Ha scritto oggi – mercoledì 11 di maggio 2022 - Gustavo
Zagrebelsky sul quotidiano “la Repubblica” – “Europa, svegliati e ritrova te stessa attraverso la politica” -: (…).
C’è, (…), una questione preliminare alla disputa tra realisti e idealisti: che
cosa occorre perché di politica, propriamente, possa parlarsi. È una questione
che viene prima dei contenuti, cioè di ciò che vogliamo intendere per “buona” o
“cattiva” politica. Possiamo tradurre la domanda così: quando un soggetto che
si autodefinisce “politico”, in realtà, non lo è? Molto semplice. Quando si
lascia portare dagli eventi, come un bastoncino di legno trasportato dalla
corrente e non opera per determinarli. Gli eventi, certo, condizionano la
politica, ma non fino a dominarla. La politica non è il luogo in cui
semplicemente “si galleggia”, si subisce la nuda forza dei fatti. Chi si fregia
del titolo di “politico”, proponendosi come tale e cercando consenso mentre
solo sa galleggiare, non è altro che un opportunista, forse un ipocrita, uno
che, talora, sa parlare bene ma non merita d’essere creduto né, tantomeno,
sostenuto. La ragione è semplice: il galleggiamento tra gli scogli riguarda
solo lui, la sua sopravvivenza, la sua carriera. In sintesi: il politico è
colui che si pone dei fini (buoni o cattivi, è altro discorso), è al servizio
di essi, e, weberianamente, si prepara e agisce consapevolmente, competentemente
e tenacemente per cercare di realizzarli. Tutto il resto è solo strumento:
proporsi nel discorso pubblico, cercare e accrescere il consenso, promuovere
alleanze, disarticolare gli avversari, eccetera, è utile e necessario, ma se è
solo questo, non è politica, è politicantismo. Riconosciamo i politicanti dal
loro trasformismo, dalla facilità con cui cambiano posizione, cioè dal fatto
che, in realtà, non ne hanno alcuna se non quella di servire se stessi dove e
come conviene. Il politico degno di questo nome, invece, è una “testa dura”; è
pragmatico solo quanto ai mezzi. Nella sfera politica, cambiare opinione è
possibile, qualche volta giusto e necessario, sempre, però, pagando un costo:
il riconoscimento dell’errore passato e la disponibilità ad ammettere la
possibilità di errori presenti e futuri. Onde, la testa dura del politico deve
essere anche una testa umile, capace di riconoscere i suoi limiti e, se del
caso, di ritirarsi dalla politica. Potremmo ragionare finché vogliamo su queste
cose che affascinano gli scienziati e i filosofi politici. Ora, però, urgono
questioni di sostanza. Quali siano i fini politici spetta, per l’appunto, alla
politica determinare. (…). …viviamo oggi in una “epoca esecutiva”. (…). Questa
“scala di valori” con l’esecutivo in cima non è la stessa dappertutto ed è
tipica degli Stati che, difettando di libertà e quindi di politica, devono fare
di necessità virtù. In un’epoca esecutiva come è quella che stiamo
attraversando, si parla di etica, ma è una cosa diversa dall’etica politica. È
efficienza e fedeltà nell’adempimento di compiti preassegnati. I discorsi su
etica e politica sono dunque vaniloqui se quest’ultima difetta di autonomia.
L’Europa, che s’invoca proprio nel frangente che attraversiamo, ha a che fare
con questi discorsi, con la libertà della politica? Sì, se guardiamo alle
ragioni fondative del progetto della sua unità. Esistevano ottime ragioni per
promuovere l’integrazione economica e commerciale in un libero mercato comune
tra Stati storicamente ostili da cui si ipotizzava (a torto) che sarebbe venuta
naturalmente l’integrazione politica, come effetto indotto. Ma, l’intenzione
più profonda degli spiriti lungimiranti fu, per l’appunto, la creazione di uno
spazio di libertà politica in un mondo spaccato in due, in cui la “guerra
fredda” tra le due superpotenze obbligava gli Stati europei a schierarsi
schiacciandosi o di qua o di là. Si sarebbe potuto trattare della creazione di
un terzo polo sufficientemente forte per sviluppare una politica propria. In
politica, il numero due, nella specie Usa e Urss, è il numero della prossima
probabile catastrofe, è il numero dei due lottatori avvinghiati tra loro fino
alla fine di uno o di entrambi. (…). Il numero tre è, invece il numero
dell’equilibrio dinamico in cui tutti possono essere “terzi” e il confronto
politico può svolgersi non come lotta per distruggersi ma come confronto per
accreditarsi gli uni rispetto gli altri. L’Europa come “terzo” era la generosa
speranza, alternativa all’“equilibrio del terrore” e alla “strategia della
tensione” sempre a rischio di sfuggire dal controllo e di degenerare in guerra
aperta. Abbiamo per troppo tempo fatto come se “la Bomba” non esistesse e,
oggi, il tabù che sembrava proteggerci si è rotto mostrandoci scenari
terrificanti. L’Europa politica ha un senso solo se afferma il suo diritto di
“differenziarsi”, cioè di porsi come “terzo”. Altrimenti, sono sufficienti gli
ambasciatori che comunicano ai governi la volontà della potenza egemone; oppure
le visite dei capi dei governi che, senza mandato, si recano a riceverne le
istruzioni o a fare promesse. Riprendiamo da capo. Per poter parlare di etica
politica non retoricamente occorre lavorare insieme per costruire lo spazio
della differenziazione. L’Europa che non sa di essere se stessa e nemmeno ha
l’orgoglio di cercare di esserlo non sarà mai un soggetto politico. E, meno che
mai, lo saranno gli Stati che la compongono. La sua etica sarà quella
dell’esecutore fedele, per non dire del servo, inutile per la pace. Tratto
da “Usa e Nato anti-Mosca: fungo atomico
sull’Ucraina” di Fabio Mini pubblicato su il “il Fatto Quotidiano” di ieri:
(…).
