Ha scritto Raniero La Valle in «Liberaci
dal “WarShow” per poi salvare noi stessi» pubblicato
su “il Fatto Quotidiano” di ieri, domenica 8 di maggio 2022: (…). Il
combinato disposto ("l'operazione'') che ha portato alla guerra ha (…)
deviato il corso della storia", inaugurando "un percorso di tregue
interrotte, certo non di vera pace", in cui "saranno riscritti i
rapporti di forza su scala globale", come spiega Limes nel numero
intitolato "Fine della pace" che non si può archiviare anche se altri
Poi ne sono usciti. Se questo infatti è il crinale che divide due epoche, noi
siamo lì, sulla soglia della prima tregua, e dobbiamo decidere tutto su come
vogliamo continuare; ossia tutti dobbiamo decidere tutto. Naturalmente questo
lo possiamo fare solo nella sfera del decidibile, che può comprendere
l'instaurazione della pace solo se rifiutiamo l'idea, che invece ci viene data
per scontata, che "la guerra sia connaturata all'uomo". Se non lo è
(e sarebbe strano che l'orgoglioso Occidente si ritenesse inabilitato a
decidere su ciò che più conta) è da tutti professato che dobbiamo liberarci
dalla guerra, soprattutto dalle warshow, come a partire da questa saranno tutte
le future guerre paramondiali, a eccezione di quella nucleare che invece non
potrà essere filmata da nessuno. Ma intanto oggi sembra caduto il tabù della
guerra nucleare. La liberazione dalla guerra, invece della lotta per
"stabilire un vincitore unico e definitivo" per il dominio del mondo,
come ci imputano i cinesi, sarebbe certo una rivoluzione, maggiore di tutte le
altre, da quella americana a quella francese a quella d'Ottobre, che pure sono
state possibili. Ma, per un'ultima citazione di Limes, che sembra rovesciare
l'inquietante previsione di tutto il dossier, diremo che la rivoluzione è
possibile solo se è pensata e voluta, come suggerisce la "profetica
prosa" di Anna Maria Ortese, come "la liberazione degli altri".
Gli altri sono prima di tutto gli altri popoli, "i popoli muti di questa
terra", quelli interessati a vivere, non a contendersi, combattendo, il
potere. La decisione da prendere è dunque, d'ora in poi, di liberare gli altri
dalla guerra, dai lager, dalla fame, dalla povertà, dalla privazione della
dignità e del lavoro, dalla perdita della politica, dal dovere di fuga e dalle
migrazioni forzate, dalla malattia e mancanza di cure, dall'incrudelirsi del
clima, dal dissesto ecologico e dalla devastazione della Terra. Ma perché la
liberazione "degli altri", perché questo scambio con gli altri,
perché questa cura, impossibile senza amore, per gli altri? Perché solo così
possiamo salvare noi stessi. Per far questo occorre costruire una cultura che promuova
la coscienza e il gusto dell'unità umana, che metta i popoli al di sopra degli
Stati, che generi una riforma dell'Onu e un costituzionalismo mondiale - a cui
pur si era cominciato a mettere mano – onde siano ridotte armi e armate, i beni
fondamentali siano resi pubblici, i diritti siano affermati per tutti e resi
effettivi da adeguate istituzioni sovrastatali di supplenza e di garanzia. Se
questa è l'agenda, essa chiama in causa tutti. E dunque, se si può scrivere
questo in un articolo di giornale, chi ha rinunziato a ogni impegno lo assuma,
chi ha smesso di studiare lo faccia di nuovo, chi ha lasciato la politica vi torni,
chi ha sfasciato partiti li costruisca, chi ha servito iniqui padroni si
liberi, chi ha chiuso, riapra. Di seguito, “L’escalation della disumanità” di Edgar Morin pubblicato sul quotidiano
“la Repubblica” del 3 di maggio ultimo: (…). Il carattere internazionale della
guerra in Ucraina sta crescendo. È vero che il campo occidentale, guidato dagli
Stati Uniti, dichiara di non essere in guerra con la Russia. Ma il suo
intervento militare a favore dell’Ucraina è una guerra indiretta, a cui si
aggiunge una guerra economica acuita dall’aumento delle sanzioni. Siamo in
piena escalation, sostenuta da nuovi bombardamenti, nuove accuse reciproche,
nuove ondate di criminalizzazione reciproca. La guerra indiretta inclusa nella
guerra d’Ucraina può in qualsiasi momento allargarsi in seguito a dei
bombardamenti non accidentali sul territorio russo o europeo. Oltre a questo,
Putin ha ripetuto la sua minaccia di una risposta “immediata e fulminea” se una
certa soglia non specificata di ostilità o interferenza minacciasse la Russia,
riferendosi a un’arma decisiva, sconosciuta a qualsiasi altro Paese, che solo
la Russia possiederebbe. Questa minaccia non è presa sul serio dagli Stati
Uniti e dai suoi alleati, sulla base di un argomento apparentemente razionale,
ben noto fin dalla guerra fredda. Se la Russia vuole annientarci, una risposta
immediata la annienterebbe a sua volta. Questo argomento razionale non tiene
conto di una possibile accidentalità e di una possibile irrazionalità. La
possibile accidentalità sarebbe il lancio involontario di un ordigno nucleare
contro il potenziale nemico, che scatenerebbe una risposta nucleare immediata.
