"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 24 maggio 2022

Dell’essere. 42 «La memoria informatica non ci chiede di pensare, ma solo di digitare».

Ha scritto Umberto Galimberti in “Cosa perdiamo affidandoci alla memoria informatica”, pubblicato sull’ultimo numero del settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 21 di maggio 2022: L’eccessiva digitalizzazione della nostra vita rischia di compromettere passato, presente e futuro. Ma poi, per fortuna, c’è il pensiero che incrina sempre il sistema. (…). …guardo con sospetto questa euforia che accompagna tutti i progetti di digitalizzazione e questo entusiasmo per la memoria informatica a cui affidiamo tutti gli aspetti della nostra vita, dimenticando che la memoria informatica, a differenza della memoria culturale, non ha una localizzazione nello spazio e tanto meno nel tempo, dove il passato, solo per quel che serve, viene riassorbito nel presente, come peraltro il futuro in termini di previsione e possibilità di controllo. Come pura raccolta di informazioni la memoria informatica non riesce ad approdare a una narrazione, ma solo a uno stoccaggio di dati immagazzinati e resi disponibili alla politica e all'economia per legittimare le proprie scelte in termini di competitività, miglior ripartizione delle spese, assistenza alle imprese, alla scuola, alla famiglia, in vista di un controllo ottimale della società. I dati e le informazioni non spiegano il mondo, e ne è prova il fatto che oggi, anche se siamo ben informati, ci manca il senso dell’orientamento per muoverci in una società complessa che non può essere ridotta al codice binario (l/0) di cui si serve la memoria informatica nel tentativo di semplificare la complessità del reale. Inoltre la memoria informatica non ci chiede di pensare, ma solo di digitare, come se si potesse pensare senza corpo. È il sogno dell'intelligenza artificiale. Se infatti tutta la fisiologia e la patologia del nostro corpo sono controllate dal cervello, perché non controllare anche il controllore? E con il controllore, vita e morte, salute e malattia, vulnerabilità e invulnerabilità, senza farci mancare la possibilità di poter anticipare gli eventi, sondare le preferenze, scomporre la vita emotiva nelle sue componenti elementari, onde poterle meglio conoscere e nel caso manipolare. A questo punto sorge inquietante la domanda se all'uomo è riservata ancora una storia che porti dentro di sé l'imprevedibile, o se ciò che il futuro ci riserva è solo la regolarità della previsione, dove il "non ancora" si inabissa in un terribile "non più". Se questo dovesse essere l'esito ultimo del nostro sapere dovremmo cominciare a chiederci se la conoscenza programmata dalla memoria informatica non costituisca un limite alla nostra libertà, che forse non è mai scesa dal cielo per conferire dignità all'uomo, ma è scaturita dall'anarchia del nostro cervello, finché questo saprà sottrarsi alle sonde (e ai sondaggi) che vogliono omologarlo. (…). …posso dire che c'è qualcosa di non omologabile che sfugge a ogni programmazione, c'è qualcosa di "intrattabile" che resiste a ogni forma di trattamento, c'è l'esistenza che ogni giorno incontra la sua precarietà, c'è il pensiero che, quando non è calcolante, quando davvero pensa, incrina ogni sistema che non è in grado di pensare, ma solo di calcolare, e in tal modo apre all'imprevedibile, restituendo al futuro la sua natura di "avvenire" non ancora "avvenuto". Il pensiero, quando pensa, incrina il sistema perché vuole la sua porzione di memoria non programmata, vuole il suo posto nello spazio e nel tempo che la memoria informatica contrae in un assoluto presente. Il pensiero non vuole alloggiare in una "rete" come un pesce imprigionato, ma abitare quell'orizzonte che si staglia al di là di ogni orizzonte raggiunto, perché il senza-confine è la sua casa. Per altri preoccupanti aspetti della vita di questo spazio temporale che ci è dato di vivere Fabio Mini ha scritto sui deleteri risultati derivanti dalla frequentazione oggigiorno eccessiva, se non ossessiva, di televisione e social-media - “Troppo tempo su TV e social: i disastri danno dipendenza” – pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 9 di aprile ultimo: L’alienazione mentale provocata da eccessivo uso da social media è ormai un fatto stabilito. Ugualmente alienante e meno riconosciuto è il ruolo delle televisioni. Si chiama Doomscrolling (letteralmente "ricerca dei disastri" - DS) la ricerca continua sul telefonino o al computer di storie e notizie riguardanti storie negative o tragiche. L'equivalente del DS è lo stesso passare ore alla televisione guardando programmi volutamente negativi e saltando freneticamente da uno all'altro (zapping) sempre alla ricerca di brutte notizie o contenuti angoscianti. Ormai è clinicamente dimostrato che il DS crea dipendenza, che a sua volta induce alla ricerca di compensazione dello stress con i cosiddetti "meccanismi di coping disadattivi" come l'eccesso di alcolici, tranquillanti o eccitanti, droghe, o il ricorso alla violenza o all'isolamento. La guerra è la più grande produttrice di disastri e i gestori di reti, telefonini e tv dovrebbero rendere chiaro questo messaggio, come sui pacchetti di sigarette. A ogni click di Twitter, Facebook e gli atri su argomenti disastrosi come le guerre e le tragedie a esse correlate dovrebbe apparire la scritta "nuoce gravemente alla salute mentale e fisica". Gli esperti dicono che il DS è compulsivo e confortante per chi sviluppa la dipendenza psicologica. E c'è il modo per capire se si è raggiunto tale stadio: basta vedere se la prima azione della giornata è la ricerca del telefonino o del telecomando e se l'ultima è quella di spegnerli, magari dopo 18-20 ore di utilizzo. Sempre gli esperti raccomandano di dedicare al DS non più di mezz'ora al giorno ...e di "scrollare" anche fra i siti di musica e barzellette (aggiungo io). Parallelo al DS è lo Hatescrolling (HS), definito come la ricerca e la partecipazione all'odio nei confronti di persone o organizzazioni. È diverso dal piacere sadomaso di cercare qualcosa che odi perché ovviamente malvagio ma che ti piace. L'HS è la sindrome che colpisce chi genuinamente odia qualcuno o qualcosa e che non prova alcun piacere neppure perverso, ma che non può fare a meno di andare a cercarlo e insultarlo o minacciarlo e perfino usargli violenza fisica. Può essere dovuto alla sensazione che l'odio sia necessario per migliorare le cose o che l'adrenalina sprigionata dalla manifestazione di odio sia diventata una droga. Gli HS possono includere gli wannabe hipster ovvero quelli che vogliono essere alla moda e seguire una tendenza, e quelli che sono attratti dall'odio in sé più che dalle persone da odiare. In questa guerra la quantità di veleno e odio che sgorga da ogni mezzo d'informazione supera di molto la normalità, se esiste, dell'odio. E l'oggetto, la guerra, diventa la giustificazione dell'odio. Le sue ragioni e perfino i torti scompaiono.

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