Il 18 di maggio dello scorso anno Franco Battiato
ci lasciava. Nella tristissima circostanza la scrittrice siciliana Nadia
Terranova Lo ricordava in “Il dio greco
del vulcano, irregolare e imprevedibile” dalle pagine del quotidiano “la
Repubblica” - nell’edizione di Palermo - del 19 di maggio dell’anno 2021: Franco Battiato era nato a Ionia, una città
che non esiste: è esistita per pochi anni, il tempo di
dare i natali a un genio inclassificabile, visionario e libero. Poi, quella
cittadina in provincia di Catania, sul mar Ionio e alle pendici dell’Etna, è
tornata a essere due, Giarre e Riposto, ma ha continuato a vivere come luogo
unico sulla carta d’identità di Battiato. Che, ricordiamolo, non era solo un
cantante, ma un genius loci fra i miti e le leggende della Sicilia Orientale,
come Scilla, Cariddi e le sirene. Ed era un artista dalle mille incarnazioni:
il ballerino scomposto con il corpo da elfo, il filosofo con la barba bruna dei
saraceni medioevali, una creatura inafferrabile la cui essenza era mobile fra i
dipinti e le parole. Battiato pittore, cantautore, studioso, regista:
irregolare in ogni disciplina, imprevedibile e profondo. Battiato era il dio
greco del vulcano, il volto arabo della muntagna, il derviscio che danza due
metri sopra le colate laviche. Battiato sta all’Etna come Cola Pesce allo
Stretto, e forse ora possiamo pensarlo così, a salvare la Sicilia dalle sue
mille catastrofi, i terremoti, le eruzioni, e dalle sue disgrazie peggiori,
opposte e speculari: il compiacimento e l’incomprensione. Ci mancherà
moltissimo, ma sappiamo dove andarlo a trovare. Il siciliano Emanuele
Lauria, a quel tempo, Lo ricordava sulle pagine nazionali, sempre del quotidiano
“la Repubblica” ed alla stessa data, così: "Maestro, vuole fare
l'assessore?". "Presidente, io avrei una tournée europea".
"Va bene lo stesso". Novembre 2012, cominciò così l'incredibile
avventura politica di Franco Battiato: poco più di quattro mesi al Turismo con
licenza di spaziare. Tanto che la sua delega, per capirci, si estendeva alle
"meccaniche celesti". Andava così, in quello scorcio irripetibile,
nel bene e nel male, della storia siciliana: a Palazzo d'Orleans un presidente
comunista, omosessuale e col giubbotto antiproiettile, e attorno una giunta di
star. Con Battiato c'era il fisico Antonino Zichichi: uno, l'artista, governava
nelle pause dei concerti, l'altro si collegava dal Cern di Ginevra. Doveva fare
la rivoluzione, Crocetta, e puntò sulle grandi firme. Abbattendo le distanze. Per
avere l'autore di "Povera patria" salì con la sua blindata fino a
Milo, nella villa alle pendici dell'Etna, dove concluse con successo un
corteggiamento sfiancante. "Va bene, accetto, ma io non amministrerò: contaminerò":
disse proprio così, Battiato, gettando nello sgomento l'Isola dei califfati e
delle poltrone distribuite con il Cencelli. A Palermo, come detto, si faceva
vedere ben poco. La prima volta mise le cose in chiaro: "Non voglio avere
a che fare con i politici". Obiettivo ambiziosetto, per un assessore. La
seconda volta mise da parte ogni circonlocuzione: "Qui si sono fottuti
tutto". Riferimento colorito agli uffici squassati dal caso Giacchetto, il
manager al centro dell'inchiesta su opachi e robusti finanziamenti per
pubblicità, comunicazione, grandi eventi. Battiato era, ovviamente,
immarcabile, malgrado i lodevoli tentativi del dirigente generale Alessandro
Rais, uno degli uomini di cui Crocetta si fidava di più. Un alieno, quel
cantautore dall'aria mistica, anche nel parlamento più antico d'Europa: un
giorno si presentò a Palazzo dei Normanni senza cravatta, con una giacca di
velluto e gli occhiali da sole new wave. Non lo fecero entrare. Lui trovò la
cosa assurda e si lasciò andare in una dissertazione surreale, in cui alternava
il dialetto catanese e citazioni di Ibn Hamdis, di Rilke, di Holderlin. Non
aveva idee, aveva visioni: Lady Gaga al Politeama con l'orchestra turkmena, una
Sicilia neofedericiana. Ma no che non poteva durare. Cominciarono a criticarlo
per le assenze. Il presidente dell'Ars Giovanni Ardizzone lo bacchettò durante
la discussione del Dpef, ma figuratevi uno come Battiato che rapporto potesse
avere con il Dpef. Ebbe il tempo di annunciare un dossier sulle anomalie nella
gestione dell'assessorato al Turismo prima del suo avvento. "Si sono
fottuti tutto", appunto. Qualcuno pensò di querelarlo: "Non è che
siccome si chiama Battiato può dire tutto". La straordinaria parabola
dell'assessore Francesco Battiato, che nei ridicoli archivi di Palazzo
d'Orleans trovi alla voce "tecnici", si interruppe d'improvviso il 27
marzo del 2013, con la leggendaria accusa alle "troie in Parlamento":
quella frase Battiato la pronunciò a Bruxelles e risuonò negli emicicli di
Camera e Senato. Indignazione generale che coinvolse persino Matteo Salvini, lo
stesso che oggi pubblicamente lo piange e che allora lo definì sui social
"Piccolo uomo". Lui, il Maestro, ignaro dei 400 lanci di agenzie che
riportavano le reazioni indignate alle sue dichiarazioni, quella sera rispose
al telefono da Bruxelles. "Non ci posso credere. Io non ce l'ho con le
donne ma con chi si vende, con i politici corrotti". Un discorso in linea
con quanto cantava in "Povera patria", dove i governanti sono
definiti "perfetti e inutili buffoni". Troppo tardi. Crocetta non
trovò la forza di difenderlo, lo sollevò dall'incarico e inviò una lettera di
scuse ai presidenti di Camera e Senato. "Dissi a Rosario che non poteva
cacciare Battiato, interpretando il pensiero di migliaia di siciliani. Ero
deluso e triste, abbastanza convinto che Battiato fosse al di là del bene e del
male", ricorda oggi Giancarlo Costa, uno dei più stretti collaboratori di
Crocetta. Ma era finita, quell'esperienza. Si era chiusa un'epoca, visto che
l'allora governatore ne approfittò per allontanare anche Zichichi, che in un
memorabile discorso a Sala d'Ercole aveva narcotizzato la platea parlando di
raggi cosmici e meccanica quantistica. Addio alla giunta delle star. E al posto
di Battiato, Crocetta nominò la sua segretaria particolare, Michela Stancheris.
La stagione dei portenti era già terminata.
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