Ha scritto Giacomo Papi in “Il profeta del selfie” – tratto dalla Sua fatica editoriale “Italica”, pagg. 448, Euro 20, Rizzoli Editore (2022) – e riportato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, sabato 14 di maggio 2022: “Soltanto i cadaveri non si scattano selfie. Soltanto i morti non si mettono in posa”. Il “profeta” di Giacomo Papi? Poffarbacco, ma è il Primo Levi nel racconto breve “In fronte scritto”:
Decisero di fare il viaggio di nozze in auto, con la tenda, ma evitando i camping organizzati, ed anche dopo che furono tornati si trovarono d’accordo nel presentarsi in pubblico il meno possibile: cosa non molto gravosa per due giovani sposi, per di più indaffarati a mettere su casa. Tuttavia, entro pochi mesi il loro disagio era quasi scomparso: l’agenzia doveva aver fatto un buon lavoro, o forse altre agenzie l’avevano imitata, poiché non era ormai più raro incontrare per strada o sul filobus individui dalla fronte segnata. Per lo più erano giovani o ragazze attraenti, molti erano visibilmente degli immigrati: nella loro scala, un’altra giovane coppia, i Massafra, portava scritto in fronte, in due versioni gemelle, l’invito a frequentare una certa scuola professionale per corrispondenza. Fecero presto amicizia, e presero l’abitudine di andare insieme al cinema, e a cena in trattoria alla domenica sera: un tavolo era riservato per loro quattro, sempre lo stesso, in fondo a destra entrando. Si accorsero in breve che anche un altro tavolo, contiguo al loro, era frequentato abitualmente da gente segnata, e venne loro naturale di attaccare discorso e di scambiarsi confidenze sui rispettivi contratti, sulle esperienze precedenti, sui rapporti col pubblico, e sui piani per l’avvenire. Anche al cinematografo, quando era possibile, prendevano posto nelle poltrone che stavano a destra entrando, perché avevano notato che diversi altri segnati, uomini e donne, usavano sedersi di preferenza in quei posti. Verso novembre, Enrico calcolò che un cittadino su trenta portava qualcosa scritto sulla fronte. Per lo più erano inviti pubblicitari come i loro, ma si incontravano talvolta sollecitazioni o dichiarazioni diverse. Videro in Galleria una giovane elegante che recava scritto in viso «Johnson boia»; in via Larga, un ragazzo dal naso rincagnato come i pugili che recava «Ordine = Civiltà»; fermo ad un semaforo, al volante di una Minimorris, un trentenne con le basette che recava «Scheda bianca!»; sul filobus numero 20 due graziose gemelle, appena adolescenti, che portavano scritto in fronte, rispettivamente, «Viva il Milan» e «Forza Zilioli». All’uscita di un liceo, un’intera classe di ragazzi recava scritto «Sullo go home»; incontrarono una sera, in mezzo alla nebbia, un personaggio indefinibile, vestito con vistosa pacchianeria, che sembrava ubriaco o drogato, e sotto la luce di un lampione rivelò la scritta «INTERNO AFFANNO». Era poi diventato comunissimo trovare per strada bambini che portavano in fronte, scarabocchiati con una penna a sfera, viva e abbassi, ingiurie e parole sporche. Enrico e Laura si sentivano dunque meno soli, ed anzi, incominciavano a provare fierezza, perché si sentivano in certa misura dei pionieri e dei capostipiti: erano anche venuti a sapere che le offerte delle agenzie erano addirittura precipitate. Nell’ambiente dei vecchi segnati correva voce che, per una scritta normale, su di una sola riga e per tre anni, ormai non si offrissero più di 300000 lire, e il doppio per un testo fino a trenta parole con un marchio d’impresa. A febbraio ricevettero in omaggio il primo numero della «Gazzetta dei Frontali». Non si capiva bene chi la pubblicasse: per i tre quarti, naturalmente, era zeppa di pubblicità, e anche il quarto residuo era sospetto. Un ristorante, un campeggio e vari negozi offrivano ai Frontali modesti sconti sui prezzi; si rivelava l’esistenza di un club, in una viuzza di periferia; si invitavano i Frontali a frequentare la loro cappella, dedicata a san Sebastiano. Enrico e Laura ci andarono una domenica mattina, per curiosità: dietro l’altare era un grande crocifisso di plastica, e il Cristo portava scritto INRI sulla fronte anziché sul cartiglio. Press’a poco allo scadere del terzo anno del contratto, Laura si accorse di aspettare un bambino, e ne fu lieta, benché, con i recenti aumenti del costo della vita, la loro situazione finanziaria non fosse brillante. Andarono dal Rovati a proporre un rinnovo, ma lo trovarono assai meno gioviale di un tempo: offerse loro una cifra irrisoria per un testo lungo ed ambiguo in cui si vantavano certe filmine danesi. Rifiutarono, di comune accordo, e scesero al centro grafico per la cancellatura; tuttavia, a dispetto delle assicurazioni della ragazza in camice bianco, la fronte di Laura rimase ruvida e granulosa come per una scottatura, e poi, guardando bene, il giglio stilizzato si distingueva ancora, come le scritte del Fascio sui muri di campagna. Il bambino nacque a termine, regolarmente: era robusto e bello, ma, inesplicabilmente, portava scritto sulla fronte «OMOGENEIZZATI CAVICCHIOLI». Lo portarono all’agenzia, ed il Rovati, fatte le opportune ricerche, dichiarò loro che quella ragione sociale non esisteva in alcun