Tratto da “È
arrivato il tempo della Resistenza civile” di Gustavo Zagrebelsky,
pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 24 di novembre 2018: (…). Per
definire la costituzione, si può dire ch'essa è una selezione: promuove e
condanna quanto nella società c'è di buono e quanto di male, secondo ideali di
giustizia storicamente vincenti. Ma il progetto di selezione, per non essere
campato per aria, deve essere sostenuto da una società che, almeno
prevalentemente, ci si identifica, ci crede. A ogni regime politico deve
corrispondere infatti un certo tipo di società; (…). La costituzione
democratica presuppone una società a sua volta democratica. Non esiste
democrazia politica se non c'è democrazia sociale. Chi vuole destabilizzare la
costituzione democratica, per poi rovesciarla e costruirne una nuova su altre
basi, sa bene che deve incominciare dalla società. Si tratta per lui di
amplificare il disgusto per le immancabili corruzioni, di diffondere veleni che
alimentano paure, invidie, risentimenti, e giustificano così pulsioni
autoritarie, sopraffazioni, intolleranze, discriminazioni e violenze.
Facilissimo: questo vaso di Pandora è molto più facile scoperchiarlo che chiuderlo.
Ma ciò che ne esce è fascismo? La controversia odierna su questo punto, per non
essere un esercizio propagandistico, deve considerare, innanzitutto, che il
fascismo è solo una tra le tante manifestazioni storiche di qualcosa di assai
più profondo, costante e radicato nell'animo umano e nelle pulsioni sociali.
Questo "qualcosa" può assumere forme storiche le più varie, pur
avendo radici comuni. Noi e l'Europa occidentale ne abbiamo conosciute alcune,
non identiche ma fondate su principi similmente antidemocratici: fascismo
italiano, nazismo, falangismo spagnolo, estado novo portoghese, ecc., sicché si
spiega che ancora oggi per indicare ciò che contrasta con la democrazia si
dica: fascismo! Ma i nemici della democrazia sono proteiformi, non necessariamente
fascisti nel significato ch'esso ha assunto storicamente. Si può essere
antidemocratici senza essere fascisti. Non tutto ciò che non ci piace è
fascismo. (…). I suoi caratteri sono riassunti così: identità aggressiva e
purismo etico; rifiuto della modernità e tradizionalismo reazionario; rigetto
dei principi dell'89 e dei diritti individuali; irrazionalismo e primato
dell'azione sulla riflessione e sulla discussione; decisionismo; culto della
forza e "machismo", anti-parlamentarismo; ostilità nei confronti
della libertà di scienza arte e stampa, sospette portatrici di germi critici;
esaltazione dell'uomo medio e del senso comune; concezione del popolo come un
tutt'uno indifferenziato; corporativismo; intolleranza nei confronti dei
"diversi" e dei "non integrabili"; xenofobia variamente
motivata e razzismo; pensiero unico e unanimismo; fantasmi di complotti;
nazionalismo ripiegato su se stesso contro internazionalismo e, a maggior
ragione, cosmopolitismo; complesso di unicità e di superiorità, unito a
vittimismo che sfocia in aggressività. Il linguaggio, a sua volta, è l'ingrediente
comunicativo pieno di sottintesi: parole nuove, parole antiche in significati
nuovi; parlar violento e plebeo di cose difficili ed elevate; accarezzare
l'ignoranza e la banalità di massa. Non necessariamente tutti compresenti,
questi sono aspetti delle "società chiuse" o "società
organiche", di cui il modello primordiale è, propriamente, la tribù.
Sebbene talora si abbia l'impressione di cose relativamente moderne, comparse
nel secolo dei totalitarismi, sono invece antichissime. L'archetipo è il
tribalismo da sempre riemergente in particolari situazioni storiche, ogni volta
con caratteri propri, per esempio con quelli del fascismo. Ciò significa che
tutti i fascismi sono tribalisti, ma non tutti i tribalismi sono fascisti.
Donde la deduzione: per mettersi il cuore in pace non basta dire che, data
l'incontestabile distanza della società odierna da quella del secolo scorso,
ciò che bussa alle nostre porte non è fascismo; possono battere, uno dopo
l'altro, gli ingredienti del tribalismo; ed è perfino peggio, perché è facile
illudersi che ci si fermi lì. Invece, uno dopo l'altro, possono diventare una
valanga. A forza di subire adeguandosi, si finisce per diventare qualcosa che
non si sarebbe voluto e, all'inizio, nemmeno si sarebbe immaginato. Resta la
domanda: che fare? (…). Si sarà notato che tutti gli elementi del tribalismo
stanno anzitutto nel "substrato" delle azioni e dei convincimenti
sociali. Da lì occorre procedere. A chi pretende di parlare a nome degli
"italiani" e della loro "identità", si opponga il dissenso;
a chi esalta la forza, si oppongano il rispetto e la mitezza; a chi
burocratizza la scuola e l'università per trasformarle in avviamento
professionale, si oppongano i diritti della cultura; alle illegalità, si reagisca
senza timore con la denuncia; alla cultura della discriminazione e della
violenza, si contrappongano iniziative di solidarietà. Agli ignoranti che usano
la vuota e spesso oscena neo-lingua, si chieda: ma che cosa dici mai, come
parli? eccetera, eccetera. Fino al limite della resistenza ai soprusi e della
disobbedienza civile che, in casi estremi, come ha insegnato don Milani, sono
virtù.
Nessun commento:
Posta un commento