"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 27 novembre 2018

Riletture. 45 «Ciò che cresce deve essere rapidamente distrutto per poter ricominciare».


Tratto da “Video, ergo ingrasso” di Massimo Fini, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 27 di novembre dell’anno 2015: (…). Il food è uno dei settori trainanti dell’economia. Non c’è città europea che non sia zeppa di ristoranti e ristorantini esotici. Questa bulimia va di pari passo con un’altra delle ossessioni del nostro mondo quella delle diete, accompagnate, per chi se lo può permettere, dal personal trainer con cui tenersi in forma. I due fenomeni sono solo apparentemente in contraddizione, ma in realtà la loro combinazione è una perfetta metafora del nostro modello di sviluppo. Noi dobbiamo ingurgitare, cioè consumare, il più possibile, ma anche espellerlo il più rapidamente possibile. È la Crescita, bellezza. Ciò che cresce deve essere rapidamente distrutto per poter ricominciare. Se così non fosse salterebbe tutto il meccanismo su cui si sostiene la nostra società. Questo a livello di sistema. Individualmente è la stessa cosa: dobbiamo accaparrarci costantemente di nuovi gadget, nuovi I-Phone, nuove auto con varianti irrilevanti, nuovi vestiti, nuove scarpe, eccetera, eccetera. L’eterno dilemma se è nato prima l’uovo o la gallina qui è risolto. È il sistema, che ne ha estremo bisogno per non collassare, che ci convince, attraverso la pubblicità, vero motore di tutto l’ambaradan, a consumare non perché in realtà ci dia un vero piacere ma perché si possa continuare a produrre. Insomma l’uomo, ridotto a consumatore, è il lavandino, il water attraverso cui deve passare il più velocemente possibile ciò che altrettanto velocemente produciamo. Naturalmente questa bulimia omnicomprensiva ha anche la funzione di riempire il vuoto di valori che si è creato nella nostra società e che ci rende così vulnerabili di fronte a culture e a mondi più spartani. Non si tratta di nutrirsi di muschi e licheni come gli asceti e gli eremiti (anche se adesso ci vogliono gabellare i pipistrelli e i vermi come il non plus ultra della sofisticatezza alimentare) o di meditare solitari seduti su una colonna come gli stiliti, ma di ritrovare un onesto equilibrio nel nostro rapporto con il cibo e con tutto il resto. E io ho una grande nostalgia di quando con qualche amico si mettevano le gambe sotto il tavolaccio di una trattoria, con pane, salame e un buon bicchiere di rosso senza farsi le seghe mentali dei niente affatto innocenti cuochi alla moda.

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