"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 19 aprile 2025

CosedalMondo. 43 Thomas Piketty: «Io penso che abbiamo bisogno soprattutto di investimenti pubblici, nell’istruzione, nella ricerca, nella sanità, e che dobbiamo inventare nuove forme di governance nel settore digitale per controllare i grandi gruppi privati».


Questa storia di Trump che si vuole comprare la Groenlandia mi fa impazzire.  Non bastano le mille altre follie intruppate nella sua mente di Napoleone yankee, che a cavallo e con lo scolapasta in testa vuole decidere le sorti del pianeta. Ora va a rompere le scatole pure a quei 60 mila ignari discendenti di Erik il Rosso dispersi su una terra gelata e inospitale piazzata per l'80 per cento dentro al Circolo Polare Artico. Non è la prima volta: l'America ci provò già nel 1868 e nel 1946, quando offrì 100 milioni di dollari per quell'isola immensa grande quanto metà dell'Unione europea. La Groenlandia è una sconfinata miniera di petrolio, gas naturale, diamanti, oro, uranio, piombo: il palazzinaro newyorchese non resiste, quando fiuta il business. E così i suoi plutocrati reggicoda del turbo-capitalismo globale. (…). Non sono mai stato in Groenlandia, anche se ho sempre sognato di andarci. (…). Mi affascinano queste terre estreme, dove l'uomo è un intruso. Mi incantano il silenzio, l'assenza e il vuoto di quegli altipiani incontaminati, dove puoi guidare o camminare per ore senza incrociare esseri viventi (a parte orsi, alci, lemmini). Mi colpisce parlare con quella gente, e scoprire non solo che non teme, ma spesso cerca quella solitudine: un camper, una capanna o un rorbuer, più lontano possibile dai centri abitati e letteralmente persi dentro la natura. Stili di vita desueti, alle nostre latitudini, dove dilaga la sindrome del gregge, in senso materiale e digitale. Non-luoghi affascinanti da attraversare, ma mi chiedo se possibili da abitare per noi. Leggo che la Groenlandia, popolata al 90 per cento da Inuit, detiene record per niente ragguardevoli. Ha il più alto tasso di suicidi al mondo: la percentuale di quelli che si tolgono la vita è otto volte superiore alla media del pianeta. Ha il più alto tasso di aborti al mondo: una donna groenlandese ne ha in media 2,1 nel corso della vita. In rapporto al numero di abitanti, è ai primi posti nelle classifiche internazionali per incidenza di malattie sessualmente trasmissibili, di alcolismo e di violenza su minori. Che conclusioni trarre, da tutto questo. Da una parte, mi verrebbe da pensare che un po' di casino e di consumismo yankee forse li renderebbe meno infelici. Dall'altra, resto convinto che la colonizzazione socio-culturale minacciata e praticata dall'Impero irresistibile sta rendendo questa terra spaventosamente piatta e ovunque uguale a se stessa. Avanti così, è tra qualche anno viaggiare diventerà inutile. Se fosse ancora tra noi, Bruce Chatwin se ne starebbe tranquillo, nella sua fattoria del Gloucestershire, a ridere delle recensioni su Trivago.
(Tratto da “Nella terra degli Inuit” di Massimo Giannini pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 22 di marzo 2025).

“Stati Uniti così brutali perché hanno perso il controllo”, testo della intervista di Anais Ginori a Thomas Piketty – docente presso la “Paris School of Economics” – pubblicata sul quotidiano “la repubblica” del 17 di aprile 2025: «Donald Trump applica un metodo brutale e disperato perché la verità è che gli Stati Uniti stanno perdendo il controllo del mondo».

