«Il “ras” di Ventotene e gli altri fascisti diventati antifascisti» di Massimo Novelli, tratto dal periodico “Millennium” del mese di aprile e riportato su “il Fatto Quotidiano” dell’11 di aprile 2025: Era il 28 aprile 1945 quando il partigiano Nuto Revelli, ex ufficiale degli alpini, poté entrare a Cuneo, la sua città. All'altezza di via XX Settembre venne fermato. Racconterà in La guerra dei poveri: "Due ombre ci muovono incontro. Non sono partigiani. Sono fascisti della Littorio, in divisa, con le armi spianate. Hanno una fascia rossa al braccio. Parlano per primi: 'Ah! Siete partigiani. Allora avanti!' 'Ma voi siete fascisti!' 'Noi siamo partigiani' 'Ma da quando?' 'Da ieri!", Cominciava la nuova Italia nata dalla guerra contro i nazifascisti. S'iniziava come se il fascismo non fosse esistito, con i voltagabbana, gli occultamenti del passato, la rimozione delle colpe. Si declinò subito un’Italia senza memoria, che era stata in maggioranza fascista per convenienza o per adesione convinta. Un Paese di 45 milioni di abitanti, peraltro, dove i partigiani, al Nord e al Centro, erano stati non più di 200 mila, mentre al Sud, con l'eccezione delle quattro giornate di Napoli e di pochi altri episodi, la Liberazione avvenne per mano degli alleati. E che ben presto si delineò come una "Liberazione tradita", (…). A cui fecero da cornice - paradossalmente coerente nel suo esito - gli interessi Usa in ottica anticomunista da una parte e l'amnistia di Togliatti del 1946 dall'altra. Complice quella "continuità degli apparati dello Stato" che tanto efficacemente seppe lavorare al "tutto è perdonato". "Il fascismo, forse, è stato un'illusione collettiva di gente malata. Dove sono i caporioni che l'hanno fondato, dove le squadre armate che l'hanno portato sui neri gagliardetti per tutti i paesi d'Italia, dove i gerarchi...?" si chiedeva nel 1947 con amara ironia Carlo Galante Garrone, uomo della Resistenza. Quasi nessun dipendente della Pubblica amministrazione, dirigente o impiegato della dittatura e della Rsi venne rimosso. Finì che nella magistratura i giudici fascisti giudicavano, assolvevano o amnistiavano altri fascisti, organizzatori di stragi (Piero Brandimarte), gerarchi (Luigi Federzoni, Renato Ricci), ministri della Rsi (Giampietro Domenico Pellegrini, Carlo Emanuele Basile, Piero Pisenti), spie dei tedeschi (Roberto Occhetto, segretario del questore di Roma Caruso), carabinieri (Roberto Navale, assolto per insufficienza di prove per l'uccisione dei fratelli Rosselli), capi della polizia ( Guido Leto passò dall'Ovra e dalla RSI alla polizia "democratica" del grande burattinaio Federico Umberto D'Amato) e presidenti del Tribunale Speciale (Guido Cristini, Gaetano Le Metre). Vennero insediati ai vertici di rilevanti uffici giudiziari, e della Corte costituzionale, magistrati che avevano contribuito alle persecuzioni razziali. Mentre la Resistenza finiva sui banchi degli accusati, gli uomini del regime proseguirono in luminose carriere. Come quella di Marcello Guida, che per tutta la sua vita vigilò e arrestò gli antifascisti. Lo fece dal 1935, l'anno in cui era entrato in polizia, fino ai giorni insanguinati del dicembre 1969, quelli della strage di piazza Fontana, a Milano, e della morte del partigiano anarchico Giuseppe Pinelli. Fu poliziotto durante il Ventennio, sotto il governo Badoglio e poi nella Repubblica di Salò, approdando senza problemi, sempre da dirigente di polizia, nell'Italia libera e diventando questore di grandi città. A 24 anni fu nominato vicedirettore della colonia penale di Ponza, poi direttore di quella di Ventotene, dove erano stati inviati al confino illustri esponenti dell'antifascismo. "Zelante esecutore, che sotto il fascismo", affermano gli storici, "ha servito il regime: ha diretto Ventotene con durezza". Dopo il 25 luglio '43 si mise agli ordini di Badoglio; quando i tedeschi occuparono Roma non ebbe dubbi e aderì alla Repubblica di Salò. Poi prese contatto con la Resistenza per salvare pelle e carriera. Evitò così un processo e ottenne poi cariche prestigiose: questore di Torino (dove era a libro paga della Fiat: 1 milione all'anno) e di Milano. Ebbe un ruolo di primo piano nel depistaggio su piazza Fontana, facendo passare la morte di Pinelli per un suicidio e accusando lo stesso Pinelli, Pietro Valpreda e gli anarchici di essere gli autori della strage compiuta dai fascisti. Un pretore, Aldo Fiale, nel giugno '78, lo condannò a quattro mesi per falsa testimonianza, perché "non è credibile l'ex questore di Milano Marcello Guida allorché sostiene di non ricordare se pochi giorni dopo la strage di piazza Fontana, a Milano, mostrò a Rolandi [uno dei testi usati per la falsa pista anarchica] la fotografia di Valpreda" Da ex confinato a Ventotene, Sandro Pertini aveva rifiutato di stringergli la mano. Però Guida andò tranquillamente in pensione da funzionario del ministero dell'Interno. Il passato non passava, l'Italia impunita rimaneva la stessa.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
venerdì 25 aprile 2025
Lastoriasiamonoi. 55 Concita De Gregorio: «I bambini non hanno paura dei dittatori. Lo sapevo, da piccola, perché vivevo in un Paese dove c'era un dittatore. Ma non sapevo di saperlo, allora. Non ne avevo consapevolezza. È questo, la consapevolezza: sapere di sapere».
