A lato. "Putin" in un murale apparso a Los Angeles.
Ha scritto Marco Travaglio in “Scemi di guerra” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 18 di marzo 2022, ventitreesimo giorno dall’aggressione all’Ucraina:
(…). …il
sempre lucido Biden (…) ha confessato: da almeno sette anni, cioè dalla rivolta
spontanea che cacciò il presidente filorusso Yanukovich (vincitore delle
elezioni nel 2010), gli Usa armano Kiev. E – come osserva Caracciolo – Putin ha
attaccato adesso perché tra un anno l’armamento ucraino avrebbe rappresentato
una seria minaccia per la Russia. Ora, non contenti, Biden manda altre armi per
1 miliardo di dollari e la Ue per 1 miliardo di euro, senza che nessuno si
domandi a chi, visto che l’esercito regolare ne ha già a sufficienza. Gli scemi
di guerra raccontano che armiamo la gente comune per resistere. Ma il trasporto
è affidato ad agenzie private di mercenari, che non le consegnano certo al
ragioniere di Kiev o al panettiere di Mariupol aspiranti partigiani: le passano
a gente del mestiere, come le milizie paramilitari che affiancano le truppe
regolari senza che il governo faccia un plissé. Incluso il battaglione Azov, la
milizia neonazista inquadrata nella Guardia nazionale, che sventola vessilli
con la svastica e bandiere Nato, segnalata da Onu e Osce per crimini di guerra,
torture e stragi di civili in Donbass e non solo. L’altroieri un miliziano di
Azov s’è fatto un selfie con un mitra Beretta Mg42/59 appena giunto
dall’Italia. E il sottosegretario ai Servizi Franco Gabrielli, su Rete4, ha
candidamente ammesso che sappiamo bene di armare anche i neonazi, ma “quello è
un ragionamento che faremo dopo: ora urge portare Putin al tavolo delle
trattative”. Già, ma se ci sarà un “dopo”, chi glielo spiega a quei
gentiluomini che devono ridarci le armi? E, se non ce le ridanno, non saranno
un ostacolo alla pace, che inevitabilmente passa per il ritiro delle truppe
russe e il disarmo di queste opere pie? Non sarebbe il caso, mentre il
negoziato procede, di bloccare le armi non ancora partite, onde evitare che al
prossimo giro – come al solito – qualche amico divenuto nemico ce le punti
contro e ci spari? (…). Sta scritto in “Kiev, una matrioska con la Nato dentro”, lavoro a “quattro mani” di
Franco Cardini – storico e Medievista – e di Fabio Mini – già generale di Corpo
d’Armata –, pubblicato nel volume “Ucraina,
la guerra e la Storia” – edito da PaperFist, euro 13 – e riportato su “il Fatto
Quotidiano” di oggi 17 di maggio 2022: Partiamo dal discorso televisivo di Putin
della notte del 25 febbraio 2022. Con la
Nato Commise errori, in quel momento, il presidente russo? Senza dubbio, sì. E
ne è prova palese il celebre passo falso dell'invito agli alti ufficiali
dell'esercito ucraino a destituire Zelensky, prendere in mano la situazione e
trattare direttamente la pace. Quell'appello risentiva di un'effettiva
disinformazione a proposito sia del progresso della popolarità del leader di
Kiev presso la sua gente, sia dell'avanzare in Ucraina di un nuovo sentimento
nazionale che andava radicandosi al di là dei vecchi schemi autonomistici e
separatisti e che da tempo aveva metabolizzato, fagocitato e superato - anche
se forse non del tutto, né magari per sempre - l'antica affezione per la
Russia, quando non fosse stato addirittura sostituito da un più o meno
accentuato senso russofobico. A ciò vanno aggiunti il crescere soprattutto tra
le giovani generazioni di atteggiamenti e costumi "occidentali" e -
cosa non ancora sufficientemente studiata, e almeno per ora e dall'Occidente
difficile da studiare - la capacità d'innervamento che il costante, intenso lavoro
di propaganda mediatica e di reclutamento anche materiale da parte della Nato e
delle sue organizzazioni parallele e complementari avevano potuto portare
avanti. Così come, se possiamo avanzare alcune ipotesi quantitative sulle armi
entrate dall'Occidente in Ucraina, poco si può dire sui "consiglieri
militari" come quelli britannici, sul personale tecnico più o meno celato
sotto vesti militari, sui "volontari" o contractors o istruttori che
hanno rafforzato qualitativamente e quantitativamente le forze armate ucraine