La possibile irrazionalità è quella di un dittatore pieno di rabbia o in preda
al delirio. In ogni caso, è attualmente probabile (sapendo anche che
l’improbabile può accadere) che tra uno slittamento e l’altro la guerra si
estenda ai territori europei e sia resa più ampia da missili intercontinentali
sui territori russi e americani senza risparmiare l’Europa. Una terza guerra
mondiale, di un nuovo tipo, che utilizza delle armi nucleari tattiche a raggio
limitato, dei droni, la guerra informatica per distruggere i sistemi di
comunicazione che sostengono la vita delle società, sarebbe il risultato logico
dell’ampliamento dell’attuale guerra internazionalizzata. Aggiungiamo
un’osservazione importante: la guerra introduce nei Paesi in conflitto
controlli, sorveglianza, l’eliminazione di qualsiasi opinione che si discosti
dalla linea ufficiale e lo scatenamento della propaganda per giustificare
permanentemente i propri atti e criminalizzare ontologicamente il nemico. La
Russia di Putin era già uno Stato autoritario agli ordini di un dittatore. La
guerra ha aggravato il controllo e la repressione lì, colpendo non solo coloro
che si sono opposti all’aggressione, ma anche coloro che hanno messo in dubbio
la sua validità. In Ucraina, la caccia alle spie e ai terroristi ha dato luogo
a un controllo della popolazione, gli eccessi commessi da alcune delle sue
truppe o dai banderisti vengono nascosti, e pur denunciando delle violenze
reali, la propaganda si scatena contro un nemico totalmente criminalizzato. In
Francia, anche se non siamo un Paese belligerante e viviamo ancora nelle
estreme comodità della pace, abbiamo accesso solo alle affermazioni più mendaci
della Russia di Putin e alle immagini delle distruzioni che provoca. Siamo nell’escalation della disumanità e nel crollo
dell’umanità, nell’escalation del semplicismo e nel crollo della complessità.
Ma soprattutto, l’escalation verso la guerra globale è il crollo dell’umanità
nell’abisso. Possiamo sfuggire a questa logica infernale? L’unica possibilità
sarebbe un compromesso di pace che stabilisca e garantisca la neutralità
dell’Ucraina. Lo status delle regioni russofone del Donbass potrebbe essere
deciso con un referendum. Quello della Crimea, una regione tartara parzialmente
russificata, meriterebbe uno status speciale. Insomma, le condizioni per un
compromesso, per quanto difficile da stabilire, sono chiare. Ma la
radicalizzazione e l’ampliamento della guerra ne stanno innegabilmente
riducendo le possibilità. La situazione geopolitica dell’Ucraina e la sua
ricchezza economica in grano, acciaio, carbone e metalli rari la rendono una
preda ambita per quei grandi predatori che sono le due superpotenze. Lo
spostamento dell’Ucraina verso l’Occidente dopo Maidan ha provocato
l’aggressione russa, e l’aggressione russa ha provocato non solo il sostegno a
una nazione vittima di un’invasione, ma anche il desiderio di integrarla
al’Occidente, che era del resto quanto desiderava la maggioranza degli ucraini.
L’Ucraina è vittima non solo della Russia, ma del peggioramento delle relazioni
conflittuali tra gli Stati Uniti e la Russia, compreso, naturalmente,
l’allargamento della Nato, che è a sua volta inseparabile dalle preoccupazioni
sollevate dalla guerra russa in Cecenia e dal suo intervento militare in
Georgia. La salvezza dell’Ucraina non sta solo nel liberarsi dall’invasione
russa, ma anche dall’antagonismo tra la Russia e gli Stati Uniti. Le sanzioni
contro la Russia, pur colpendo duramente non solo il regime di Putin, ma anche
il popolo russo, non sappiamo fino a che punto colpiscano anche i sanzionatori
ricadendo in parte su di loro: non è solo il loro approvvigionamento energetico
e alimentare ad essere minacciato, è senza dubbio, con l’aumento
dell’inflazione e le restrizioni a venire, la loro economia e tutta la loro
vita sociale: una crisi economica è sempre di per sé generatrice di regressioni
autoritarie e dell’instaurazione durevole di società di sottomissione. La
Russia di Putin è un abominevole regime autoritario. Ma non è paragonabile alla
Germania di Hitler; il suo egemonismo panslavista non è, come quello di Hitler,
la volontà di colonizzare l’Europa e di schiavizzare i popoli razzialmente
inferiori. Qualsiasi hitlerizzazione di Putin è eccessiva. Siamo in un mondo
dominato dagli antagonismi tra le superpotenze e consegnato a deliri etnici,
nazionalisti, razzisti e religiosi. Per quanto le superpotenze possano essere
ripugnanti in vari modi, la distensione nei loro conflitti è una condizione
sine qua non per evitare disastri diffusi. Dobbiamo quindi sforzarci di
raggiungere un compromesso. Questo non salverebbe l’umanità, ma ne
guadagnerebbe una tregua e, forse, una speranza.
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