annuario, ed era sconosciuta alla Camera di Commercio: perciò non poteva offrire loro proprio niente, neppure a titolo di indennizzo. Gli fece ugualmente un buono per il centro grafico, affinché la fronte del piccolo fosse cancellata gratuitamente. Ha scritto Giacomo Papi: Nel mondo immaginato da Primo Levi chiunque si può far tatuare in fronte, a pagamento e per un certo periodo di tempo, il nome di un prodotto da pubblicizzare. (…). La profezia di Primo Levi racconta, invece, un fenomeno più profondo: la trasformazione di ogni essere umano nel testimonial di un prodotto, a cominciare da se stesso. I presupposti tecnologici sono stati gli smartphone e i social media (in Italia Facebook è arrivato nel 2008), che però risposero a una spinta già evidente agli albori del cinema, della radio e della televisione, cioè dei mezzi di comunicazione di massa di cui la pubblicità è, da sempre, l'anima. È un processo che ha attraversato tutto il Novecento, ma che è entrato nella sua ultima fase, quella attuale, nel 1983, quando l'impiegato della Minolta Hiroshi Ueda brevettò il bastone da selfie, dopo essere stato derubato della macchina fotografica al Louvre da un ragazzo a cui aveva chiesto di essere fotografato con la famiglia. Il selfie-stick rimase un bizzarro gadget per giapponesi per quasi trent'anni, fino a quando nel 2010 Apple lanciò l'iPhone4, il primo telefonino di massa dotato di doppia telecamera (...). L'obiettivo bifronte fece esplodere il bastone di Ueda, ma soprattutto rivoluzionò il modo in cui l'umanità percepisce se stessa e si mette in scena per gli altri. La possibilità di rivolgere l'obiettivo verso se stessi affermò che lo spettacolo non è soltanto il mondo esterno, è ognuno di, e che esiste un diritto à mettersi in scena e a impedire che lo facciano gli altri. (...). Con il selfie la fotografia ha cessato di essere un istante catturato da chi guarda per diventare una rappresentazione di chi si mostra. Il doppio obiettivo a ristrutturato e sfumato il confine tra chi osserva e chi è osservato, ha trasformato il soggetto in oggetto, lo spettatore in spettacolo. Per questo è una delle più grandi rivoluzioni culturali della storia. Il miglioramento continuo della qualità delle immagini e la possibilità di pubblicarle immediatamente su piattaforme sempre più virali rendono la nostra vita sociale simile a un'infinita serata delle diapositive dopo le vacanze organizzata per mostrare agli altri e convincere se stessi della propria felicità, per promuoversi o promuovere il marchio che ti paga per farlo. Su Instagram le uniche fotografie spontanee (...) sono le vecchie foto di persone adulte, per non dire anziane, che mostrano quant'erano belli o belle una volta. Tutti gli altri, a cominciare dai ragazzini, sono invariabilmente in posa perché oggi si impara già da bambini la grammatica dell'immagine, il proprio profilo migliore, i software per fotoritocco e come muovere il proprio corpo per farlo aderire ai parametri estetici dominanti. (…). Il titolo del racconto di Levi, In fronte scritto, è una citazione non esplicitata di un verso del poeta settecentesco, Pietro Metastasio, che oggi appare una precognizione del disagio da celebrità digitale di cui psicologi e influencer denunciano sempre più spesso. Scrive infatti Metastasio: "Se a ciascun l'interno affanno si leggesse in fronte scritto, / quanti mai che invidia fanno, / ci farebbero pietà". (...). Il doppio obiettivo insegna quello che gli antichi sapevano, e cioè che ogni immagine ruba qualcosa dell'anima che ritrae, se non altro perché la costringe a esistere al servizio del proprio ritratto, della propria rappresentazione per gli altri. Nel delineare, con grazia umoristica e paradossale, ma perfino timida se osservata con gli occhi di oggi, il passaggio di ogni individuo dallo stato di consumatore a quello di testimonial, Primo Levi descrive il tramonto della sfera pubblica, la sistematica sostituzione dell’opinione pubblica con quella pubblicitaria. Non è una questione privata perché riguarda le guerre che sempre più spesso sono pianificate come prodotti da promuovere. Riguarda il racconto fotografico della storia come autorappresentazione e auto-promozione. Anche Mussolini si faceva scolpire come un antico romano, ma oggi la messa in scena avviene in diretta. Non esistono foto dei morti americani in Iraq e ne esistono pochissime dei soldati. Le uniche rimaste nella memoria sono quelle dei torturatori di Abu Ghraib (...). Il loro è stato uno spot involontario, che ha provocato un immenso danno di immagine agli Stati Uniti, ma è stato comunque uno spot. Sono stati spot anche i video delle decapitazioni che gli sgozzatori dell'Isis diffusero a decine, intorno al 2015. (...). Pubblicità e propaganda sfumano l'una nell'altra. (...). Le immagini dell'Ucraina devastata sono state utilizzate come una minaccia all'esterno, per dire al mondo potrebbe capitare anche a voi, ma all'interno della Russia sono state vietate chiudendo i social media in modo che la guerra rimanesse un'"operazione militare speciale". Soltanto i cadaveri non si scattano selfie. Soltanto i morti non si mettono in posa.
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