La guerra tra Russia e Ucraina presentata come un conflitto “locale” si è
rivelata per quanto di peggio potesse andare, almeno per noi europei.
L’Amministrazione Usa e la Nato hanno chiarito che lo scopo non è finire la
guerra ma “terminare” la Russia. Qualsiasi negoziato è inutile perché l’Ucraina
vuole la Russia fuori dai propri territori e, come dice il Segretario generale
Stoltenberg, la Nato non accetterà mai “l’annessione illegale della Crimea da
parte della Russia”. Quindi anche le velate offerte di Zelensky sul ripristino
della situazione al 23 febbraio vanno a farsi benedire. In quel giorno la
Crimea era russa e le autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk avevano
fatto un patto di reciproca assistenza e sicurezza con la Russia. Dopo aver a
lungo e invano richiesto autonomia amministrativa nell’ambito dell’Ucraina e
aver patito 8 anni di repressione poliziesca e militare, si sono decise a
dichiararsi indipendenti. Il 23 febbraio la situazione era ancora negoziabile,
se fosse stata veramente una questione tra Russia e Ucraina. Ma in realtà non
lo era e non doveva esserlo, perché la questione ucraina conteneva un nodo
molto più difficile e importante: l’assetto della sicurezza in Europa. La
pretesa della Russia di legare la questione locale a una revisione dei patti
scritti e non scritti era tanto razionale quanto pericolosa per la stessa
credibilità e sopravvivenza della Nato e dell’Unione europea. Oggi sul piano
locale esistono due schieramenti militari che si fronteggiano: tatticamente
equilibrati ma strategicamente squilibrati. Sul piano tattico esiste un fronte
che si sviluppa lungo una fascia profonda mediamente di 100 km all’interno
dell’Ucraina (compresi i territori delle neo-repubbliche) a est e a sud. È un
fronte in assestamento, non ancora completamente sigillato ma non in espansione
in un senso o nell’altro. I territori retrostanti al fronte sono “liberi” e lì
il supporto alle operazioni funziona. Non funziona invece l’attraversamento del
fronte per le evacuazioni di civili che possono rappresentare una opportunità
per la fuga o l’infiltrazione di avversari. L’evacuazione della popolazione da
Mariupol, ad esempio, non è mai avvenuta prima dell’occupazione russa. La città
era destinata al martirio fin da subito. Gli occupanti russi hanno evacuato
decine di migliaia di persone, ma solo poche centinaia han potuto attraversare
il fronte verso l’Ucraina tra mille difficoltà poste non solo da chi li fa
uscire ma da chi li deve far entrare. La nostra propaganda definisce
“deportati” i primi e “liberati” gli altri; s’enfatizza il ruolo di Kiev e si
tace su quello di Croce Rossa o Onu o degli stessi russi che li traggono dai
rifugi. Sul piano strategico la Russia ha strumenti militari da impiegare,
l’Ucraina no, a eccezione della propaganda veramente efficace anche se
orchestrata e sorretta da quella “occidentale”. Su tale piano l’equilibrio di
potenza è possibile solo con l’intervento di Nato e Usa. E questo è già in atto
sul piano politico (schieramento internazionale), economico (sanzioni),
dell’informazione (coalizione mediatica) e militare (fornitura di armi e
intelligence). La situazione generale può migliorare almeno temporaneamente
lasciando spazio ai negoziati e quindi ai compromessi; può peggiorare sia con
l’aumento d’intensità dell’intervento russo, sia con l’intervento occidentale
diretto a spostare il conflitto sul piano strategico. Una cosa è certa: la
situazione attuale non è affatto stabilizzata e la ricerca dell’equilibrio
tattico è in realtà lo sfruttamento di un “vantaggio” strategico che Usa, Nato
e Ue potenzialmente hanno già. L’opzione nucleare, che tutti i belligeranti
dicono di non considerare, è invece quella maggiormente studiata e alimentata.
