Il testo che segue, “Le grandi potenze dalla Guerra Fredda alla pace calda” del filosofo
sloveno Slavoj Zizek – riportato sul quotidiano “la Repubblica” del 28 di marzo
ultimo -, può ben rappresentare il prosieguo di quella ricerca della “complessità”
della quale si accennava con il testo di Donatella De Cesare riportato nel post
di ieri: In russo, quando l'ufficiale dà il ritmo di marcia ai soldati urla:
"Raz, dva, raz, dva..." ("uno, due, uno, due..." o
"sinist, dest, sinist, dest..."). Qualche anno fa, a Mosca, mi hanno
detto che Putin viene spesso chiamato "Dvaputin" ("Rasputin,
Dvaputin..."). E Dvaputin è sicuramente peggio di Rasputin, che all'inizio
della Grande Guerra ammoniva la famiglia degli zar sul rischio che un pieno
impegno della Russia nel conflitto, vista la povertà e le sofferenze della gran
maggioranza della popolazione, potesse portare alla caduta dell'intero sistema.
L'intuizione che con l'invasione dell'Ucraina stiamo entrando in una nuova fase
del concetto di guerra è pienamente azzeccata. La novità non è soltanto che
entrambe le parti sono dotate di armi nucleari e che sta emergendo una nuova
retorica (Putin ha fatto capire chiaramente che la Russia è pronta a usare le
armi nucleari per prima). Ci stiamo avvicinando a una tempesta perfetta, in cui
una serie di catastrofi (pandemia, riscaldamento globale, scarsità di cibo e di
acqua, guerre...) si rafforza a vicenda, tanto che la scelta non è
semplicemente fra guerra e pace, ma uno stato di emergenza mondiale in cui le
priorità cambiano di continuo. La follia di fondo della situazione necessita di
una spiegazione: in un'epoca in cui quasi tutti riconoscono che la nostra
stessa sopravvivenza è a rischio per ragioni ecologiche (e non solo), e in cui
tutto quello che facciamo dovrebbe essere subordinato alle misure per far
fronte a questo pericolo, all'improvviso la preoccupazione principale è
diventata una nuova guerra che può solo abbreviare la via verso il nostro
suicidio collettivo. In un momento in cui la cooperazione a livello globale è
più necessaria che mai, lo "scontro di civiltà" è tornato in grande
stile. Tutti vogliamo la pace, ma gli appelli astratti alla pace non bastano:
"pace" di per sé non è un termine che possa consentirci di tracciare
la differenza politica fondamentale. Gli occupanti vogliono sempre la pace nei
territori che controllano, e lo pensano veramente. Dobbiamo impedire una nuova
grande guerra, ma l'unico modo per farlo è impegnarci in una mobilitazione
totale contro la "pace" di oggi, che può essere mantenuta solo
attraverso guerre locali. Cuba, dopo la caduta dell'Unione Sovietica, proclamò
un período especial en tiempos de paz, vale a dire condizioni di guerra in
tempo di pace. Forse oggi dovremmo usare la stessa terminologia per la
situazione in cui ci troviamo. Su chi possiamo fare affidamento in simili
condizioni? Artisti e pensatori? Una pragmatica realpolitik? L'ideologia spesso
evoca una qualche dimensione nascosta dietro il velo delle apparenze per
coprire il crimine che viene commesso (e legittimato dall'ideologia) apertamente.
L'espressione preferita che annuncia questa duplice mistificazione è "la
situazione è più complessa": un fatto ovvio - per esempio una brutale
aggressione militare - viene relativizzato evocando una "situazione molto
più complessa sullo sfondo" (che, come prevedibile, rende l'aggressione un
atto di difesa). E in Ucraina non sta succedendo esattamente questo? La Russia
ha attaccato l'Ucraina, ma molti cercano la "complessità" che c'è
dietro. Sì, certo che c'è complessità, ma il dato di fondo rimane: è stata la
Russia. Il nostro errore è stato non prendere le minacce di Putin abbastanza
alla lettera: pensavamo che non facesse sul serio, che stesse solo facendo un
gioco di manipolazioni strategiche. La suprema ironia è che non si può fare a
meno di rievocare la famosa battuta ebraica citata da Freud ("Perché mi
stai dicendo che vai a Leopoli se in realtà stai andando a Leopoli?")
