“QuelliCheFannoLaStoria”. “La deriva istituzionale”, testo di Massimo Giannini pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, 19 di ottobre 2024: Era dai tempi del berlusconismo da combattimento che non si vedeva un potere dello Stato colpire al cuore, con tanta virulenza, un altro potere dello Stato. E non vi fate incantare dalla tv di regime, che all’ora di cena serve nel piatto degli italiani la solita sbobba rancida della “guerra tra politica e giustizia”. Non è così: qui, come in Ucraina, non ci sono due combattenti, ma solo un aggressore e un aggredito. Come prevedeva l’ortodossia del rito arcoriano, c’è un governo che si proclama sciolto dal principio di legalità, perché protetto dal voto del popolo che lo ha eletto. E dunque accusa di “golpismo” qualunque magistrato che, nel normale esercizio delle sue funzioni, osi giudicare il suo operato in base ai principi dell’ordinamento giuridico interno e internazionale. Nello stesso giorno succede l’impensabile. La premier Meloni, affiancata dalla “guardia nera” di La Russa e i suoi Fratelli, bastona i giudici di Roma. Il vicepremier Salvini, con ben quattro ministri al seguito, pesta i giudici di Palermo. Prima ancora del merito, importa questo metodo. Questa sfida a viso aperto agli organi di garanzia previsti dalla Costituzione. Questa deriva ormai davvero “ungherese” della democrazia italiana, mai così esposta alle spallate di una coalizione illiberale e irresponsabile. Perché deflagri adesso, e con questa furia da junta cilena, è presto detto. Questione troppo complessa per essere lasciata nelle mani ruvide e corrive dei nuovi patrioti, la politica migratoria sancisce il doppio fallimento di una coalizione sfascista e cattivista. Da una parte, crolla il castello di carta del “modello Albania” tanto caro alla Sorella d’Italia. Dall’altra parte, fallisce l’adunata voluta dal Capitano della Lega. Male, per un governo che evidentemente passa troppe ore a “fare la Storia”, non ha tempo per ripassare la geografia e meno che mai per studiare il diritto. La somma di questi fattori — ideologia e xenofobia, arroganza e incompetenza — produce come risultato una Caporetto politica, che fa schiumare di rabbia un ceto politico senza disciplina e senza onore. Sui migranti perde la premier, che si era illusa di aver trovato l’uovo di Colombo, grazie a un patto scellerato con l’amico Edi Rama, depositando a casa sua i “carichi residui” di carne umana che noi non vogliamo più vedere per le strade delle nostre città (a meno che non ci rimpiazzino in tutto quello che non ci degniamo più di fare, pulire cessi o imbiancare muri, raccogliere pomodori o consegnare pizze, il tutto per un pugno di euro e preferibilmente in nero). L’aveva pensato come un perfetto spot elettorale, da mandare in onda nella settimana del voto europeo di giugno: un bel bastimento carico di profughi, a favore di telecamere del fido Tg1 delle 20, da far partire sulla rotta inversa rispetto a quella che seguirono i 20 mila albanesi della nave Vlora, l’8 agosto ’91. Allora vennero loro da noi, in massa, e li accogliemmo a Bari. Oggi noi gli restituiamo gli “indesiderabili” sbarcati qui, deportandoli nei due lager costruiti a Gjader e Shengjin. Un’ideona, ricalcata sull’immondo esempio inglese di Rishi Suniak, che i suoi migranti voleva spedirli addirittura in Ruanda: noi, più furbi, ci accontentavamo dell’Albania, a un braccio di Mar Adriatico dalle coste tricolori. Gli elettori italici avrebbero apprezzato, gli osservatori stranieri avrebbero copiato. Non è andata così. Sull’esodo niente affatto biblico dei 16 poveri cristi sbarcati dalla Libra, glorioso pattugliatore d’altura da 81 metri, è calata subito l’ovvia mannaia del Tribunale di Roma. L’illegittimità del trattenimento di quei migranti negli hotspot albanesi era chiaro come il