"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 24 novembre 2018

Terzapagina. 53 «Certe vite sono parecchio più divertenti da leggere di altre».


Tratto da "Scandalo a Hollywood” di Woody Allen, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 12 di gennaio dell’anno 2017: La vita è terribilmente ingiusta. Anni fa, quando rimossi il vecchio linoleum di un appartamento malmesso che avevo preso in affitto, ci trovai sotto soltanto “schmutz”: schifezze assortite, chewing-gum solidificato e la matrice strappata di un biglietto per la pièce teatrale Moose Murders. Ed Sorel invece rimuove il vecchio linoleum del suo appartamento e ci trova sotto giornali ingialliti con titoli a tutta pagina su uno scandalo, che gli hanno fornito materiale per un libro stupendo. E non solo scrive un libro stupendo (“Mary Astor’s Purple Diary”, pubblicato in America da Liveright, ndr), ma lo illustra pure con le sue meravigliose caricature. Chi avrebbe immaginato che la vita di Mary Astor potesse essere una lettura tanto piacevole? Ma la storia che racconta Sorel, con il suo stile colloquiale ed eccentrico, è succosa, divertente e alla fine toccante. Ma perché Mary Astor? Solo perché il caso ha voluto che fosse sotto al suo linoleum? Non fraintendetemi, mi piaceva Mary Astor. Trovavo piacevole vederla al cinema, ma non ho mai perso la testa per lei come Sorel, e se fossi stato io a trovarla sotto il linoleum non avrei provato l’impulso ad approfondire quei dettagli interessanti che hanno affascinato Sorel. Per me Mary Astor era un’attrice molto brava, magnifica ma non entusiasmante come Bette Davis o Vivien Leigh, per citarne due. E quando Bogart, nel Mistero del falco, dice che il suo socio assassinato era un detective troppo astuto per seguire un uomo che stava pedinando dentro un vicolo senza uscita, ma poi dice a Mary Astor, «Ma con te ci sarebbe andato, angelo. Ti avrebbe squadrata dall’alto in basso, si sarebbe leccato le labbra e ci sarebbe andato, con un sorriso a trentadue denti», concordo solo a metà con questo apprezzamento.Il fatto è che mi vengono in mente una dozzina di altre femme fatale da cui preferirei farmi attirare in un vicolo buio per essere pestato o ammazzato. Perfino Sorel, che è innamorato al punto che vorrebbe vederla immortalata su un francobollo, concorda che non ha mai raggiunto i vertici di umidità sensuale di Rita Hayworth o Marilyn Monroe. Ma allora che cosa aveva Mary Astor da riuscire a scriverci sopra un libro così bello? Beh, per dirne una, aveva un grosso scandalo, e di quelli torridi per di più. E anche se non emanava sex appeal odorava di aristocrazia, o almeno il suo cognome, Astor, puzzava di maniero inglese. Naturalmente non era collegata in alcun modo all’uomo più ricco del mondo che affondò a bordo del Titanic. Astor non era il suo vero cognome. Era nata Lucile Vasconcellos Langhanke, un nome che sulla locandina media di un film probabilmente non sarebbe neanche entrato. E, studiando il testo di Sorel, rimaniamo sorpresi nello scoprire che la donna che interpretava la parte della saggia e affettuosa mamma di Judy Garland e Margaret O’Brien in Incontriamoci a Saint Louis, la presenza materna che cantava con il suo sposo nel salotto vittoriano del film in realtà era una festaiola sboccata, bevitrice e affamata di sesso. Figlia di una madre che non l’ha mai amata e un padre che sfruttava finanziariamente il suo successo, aveva sviluppato presto aspirazioni attoriali e aveva la fortuna di possedere una grande bellezza, oltre al talento. A poco più di diciassette anni, aveva già una storia importante con John Barrymore, enormemente più vecchio di lei, infinitamente più esperto, un ubriacone di prima categoria e uno