(…). Emerge una contraddizione tra la potenza americana e il suo livello di indebitamento? «Sì, ed è un punto centrale. Il debito verso l’estero degli Stati Uniti è enorme e finora è costato poco, grazie a tassi d’interesse storicamente bassi. Ma ora le cose stanno cambiando. Con tassi al 4 o 5%, gli Stati Uniti dovranno cominciare a pagare pesantemente il resto del mondo. È una situazione inedita per una potenza dominante. Anche le potenze coloniali europee avevano deficit commerciali, ma possedevano attivi in tutto il mondo che fruttavano molto più di quanto spendessero».

Vede una logica neocolonialista? «Trump sogna di tornare a quella logica, appropriandosi in modo brutale di risorse strategiche. Non è fondamentalmente peggiore delle potenze coloniali europee prima del 1914. Semplicemente, sbaglia epoca. Vorrebbe che quella che lui considera la pax americana - il ruolo di bene pubblico globale che gli Stati Uniti garantiscono dalla Seconda guerra mondiale, soprattutto in termini di sicurezza - fosse finalmente retribuita. Pensa che questo debba permettere agli Stati Uniti di finanziare i propri deficit eternamente. Si è già cominciato a vedere con le sue posizioni su Groenlandia, Panama o sulle terre rare in Ucraina».

È solo una reazione alla perdita di potenza al livello economico e finanziario? «C’è anche una spinta ideologica. Il trumpismo è prima di tutto una reazione al fallimento del reaganismo. Reagan aveva promesso che la liberalizzazione globale avrebbe arricchito tutti. Quarant’anni dopo, la classe media americana non ha visto alcun beneficio. Da qui, la fuga in avanti verso il nazionalismo, una postura classica a destra. Ma il discorso protezionista è anche contraddittorio: oggi gli Stati Uniti sono in piena occupazione. Dicono di aver perso posti di lavoro, ma se davvero volessero crearne dieci milioni in più, dovrebbero far arrivare lavoratori messicani e molti più immigrati. Ciò che motiva davvero Trump, J.D.Vance e i miliardari che li sostengono non è tanto la difesa dell’occupazione quanto la perpetuazione di un modello inegualitario e autoritario».

L’Europa negozia sui dazi. Quale potrebbe essere l’esito? «Non dobbiamo farci dettare l’agenda dai capricci di Trump. L’Europa può diventare un polo di stabilità nella globalizzazione. Significa definire un quadro commerciale e politico credibile, soprattutto verso il Sud globale. Bisogna riequilibrare le istituzioni internazionali - Fmi, Banca mondiale, Wto - dando più peso a paesi come Brasile, India, Sudafrica. Gli occidentali hanno sempre rinviato questo tema, ma oggi non è più possibile. Se l’Europa non prende l’iniziativa, i Brics continueranno a costruire una propria architettura, come stanno già facendo con la New Development Bank di Shanghai. Per ora ha un’influenza limitata, ma crescerà».

Cosa dovrebbe fare l’Ue? «Una parte importante del deficit commerciale Usa corrisponde al surplus cinese, certo, ma anche a quello europeo. E non si tratta solo di Germania: il surplus riguarda tutto il continente. Ora tutti i paesi che hanno investito per poter esportare si ritrovano penalizzati. L’Europa deve quindi uscire dalla sua postura attendista e malthusiana, ovvero restrittiva. Deve investire di più sul continente, invece di accumulare surplus commerciali che sono il segno di un sottoinvestimento cronico. Ci sono poi decisioni assurde, come comprare armi per compiacere Trump, come se fosse nel nostro interesse».

Quindi è d’accordo con il rapporto di Mario Draghi che raccomanda per l’Ue una terapia d’urto di nuovi investimenti? «(…). Condivido la sua diagnosi, quando afferma che l’Europa è destinata a un’agonia lenta se non agisce. Ci sono però alcune differenze, che non sono solo sfumature. Nel suo rapporto ha una visione tecnocratica, incentrata sul settore privato, mentre io penso che abbiamo bisogno soprattutto di investimenti pubblici, nell’istruzione, nella ricerca, nella sanità, e che dobbiamo inventare nuove forme di governance nel settore digitale per controllare i grandi gruppi privati».

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