sole, come sapeva chiunque, tranne gli astuti Fratelli di Giorgia. Per capirlo, bastava leggere la sentenza della Corte di Giustizia Ue del 4 ottobre, che non riconosce come “sicuri”, ai fini del rimpatrio, almeno 20 dei 22 Paesi che invece lo sarebbero, secondo i giuristi all’amatriciana formati alla sezione di Colle Oppio. Quelle anime perse, ora, hanno “diritto ad essere condotte in Italia”, come scrive nella sua pronuncia Luciana Sangiovanni, presidente della Sezione Immigrazione del collegio capitolino. Dunque, contrordine camerati: tutti a bordo, e si riparte. Anche se non si sa più per dove. (…). L’operazione Albania è dettata solo da una cieca follia. Un autodafé giuridica, economica, umanitaria. E buon per Meloni se, per avere conforto, le bastano un po’ di von der Leyen, un pizzico di Barnier e le solite cattive compagnie dell’Internazionale Sovranista, riunite in fretta e furia per un pre-vertice a Bruxelles. È noto che nelle vene d’Europa scorre il virus dell’odio e dell’ignavia, dell’intolleranza e del razzismo. Col supporto di Ungheria e Repubblica Ceca, Slovacchia e Austria, l’Italia meloniana sogna lo stesso inferno. Ma per fortuna c’è un giudice a Strasburgo e un altro giudice a Roma. Ci indicano la strada: le migrazioni vanno gestite, con regole certe e anche rigorose. Ma come ci insegna la civiltà dei Padri, sempre nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. Questo fa le democrazie diverse dagli altri regimi. Di questo dovrebbero prendere atto le destre al comando, invece di inveire contro i magistrati, che hanno il solo torto di applicare la legge. Nella Dottrina Meloni, invece, il potere giudiziario ha solo un dovere: aiutare il potere esecutivo. Se non lo fa, è parte dell’ennesimo “complotto”, naturalmente ordito insieme alla sinistra. “Abbiamo contro una parte delle istituzioni” tuona la premier, sovvertendo i ruoli e i principi: qui è l’istituzione-governo che aggredisce l’istituzione-magistratura, non il contrario. Salvini è una conferma vivente del teorema. Anche lui esce disfatto dal fronte migranti. La sua “chiamata alle armi” a Palermo - a pochi passi dall’altro tribunale, quello che lo sta processando per la vicenda Open Arms - è stato un colossale flop. Non c’era la folla, a sostenere il leader leghista nel suo atto sedizioso contro i giudici, copia sbiadita delle erinni berlusconiane accorse in massa sulla scalinata del Palazzo di Giustizia di Milano per difendere il Cavaliere dalla “persecuzione delle toghe rosse”. A dare manforte al Capitano erano in quattro gatti, Calderoli e Giorgetti, Valditara e Locatelli. Parafrasando Andreotti, ai tempi del famoso viaggio aereo di Bettino Craxi in Cina: davanti al Politeama c’erano giusto Matteo e i suoi cari. Ma a prescindere dal numero dei partecipanti, il fatto in sé resta gravissimo, e fa il paio con il misfatto di Meloni. Un vicepresidente del Consiglio e capo del secondo partito della maggioranza, insieme alla sua delegazione ministeriale, scende in piazza contro l’ordine giudiziario. Come nella peggiore tradizione populista, siamo alla “secessione delle classi dirigenti”: la politica che, per sottrarsi al controllo di legalità, fa saltare il banco. Un’enormità, (…): …nell’abominio albanese la posta in palio non è “il danno erariale”, ma è il patto costituzionale. Una sfida molto più impegnativa, che richiede un’opposizione all’altezza. Questo film dell’orrore l’abbiamo già visto negli anni di fango del Caimano. Non credevamo di rivederlo oggi, negli anni di palta dell’Underdog.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
sabato 19 ottobre 2024
MadeinItaly. 38 Giovanni Valentini: «Intorno al governo un consenso "inconsapevole” cioè ideologizzato e acritico di quella parte dell'opinione pubblica che non sa o non vuol sapere. E preferisce rimuovere la verità».