dei più grandi attori del palcoscenico americano. All’inizio, Lucile Langhanke interpreta dei piccoli ruoli e si fa notare più che altro per la bellezza. Ben presto finisce nella capitale del cinema e fa colpo su Jesse Lasky, un pezzo grosso degli studios che vuole scritturarla per dei lungometraggi. Lasky cambia il suo goffo cognome teutonico e lei si ritrova tramutata d’incanto, da questo dio di Hollywood, in Mary Astor. All’inizio fa delle particine in qualche pellicola mediocre, ma alla fine diventa un’attrice promettente, che frequenta il bel mondo della West Coast. Quando la relazione con Barrymore si esaurisce, si mette con un personaggio benevolo di nome Glass, con cui resta a lungo per la grande costernazione dei suoi genitori, la cui influenza non riesce a scrollarsi di dosso. Lascia Glass e incontra Ken Hawks, il fratello del grande regista Howard Hawks. Lo sposa e, anche se si dimostra di buona compagnia come marito, fin dall’inizio nota una certa pigrizia nella sua libido. La giovane Mary, che invece è passionale, inizia una storia con un produttore che la mette incinta. Lei non vuole un bambino, ma, considerando le pressioni cattoliche predominanti, un aborto sarebbe un disastro per la sua carriera. Entra in un posto riccamente decorato che offre “trattamenti terapeutici” ma in realtà è una copertura per le operazioni chirurgiche necessarie a rimandarla a casa immacolata come conviene. Flashback su Ken Hawks, il suo affettuoso e lattiginoso compagno di letto: sta girando un’epopea aeronautica e (lo direste mai?) mentre dirige una scena di volo il suo aereo si va a schiantare, lasciando Mary vedova. Mary è triste, beve, lavora e alla fine incontra Franklyn Thorpe. Thorpe era un esuberante medico delle star, con una clientela ricca di celebrità. Lui e Mary si sposano e col tempo, anche se fanno un figlio insieme, il dottor Thorpe esce bocciato dall’esame del materasso, ostacolo insormontabile per certi uomini della vita di Mary. Ma mentre la vita coniugale è di nuovo noiosa e la relazione si deteriora, la sua carriera ormai è in ascesa e ottiene un ruolo da leccarsi i baffi nella versione cinematografica del successo teatrale Dodsworth ( Infedeltà). Uno dei protagonisti è il meraviglioso Walter Huston, e nella parte di sua moglie c’è Ruth Chatterton. Mary è la terza dell’illustre cast, un colpaccio per lei. Arrivata a questo punto vorrebbe tanto sbarazzarsi di suo marito, e chi può biasimarla? Il dottor Thorpe non gradisce l’idea di un divorzio e la coppia si impaluda in un limbo, paralizzata dagli dei gemelli dei matrimoni falliti, Paura e Inerzia. Poi per Mary arriva un viaggio a New York, lontano dal marito. Con i suoi ormoni che come al solito tintinnano percepiamo che è stata raggiunta la massa critica per trastullarsi un po’. A New York Bennett Cerf la presenta a George Kaufman, il commediografo di maggior successo di Broadway. Dietro quella faccia lunga e tetra e gli occhiali, era impossibile che qualcuno potesse scambiare quest’uomo per un meccanico da boudoir. Anzi, Kaufman era uno terrorizzato dai germi, e questa storia è la dimostrazione che un bacio appassionato con un partner sexy sconfigge tutti i batteri. Kaufman fece perdere la testa a Mary. Oltre a portarla a vette empiree tra le lenzuola, la portava a teatro, all’opera, al “21” e alla favoleggiata “Tavola rotonda” dell’Algonquin, a pranzo insieme a Woollcott, Benchley e a quella lingua di vipera di Dorothy Parker. Un’altra delizia che mi concede Sorel nel libro è una citazione di Dorothy Parker che non avevo mai trovato prima, nonostante sia un devoto fan: disgustata dalla spazzatura che sfornavano gli studios hollywoodiani, la Parker sosteneva che Mgm stava per “Metro- Goldwyn-Merde”. E così ecco la nostra eroina che visita New York con il commediografo preferito di Groucho Marx, ed è un gran complimento per Kaufman. Quando l’orologio batte la mezzanotte e lei deve tornare in California, torna a insistere con suo marito per il divorzio, ma Thorpe rimane intransigente. I rispettivi avvocati imbracciano le armi e si scatena una battaglia per la custodia dell’unica figlia della coppia. Il dottore usa la bambina come arma per impedire a Mary di lasciarlo. Sostiene che è inadatta come madre e come prova adduce che è un’adultera dichiarata. Per avvalorare le sue affermazioni mostra il suo diario. Si stenta a crederlo, ma questa donna aveva messo nero su bianco le sue sessioni da quattro volte a serata con Kaufman e, peggio ancora, suo marito era riuscito in qualche modo a mettere le mani sul suddetto licenzioso volume, che contiene resoconti espliciti del sesso fra questa donna sposata e il consorte di un’altra donna. Sì, anche Kaufman era un uomo sposato e non appena i primi resoconti dei loro paonazzi sfregamenti arrivarono sui rotocalchi, la battaglia legale si trasformò in un bagno di sangue.
La nostra eroina stava ancora girando Infedeltà, la sua grande opportunità per salire di livello. Improvvisamente lo studio di produzione si guarda intorno e si rende conto di aver investito una vagonata di quattrini su un film che ha tra le protagoniste un’adultera da rotocalco che commette un’interminabile elenco di abomini con un libertino newyorchese coniugato i cui antenati erano schiavi del faraone: non so se mi spiego. Ora immaginate di essere Sam Goldwyn, con tutti quei soldi già sborsati, mezzo film già fatto e una delle star che all’improvviso diventa ufficialmente una depravata. Che cosa fareste? Goldwyn fece quello che farebbe qualsiasi uomo d’affari in modalità crisi: convocò una riunione. Dovevano licenziare Mary, ingoiarsi i soldi già spesi per girare metà film, trovare una nuova attrice e ricominciare da capo? Dovevano buttare nel cesso tutto il progetto, con i costi di produzione già sostenuti e i tanti verdoni sganciati per comprare i diritti? Fortunatamente per tutti, il giudice assegnato al caso era in debito con i capi dello studio per una serie di favori di carriera. Sappiamo tutti, naturalmente, che Mary alla fine andò avanti nella sua carriera e fece Il mistero del falco e Incontriamoci a Saint Louis, due grandi film americani, e fu molto efficace in ruoli diversissimi. Continuò a recitare, si ritirò dalle scene, scrisse libri che primeggiarono nelle classifiche di vendita e in un commovente finale a tutta questa mishegas, questa pazzia, cedette al demonio rum, agli insulti dell’età e al pedaggio imposto da una vita vissuta su un ottovolante emotivo. I suoi ultimi giorni li trascorre in una casa di riposo per attori, molto bella, con casette individuali. C’è molta buona compagnia a disposizione lì, ma il più delle volte sceglie di cenare da sola e di starsene per contro proprio. Muore serenamente nel suo letto, lasciandosi dietro un’eredità di belle prove attoriali. Credo sia stato Sartre a dire che tutte le vite hanno lo stesso valore e non mi permetto di contestare la sua tesi, ma certe vite sono parecchio più divertenti da leggere di altre. Spero che il suo desiderio si realizzi e prima o poi Mary venga commemorata con un francobollo. Nell’attesa, darò un’altra occhiata sotto il mio linoleum: forse in mezzo a tutto quella schmutz c’è un’idea che potrei sfruttare.

1 commento:

  1. Bella storia di un epoca passata. Lo scandola della vita cosi di una donna al vaglio del pubblico di oggi non farebbe impressione,se non ci scappa il morto.

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