contro il presidente Yanukovich del
2014, entrambi fomentati e finanziati dagli Stati Uniti, è stato perseguito un
livello di ambizione smodato da parte di tutti: la Russia ha ritenuto
sufficiente far valere il proprio potere di deterrenza nucleare per rientrare
da protagonista nella geopolitica globale e conservare un regime autoritario;
gli Stati Uniti hanno approfittato della debolezza intrinseca della Russia per
eliminarla dalla competizione globale sottovalutando la minaccia nucleare; la
Nato ha coltivato l’espansione verso oriente erodendo non solo territori
d’influenza ma la stessa dignità della Russia; l’Unione europea ha creduto di
allargarsi alle spese della Russia e di rinsaldare il proprio interno seguendo
la scia di Nato e Usa; l’Ucraina ha creduto di potersi liberare dall’influenza
russa e ghettizzare la popolazione russofona con le armi, contando sull’aiuto
statunitense e della Nato. La Partnership strategica Washington-Kiev. Aiuto che
in effetti c’è ancora e in termini così chiari e concreti da aver superato da
tempo la linea rossa della minaccia esistenziale. Ecco su cosa si basa questo
aiuto. Nella “Carta sulla Partnership strategica tra Usa e Ucraina” firmata a
Washington il 10 novembre 2021 dal segretario di Stato Blinken e dal ministro
degli Esteri ucraino Kuleba, che aggiorna la precedente firmata nel 2008, (…). Come
si può osservare, le ambizioni di tutti si stanno scontrando con la realtà e
non sarà facile indurre a una loro riformulazione soltanto gridando e
insultando da lontano. Forse è meglio cominciare a sussurrare qualcosa di più
ragionevole che riguardi la sicurezza europea e globale nel suo complesso. Il
tempo per ragionare e negoziare è adesso, mentre si combatte, perché,
disgraziatamente, nessuno vuol finire la guerra presto.
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