Nato e Russia hanno già gli strumenti tattici per attuarla anche limitandone
l’uso al teatro europeo, cioè il nostro. La Russia possiede 5.977 testate
nucleari di cui 1000-2000 tattiche, gli Stati Uniti 5.428 di cui 230 tattiche.
La Russia ha pronti per il lancio nucleare 1.588 missili, gli Stati Uniti ne
hanno 1.644. La Gran Bretagna ha un totale di 460 ordigni nucleari di cui 120
attivi (pronti al lancio), la Francia 300 attivi. Nel 2012 la Nato ha avviato
un piano di ammodernamento delle testate nucleari tattiche, capaci di colpire
obiettivi fortificati ed esser lanciate da aerei stealth, invisibili ai radar.
L’esclusione dei negoziati sposta il conflitto dal piano tattico a quello
strategico che a sua volta comporta l’indifferenza nei riguardi della sicurezza
europea e dell’Ucraina che è divenuta sacrificabile alla luce dell’obiettivo
dichiarato. D’altro canto, anche con negoziati che non riguardino l’assetto
della sicurezza europea, la Russia non ha alcuna speranza di risolvere il
conflitto e nemmeno d’evitare la sfida aperta di Usa e Nato. Anche ritirandosi
dall’Ucraina non estinguerebbe la minaccia né ai confini né all’interno. La Nato
sarebbe in Ucraina con le basi e i missili e conquisterebbe la Bielorussia, il
Caucaso, il Mar Nero e il Mar Baltico e altri territori russi a partire da
Kaliningrad. Tutto ciò sarebbe l’avverarsi del sogno d’egemonia continentale
statunitense che molti coltivano da sempre e che gli stessi europei nella Nato
e nell’Ue han fatto proprio. Potrebbe anche essere il sogno della Russia se
avesse possibilità d’inserirsi in un “nuovo ordine europeo” meno aggressivo nei
suoi confronti. Ma così non è e la prospettiva di spostare il confine del
potere americano dall’Ucraina alla Cina, comporterebbe il rischio per la Russia
di trovarsi in prima linea su tale fronte, in qualità di proxy: sogno o incubo?
Inoltre, non è detto che la Russia intenda rassegnarsi all’incubo o a svendersi
al minor offerente quando possiede ancora armi tattiche e strategiche per
evitarli. Come? Usando proprio tali armi nella maniera che a essa viene già
attribuita: da macellai. Stati Uniti, Nato ed Europa stanno di fatto muovendo
in tale direzione contando sul vantaggio strategico ed escludendo il ricorso a
quel nucleare che possa provocare ritorsioni sugli Stati Uniti o i loro
territori. Dell’Europa non importa niente a nessuno. Tra le opzioni strategiche
della deterrenza nucleare prevista dalle dottrine occidentali e orientali,
compaiono il colpo dimostrativo, l’attacco preventivo e la deterrenza per
punizione: un attacco così improvviso, sproporzionato e devastante da togliere
a chiunque la voglia di combattere. Questa deterrenza funziona ed evita
l’escalation se è credibile. E diventa tale solo per chi l’adotta per primo.
Finché se ne parla o si abbaia non serve a niente ed è per questo che la
baldanza della Nato dovrebbe impensierire. L’abbaiare alla porta della Russia
di Papa Francesco, non è quello del “can che non morde” è il latrato della muta
di cani pronta all’attacco che chiede solo di essere sguinzagliata. Stati
Uniti, Nato e Russia che dicono di non voler ricorrere al nucleare, hanno la
capacità e gli obiettivi su cui esercitare le opzioni senza arrivare
all’immediato scontro nucleare globale. Dove? In Ucraina. Nato e Usa possono
colpire obiettivi militari russi tra tutti quelli schierati in Donbass e
Crimea, la Russia ha a disposizione il resto dell’Ucraina. La tentazione di
spianare i russi in Ucraina è già un’opzione statunitense, della Nato e
dell’Ucraina. Quella di spianare l’Ucraina trasformandola in un deserto
intransitabile è già un’opzione della Russia. Chi non l’adottasse dovrebbe
esser canonizzato.
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