quando una bugia assume la forma di una verità fattuale: i due amici hanno
stabilito un codice implicito per cui quando uno va a Leopoli dirà che va a
Cracovia e viceversa, e all'interno di questo spazio dire la verità letterale
significa mentire. Quando Putin ha annunciato l'intervento militare, non
abbiamo preso la sua dichiarazione che voleva pacificare e denazificare tutta
l'Ucraina abbastanza alla lettera, perciò il rimprovero che gli strateghi
"profondi", delusi, muovono a Putin ora è: "Perché mi dicevi che
volevi occupare Leopoli quando in realtà volevi occupare Leopoli?". In
altre parole, questa duplice mistificazione implica la fine della realpolitik
come la conosciamo: "adottare o praticare misure diplomatiche o politiche
basandosi principalmente su considerazioni legate a determinate circostanze e
fattori, invece di rimanere rigidamente legati a nozioni ideologiche esplicite
o premesse etiche e morali". Durante la Guerra fredda, le regole del
comportamento internazionale erano chiare, garantite dalla MADness (cioè
follia, dove però MAD stava per mutually assured destruction, reciproca
distruzione assicurata) delle superpotenze: ogni parte poteva essere sicura che
se avesse deciso di lanciare un attacco nucleare contro l'altra quest'ultima
avrebbe risposto con piena forza distruttiva, perciò nessuna parte dava inizio
a una guerra. Ma da quando Kim Jong-un ha cominciato a parlare del colpo
devastante che avrebbe inflitto agli Stati Uniti, non si può fare a meno di
chiedersi quale ritenga che sia la sua posizione. Parla come se non fosse
consapevole che il suo Paese, incluso lui stesso, verrebbe distrutto; in altre
parole, parla come se stesse giocando a un gioco di fantasia chiamato Nuts
(nuclear utilization target selection, selezione dei bersagli per l'impiego
delle armi atomiche): con un attacco chirurgico, si potrebbero distruggere le
capacità nucleari del nemico, mentre lo scudo antimissile ci proteggerebbe da
un contrattacco. Negli ultimi decenni, anche gli Stati Uniti hanno oscillato
fra la Mad e la Nuts: nei loro rapporti con la Russia e la Cina agiscono come
se continuassero a confidare nella logica della Mad, mentre sono tentati di
prendere in considerazione la Nuts nei confronti dell'Iran e della Corea del
Nord. Con le sue allusioni a un possibile uso di armi nucleari, Putin segue lo
stesso ragionamento. Il fatto stesso che due strategie in diretta
contraddizione fra loro vengano mobilitate simultaneamente dalla stessa
superpotenza è la riprova del fatto che tutto il ragionamento è una fantasia. Oggi,
quindi, siamo oltre la MADness: le superpotenze si stanno testando a vicenda,
cercando di imporre la loro versione delle regole globali, facendo esperimenti
per procura, ovviamente con altri Stati e nazioni più piccoli. Il 5 marzo 2022
Putin ha detto che le sanzioni varate contro il suo Paese "equivalgono a
una dichiarazione di guerra". Questa affermazione dev'essere letta insieme
a quello che Putin ha detto ripetutamente negli ultimi giorni: gli scambi
economici con l'Occidente devono proseguire normalmente, la Russia sta tenendo
fede ai suoi impegni e sta continuando a fornire gas all'Europa occidentale...