in una misura che era ed è probabilmente sfuggita ai servizi russi. La trappola
tesa dagli americani a Putin, oltre che consistere nell'obbligarlo a scegliere
tra un'azione militare che gli avrebbe fatto guadagnare il titolo e la veste
giuridica di aggressore e un'immobilità che sarebbe stata forse letale non solo
per le sue funzioni, ma per il suo stesso prestigio, ha consistito nel fargli
trovar la sorpresa di un Paese che era in un modo o nell'altro sostanzialmente
già membro della Nato. Gli errori tattici e strategici, l'impantana-mento, la
"guerra d'attrito", il cedere dell'entusiasmo e della sicurezza sono
venuti di conseguenza. Ma non è detto che questo iniziale svantaggio, che ha
ridotto l'efficacia della superiorità della forza d'urto militare, non si trovi
sulla via di venir assorbito e corretto. D'altro canto, Putin può essere stato
sorpreso anche dal grado di coesione tra americani ed europei, vale a dire dal
livello di subordinazione, ormai anche intima e magari compiaciuta, che
l'Unione Europea nei suoi quadri politici, militari, mediatici e civili ha
dimostrato nei confronti degli Usa e della Nato. Forse, dalla prospettiva della
lontana Mosca e nonostante il disgelo degli ultimi decenni, i risultati di tre
quarti di secolo di americanizzazione a tutti i livelli - dall'American way of
life al Tu vuo' fa' l'americano - hanno alfine dato i loro frutti.
"Ribellarsi: ecco la nobiltà dello schiavo", diceva il vecchio
Nietzsche. Gli europei, e soprattutto gli italiani, hanno dimostrato di essere
degli schiavi ignobili. (...). Di fronte alle cose che non si sanno o a quelle
che si sanno certamente farse, la tecnica della "guerra di
propaganda" mira al conseguimento di risultati tangibili nel più breve
tempo possibile. In particolare si devono ottenere la condanna del nemico,
l'indignazione internazionale, altre sanzioni, altre armi, altri interventi
militari che innalzino il livello dello scontro e lo imbarbariscano
ulteriormente. Questa tecnica di fatto trasforma l'informazione da strumento
della guerra a guerra a sé stante. Con le sue vittime reali, inclusa la verità.
A Bucha la stessa voce di chi vuole l'accertamento indipendente contiene il
dubbio della manipolazione quando dice che "non si faranno sconti a
nessuno" (cancelliere Scholz). Visto che finora alla Russia non è stato
scontato nulla e invece all'Ucraina è stato scontato tutto, la frase non è un
invito alla giustizia ma un monito a chi si sospetta abbia ordito un macabro
piano. E comunque l'accertamento non è partito e i testimoni veri, i corpi,
vengono trasportati altrove. La cosa più urgente in questi casi sarebbe la
messa in sicurezza di tutta l'area, l'intervento di specialisti di scena del
crimine, il recupero e conservazione dei cadaveri e l'indagine immediata da
parte di medici forensi. Soltanto sui dati rilevati si deve basare l'inchiesta
legale, dalle cui risultanze possono derivare responsabilità e giudizi. Ogni
situazione che non sia esaminata secondo tali procedure rende problematico ogni
possibile accertamento. A Bucha e in ogni altro luogo di presunti eccidi il
giudizio è stato espresso prima ancora che fossero prese le misure più
immediate, e la condanna è già stata emessa sul piano politico. In casi come
questi la condanna a priori compromette l'accertamento delle responsabilità
oggettive e rende ancora più lunga e difficile la ricerca della verità. Ci sono
voluti anni per capire che il "massacro" di Racak era una montatura.
Anni per capire che l'eccidio di Srebrenica era stato coperto con diversi spostamenti
e risepolture di migliaia di cadaveri. Le salme di Bucha e della stazione di Kramators'k,
come le oltre precedenti e successive, sono vere, e come le altre custodiscono
la verità e "parlano". Ogni compromissione delle procedure, inclusa
la fretta, riesce anche a far tacere i cadaveri e allora i dubbi rimangono, e
su di essi si inasprisce la lotta fra i contendenti. Ma per la guerra di
propaganda è meglio un dubbio oggi che una certezza fra dieci anni. Specie se
si sviluppa in un regime a senso unico. Tutte cose già viste in ogni altra
parte del mondo.
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