I bambini non hanno paura dei dittatori. Lo sapevo, da piccola, perché vivevo in un Paese
dove c'era un dittatore. Ma non sapevo di
saperlo, allora. Non ne avevo consapevolezza. È questo, la consapevolezza: sapere di
sapere. O di non sapere, che è uguale anzi meglio. Conoscere i propri limiti,
la geografia della propria ignoranza: nella vita, dopo, serve così tanto.
Quanto sono pericolosi quelli che credono di sapere tutto e non sanno niente? I
bambini, invece. I bambini che non sono mai entrati in sala operatoria non
hanno paura. Sono i genitori che ce l'hanno, ma loro no: non sanno a cosa vanno
incontro. La seconda volta è peggio. Mia nonna aveva tutto un sistema di regole
prudenze e proibizioni che per me era semplicemente il mondo. Un altro non ne
conoscevo, il mondo era fatto così. Per esempio: nel cammino verso il mercato
non si passava mai davanti a un certo edificio. C'era scritto Polizia, sopra il
portone. Arrivate all'isolato prima si doveva attraversare la strada. Si faceva
quel tratto dall'altro lato, sul marciapiede opposto, e poi si attraversava di
nuovo. Io non lo sapevo, delle torture lì dentro. Io attraversavo la strada
cantando. Era il normale tragitto da fare. Né a scuola né a casa si parlava la
lingua proibita. Il dittatore aveva difatti deciso che non si dovesse parlare
la lingua di quel popolo, nel luogo dove io vivevo, ma un'altra. Non il
catalano ma il castigliano, e così facevo. Normalmente, parlavo castigliano.
Sono passati cinquant'anni. Una notte, mentre stavo lavorando a un libro
sull'assenza di quello che ci manca e sul desiderio, un libro talismano, ho
sognato due ragazzi a una fontana, un uomo e una donna, che si desiderano ma si
sfiorano appena. Poi l'ho sognato ancora, e ancora fino a che un giorno - di
giorno - non mi è venuta in mente una canzone, una filastrocca da bambini, che
racconta proprio quel sogno: dice che si sono incontrati alla fonte, una
ragazza e un soldato. Lui le ha chiesto come ti chiami, lei ha risposto Maria.
Poi lei è andata via. È una canzone in catalano, una lingua che non ho mai
parlato da piccola per via del dittatore. Una lingua che non sapevo di sapere,
tornata da un luogo remoto. Ho chiamato mia madre. Forse mi cantavi questa
canzone da piccola? Assolutamente no. Forse la nonna? Figuriamoci. Era
proibito, la nonna non l'avrebbe mai fatto: per proteggerti. E allora? Perché
la so? La so tutta, strofe e ritornello. Devi averla sentita a ricreazione, ha
detto mia madre. In cortile. È una specie di girotondo. L'avranno cantata i
bambini dell'asilo, in cortile. Perché certo. I bambini a scuola, in classe,
parlavano la lingua obbligata. Ma a ricreazione no: parlavano la loro lingua. I
bambini non hanno paura del dittatore. Mi è venuto da piangere, insensatamente.
Pensa te cosa torna nei miei sogni, a quest'altezza della vita. Un soldato che
va ogni giorno alla fontana. Perché si è innamorato di quella ragazza, e non ha
altro modo per ritrovarla che tornare lì. Sperare che torni. Non c'erano mica i
telefoni, questa trappola dei telefoni, le spunte, allora. C'era il desiderio.
C'era il senso di mancanza. Bisognava insistere, ostinarsi. I bambini, difatti,
insistono. È così. Ogni desiderio fiorisce nell'attesa di quello che manca.
(Tratto da “Quella filastrocca proibita
per via del dittatore torna a trovarmi nei sogni” di Concita De Gregorio,
pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 10 di aprile
2025).
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