Tratto da “L’era
della post-verità, realtà à-la-carte per noi post cretini” di Alessandro
Robecchi, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 23 di novembre dell’anno
2016: (…). Le sorti del mondo sarebbero messe in forse dal fatto che milioni,
forse miliardi, di persone credono alla prima fregnaccia che dice la rete,
invece di leggere il New York Times sulle poltrone in pelle del circolo del
bridge. C’è del vero, probabilmente. E del resto se i media ufficiali cavalcano
questa cosa della post-verità è anche per non ammettere il fallimento: non
sappiamo più leggere la società (Trump, Brexit, eccetera). Ma questi sono
discorsi complessi, per esperti. Ci limitiamo a scorgere piccoli segnali di
post-verità che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Il post-soffritto. In
una bella intervista al Corriere della Sera, il famoso cuoco Massimo Bottura,
il più bravo del mondo, dicono, ci spiega cos’è la narrazione ai fornelli.
“Dovevo fare una carbonara per duemila persone, ma avevo bacon per due
porzioni. L’ho tagliato a fettine sottilissime e le ho stese sulla teglia. Poi
ho preso delle bucce di banana. Le ho sbollentate, grigliate, tostate in forno.
Alla fine erano affumicate, croccanti. Le ho fatte a cubetti, ricoperte di un
altro strato di bacon e rimesse in forno: il bacon si è sciolto; le bucce di
banana parevano guanciale”. Perfetto, pare la ricetta delle riforme renziane,
tipo il Jobs act al sapore di tempo indeterminato (tagliato finissimo) e tanti
cubetti di voucher, ma tanti, eh! Per carità, saremo lontani dalle solenni
riflessioni sulla post-verità, ma la post-carbonara esiste e lotta insieme a
noi Il post-emigrante. Piccolo esempio di post-valigia-di-cartone. Intervistato
a Piazzapulita, il grande manager Andrea Guerra (ha lavorato in molte aziende,
non tutte in attivo: Luxottica, Governo Italiano, Eataly) ha detto la sua sugli
italiani all’estero. Ha detto che lui se n’è andato, che è giusto andarsene, e
che l’importante è che dopo, fatte queste “esperienze meravigliose all’estero”,
si torni qui a dare una mano. In pratica, fateci caso, quando si parla di
italiani all’estero si citano sempre i supermanager, gli scienziati, le
eccellenze, oppure una specie di éducation sentimentale per giovani europei,
una gaia aria di Erasmus per milioni di persone.
Inutile dire che la realtà si avvicina di più al pizzaiolo che sta a Stoccarda, o al lavapiatti a Londra, non proprio “esperienze meravigliose all’estero”, ma vera emigrazione per bisogno (in aumento, tra l’altro). Il post-emigrante, nella post-verità, è o un numero uno, oppure una specie di flâneur bohémien che gira il mondo facendo meravigliose esperienze. La post-condicio. Nulla è più post della post-iccia faccenda della par condicio, eppure se ne discute animatamente come se esistesse. Lo sbilanciamento clamoroso nelle posizioni del Sì e del No sui “media ufficiali” è sotto gli occhi di tutti, ma questo non impedisce le dissertazioni teoriche, le analisi e le riflessioni, i moniti, gli appelli su una cosa che evidentemente non c’è. Parlare come se esistesse di una cosa che non esiste è tipico della post-verità, un po’ come dare una cosa per fatta quando non lo è (innumerevoli casi, valgano per tutti i “mille asili in mille giorni”, o il roboante “abbiamo abolito il precariato”, o l’Expo “straordinario successo”, o l’Italia “superpotenza culturale”). È vero, la post-verità è un pericolo reale. Se si diffonde nel paese la prassi che dirlo è come farlo sarà un disastro a partire dalla prima media. Hai fatto i compiti? Ho fatto i compiti, sì, ecco fatto, bastava dirlo. Quella sulla post-verità sarà dunque un dibattito infinito, ma si consiglia vivamente di saperla vedere ovunque, nelle follie del web come nella narrazione quotidiana, normale, persino inconsapevole. È lì che ci prendono veramente per post-cretini.
Inutile dire che la realtà si avvicina di più al pizzaiolo che sta a Stoccarda, o al lavapiatti a Londra, non proprio “esperienze meravigliose all’estero”, ma vera emigrazione per bisogno (in aumento, tra l’altro). Il post-emigrante, nella post-verità, è o un numero uno, oppure una specie di flâneur bohémien che gira il mondo facendo meravigliose esperienze. La post-condicio. Nulla è più post della post-iccia faccenda della par condicio, eppure se ne discute animatamente come se esistesse. Lo sbilanciamento clamoroso nelle posizioni del Sì e del No sui “media ufficiali” è sotto gli occhi di tutti, ma questo non impedisce le dissertazioni teoriche, le analisi e le riflessioni, i moniti, gli appelli su una cosa che evidentemente non c’è. Parlare come se esistesse di una cosa che non esiste è tipico della post-verità, un po’ come dare una cosa per fatta quando non lo è (innumerevoli casi, valgano per tutti i “mille asili in mille giorni”, o il roboante “abbiamo abolito il precariato”, o l’Expo “straordinario successo”, o l’Italia “superpotenza culturale”). È vero, la post-verità è un pericolo reale. Se si diffonde nel paese la prassi che dirlo è come farlo sarà un disastro a partire dalla prima media. Hai fatto i compiti? Ho fatto i compiti, sì, ecco fatto, bastava dirlo. Quella sulla post-verità sarà dunque un dibattito infinito, ma si consiglia vivamente di saperla vedere ovunque, nelle follie del web come nella narrazione quotidiana, normale, persino inconsapevole. È lì che ci prendono veramente per post-cretini.
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