«Non sono solita soffermarmi sui sondaggi;
ma constatare che, a due anni dalla nascita del nostro governo, la fiducia
degli italiani nella coalizione di centrodestra non solo rimane solida ma
continua a crescere, è per noi un grande motivo di orgoglio (da un post di
Giorgia Meloni su X - 8 ottobre 2024)». Come si spiega il paradosso per cui
peggio vanno le cose nel Paese reale e più cresce nei sondaggi il consenso per
Giorgia Meloni e per il suo governo? È
un fenomeno politico e mediatico che, al di là dell'attendibilità statistica,
merita di essere analizzato con il distacco critico dell'obiettività. A parte
le grandi menzogne propagandistiche sulla sanità e sulle banche, prendiamo tre
esempi concreti. E cominciamo dalle accise sui carburanti: in campagna
elettorale, Meloni s'era scagliata contro questi balzelli, interpretando anche
un video delirante in cui ne reclamava l'abolizione. Ora non solo il suo
governo non toglie le accise, ma anzi aumenta ("gradualmente") quelle
sul gasolio che colpiscono in modo indiscriminato chi usa il diesel per lavoro
e chi il Suv per motivi personali. Ma è sufficiente non parlare più di
"aumento" bensì di "allineamento" delle accise sul gasolio
(61, 7 centesimi al litro) a quelle sulla benzina (72,8 centesimi) e così
l'illusionismo è servito. Vale all'incirca l miliardo di euro in più di entrate
per Io Stato (Sole 24 Ore). Altri due esempi. Il governo vanta grandi successi
in campo economico, ma la produzione industriale è in calo da 19 mesi
consecutivi (dati Istat). E questo non contribuisce certo a fare crescere la
ricchezza e il benessere nazionali: tant'è che l'aumento del Pil è inferiore
all'1%. Ultimo esempio, l'immigrazione. L'esodo biblico continua
quotidianamente, sebbene in misura ridotta: 54.129 persone sono sbarcate sulle
nostre coste dal 1° gennaio al 15 ottobre di quest'anno (ministero
dell'Interno), senza contare quelle arrivate dalla "rotta balcanica".
Eppure, come ha rilevato in tv Peter Gomez, è scattato un black-out generale,
quasi che l'emergenza fosse cessata e il problema risolto con il bluff sulla
"deportazione" dei migranti in Albania. Ora è indubbio che Giorgia
Meloni abbia una notevole capacità comunicativa, oltre a una carica di energia
e di vitalità. Ma, da capo del governo in carica, lei fa - per così dire -
l'opposizione all'opposizione: nel senso che gioca sempre all'attacco,
esercitando il suo vittimismo nei confronti di "quelli che ci stavano
prima", come se negli ultimi trent'anni il centrodestra (lei compresa) non
fosse stato quattro volte al governo. E così si diffonde una strategia di
persuasione occulta che altera i dati di fatto e mistifica la realtà. A suo
favore c'è un poderoso apparato mediatico, una "infosfera" come
direbbe il neoministro della Cultura, che divulga e amplifica i risultati
dell'azione di governo. Occultando o ridimensionando gli aspetti negativi ed
esaltando quelli positivi. Sovraesponendo le apparizioni della premier o,
magari, "tagliando" le immagini quando interviene nell'aula semivuota
all'Onu e le staccano il microfono perché ha "sforato" i tempi.
Questo nuovo Minculculpop è formato dalle reti televisive pubbliche che, sotto
l'occupazione politica dei vertici Rai, riflettono un orientamento
filo-governativo; dalle reti Mediaset che fanno capo al partito azienda di
Forza Italia; e da una dozzina fra giornaloni e giornalini che intonano il
coro, alcuni dei quali non arrivano neppure in edicola ma figurano come
comparse nelle rassegne stampa della tv di regime. È fatale, allora, che intorno
al governo si aggreghi un consenso "inconsapevole”, cioè ideologizzato e
acritico, di quella parte dell'opinione pubblica che non sa o non vuol sapere.
E preferisce rimuovere la verità. (Tratto da “Meloni si rafforza col consenso di chi non vuole sapere”
pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 19 di ottobre 2024).
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