La Russia sta cercando di imporre un nuovo modello di relazioni internazionali:
non guerra fredda ma pace calda, una pace che equivale a una guerra ibrida
permanente, dove gli interventi militari sono presentati come missioni
umanitarie di peacekeeping contro il genocidio (quando la guerra è cominciata,
abbiamo letto che "la Duma esprime il suo sostegno inequivoco e compatto
per le misure adeguate intraprese per scopi umanitari"). Tante volte, in
passato, abbiamo sentito una frase simile applicata a interventi dall'America
Latina all'Iraq, e ora la adotta anche la Russia, tardivamente. Mentre in
Ucraina le città sono bersagliate dall'artiglieria, i civili vengono uccisi, le
università e i reparti maternità bombardati, il commercio internazionale deve
continuare, fuori dall'Ucraina la vita deve proseguire normalmente. Insomma,
abbiamo una commedia globale permanente tenuta in piedi, in modo altrettanto
permanente, da interventi militari di peacekeeping... La Russia si sta
semplicemente assicurando la "pace" in quella che considera la sua
sfera d'influenza geopolitica, e questo peacekeeping può facilmente estendersi
ben al di là dell'Ucraina. La Russia sta già intervenendo attraverso i suoi
accoliti in Bosnia e in Kosovo e Lavrov una volta ha detto che l'unica
soluzione definitiva sarebbe smilitarizzare tutta l'Europa, e dopo
provvederebbe la Russia a mantenere la pace con interventi umanitari
occasionali. Teorie del genere abbondano nella stampa russa: Dmitrij Evstafiev,
commentatore e opinionista politico, ha dichiarato in un'intervista a un
giornale croato: "È nata una nuova Russia che vi dice senza mezzi termini
che non percepisce voi, l'Europa, come un partner. La Russia ha tre partner:
Stati Uniti, Cina e India. Voi per noi siete un trofeo da dividere fra noi e
gli americani. Non avete ancora capito questa cosa, ma ci stiamo
avvicinando". Dugin, il filosofo di corte di Putin, ha ancorato questa
posizione a una curiosa versione del relativismo storicista: "Il
postmodernismo dimostra che ogni cosiddetta verità dipende dal crederci oppure
no. Noi crediamo in quello che facciamo, crediamo in quello che diciamo. E
questo è l'unico modo di definire la realtà. Abbiamo la nostra verità russa
specifica, che voi dovete accettare. Se gli Stati Uniti non vogliono dare il
via a una guerra, devono riconoscere che non sono più un padrone unico. E con
la situazione in Siria e in Ucraina, la Russia dice: "No, non siete più
voi che comandate". Questa è la questione di chi governa il mondo. Solo la
guerra può realmente decidere". La domanda che viene immediata è: e il
popolo siriano e ucraino? Possono scegliere anche loro la propria
verità/convinzione o sono solo un campo di gioco per i grandi "capi"
e le loro lotte? Come abbiamo visto, non contano nulla in questa grande divisione
in quattro sfere di influenza: all'interno di ognuna di queste sfere ci sono
solo interventi di peacekeeping, la guerra vera e propria avviene solo quando i
quattro grandi capi non riescono ad accordarsi sui confini delle rispettive
sfere; una guerra con la Nato sarebbe una guerra, quello che sta succedendo in
Ucraina no. E la Cina non sta dando segnali di voler fare lo stesso,
annunciando una missione di peacekeeping a Taiwan e assicurando la sua sfera di
influenza nel Mar della Cina Meridionale? Va notato anche che l'ostentata
esclusione dell'Europa dalla lista dei quattro grandi da parte di Evstafiev
combacia alla perfezione con il vecchio mantra di chi si oppone
all'"eurocentrismo": quello che infastidisce molti, in tutto lo
spettro politico, dalla sinistra anticolonialista alla destra populista, è
l'idea di un'Europa unita. Pur con tutte le critiche giustificate che si
possono muovere ad aspetti fondamentali del passato europeo, quello che rende
l'Europa oggetto di odio e invidia è l'idea che agli occhi di molti
"Europa" significa ancora collaborazione pacifica fra le nazioni,
libertà personale, Stato sociale... Perciò, invece di ridere degli ucraini che
vogliono far parte dell'Europa, dovremmo chiederci che cosa vedono
nell'"Europa", e se noi siamo pronti a essere all'altezza delle loro
aspettative. Comunque la si voglia rigirare, l'Europa unita rappresenta una
qualche sorta di socialdemocrazia, che è il motivo per cui Viktor Orbán, in una
recente intervista, è arrivato a proclamare che l'egemonia liberale occidentale
"sta gradualmente diventando marxista". La cosa più triste della
guerra in corso in Ucraina è che, mentre l'ordine mondiale liberalcapitalista
sta chiaramente andando verso una crisi su più livelli, la situazione ora viene
di nuovo falsamente semplificata in una contrapposizione fra Paesi
barbarici-totalitari e l'Occidente libero civilizzato; il riscaldamento globale
e altri problemi del pianeta sono diventati invisibili. Potremmo perfino dire
che le nuove guerre non ignorano semplicemente il riscaldamento globale e altri
problemi del pianeta, sono semmai una reazione ai nostri problemi globali, il
ritorno a una "normalità" perversa delle guerre. L'idea è: va bene,
si prospettano tempi difficili, allora assicuriamoci una posizione forte per
sopravvivere meglio degli altri alle sfide che verranno. Il momento che stiamo
vivendo quindi non è il momento della verità, quando le cose diventano chiare,
quando si riesce a intravedere distintamente la contrapposizione di fondo. È il
momento della menzogna più profonda. Perciò, anche se dobbiamo sostenere
saldamente l'Ucraina, dobbiamo evitare di farci sedurre dalla prospettiva di
una guerra, che è chiaramente presente fra coloro che premono per uno scontro
aperto con la Russia. Insomma, se da un lato l'Ucraina merita il nostro pieno
sostegno, dall'altro c'è bisogno di una sorta di nuovo movimento dei non
allineati, non nel senso di essere neutrali nella guerra in corso, ma nel senso
di mettere in discussione l'intero concetto dello "scontro di civiltà".
Secondo Samuel Huntington, dopo la fine della Guerra fredda, la "cortina
di ferro dell'ideologia" è stata sostituita dalla "cortina di velluto
della cultura". La cupa visione huntingtoniana dello "scontro di
civiltà" può sembrare l'esatto contrario della radiosa prospettiva
avanzata da Francis Fukuyama della Fine della Storia, sotto forma di una
democrazia liberale estesa a tutto il mondo: cosa potrebbe esserci di più
diverso dalla teoria pseudo hegeliana di Fukuyama che la formula finale del
miglior ordine sociale possibile è stata trovata nella democrazia liberale
capitalista di uno "scontro di civiltà" come principale contesa
politica del XXI secolo? Come possono combaciare allora le due cose? Stando
all'esperienza odierna, la risposta è chiara: lo "scontro di civiltà"
è la politica alla "fine della storia". I conflitti etnico-religiosi
sono la forma di lotta più appropriata per il capitalismo globale: nella nostra
era di "postpolitica", in cui la politica vera e propria viene
progressivamente sostituita da un'amministrazione sociale tecnica, l'unica
fonte di conflitti legittima che rimane sono le tensioni culturali (etniche,
religiose). All'interno di questo orizzonte, l'unica alternativa alla guerra
resta la coesistenza pacifica delle civiltà: matrimoni forzati e omofobia (o
l'idea che una donna che gira da sola per un luogo pubblico stia cercando lo
stupro) vanno bene, basta che siano limitati a un altro Paese che per il resto
è pienamente incluso nel mercato mondiale. Non è questo che significa oggi non
allineamento: significa che la nostra lotta dev'essere universale, ed è per
questo che dobbiamo evitare a tutti i costi la russofobia e dare tutto il
nostro supporto a coloro che stanno protestando in Russia contro l'invasione
dell'Ucraina: non sono astratti internazionalisti, sono gli autentici patrioti
russi. Un patriota, una persona che ama veramente il proprio Paese, è uno che
si vergogna profondamente del proprio Paese quando fa qualcosa di sbagliato.
"Giusto o sbagliato, è il mio Paese" è il motto più disgustoso che
esista.
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