"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 30 ottobre 2024

Lavitadeglialtri. 51 Massimo Giannini: «Le cose pazzesche le facciamo solo quando abbiamo un desiderio che è più forte di noi. È esattamente quello che oggi ci manca».


DolenziedellAnimo” 1. “Fortissimi desideri”, testo di Massimo Giannini pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 19 di ottobre 2024: (…). Due grandi psicoanalisti ci ragionano da anni. Umberto Galimberti (…) può spiegare come e qualmente i telefonini dei quali siamo prigionieri si chiamano allo stesso modo delle camionette della polizia penitenziaria che ti porta in carcere: cellulari. Massimo Recalcati (…) può insegnare che persino il "non abbiate paura" di Gesù dice agli uomini di sottrarre la vita a una visione solo moralistica della Legge, e anche di affermare un'altra legge che li autorizzi a coltivare i propri desideri e i propri talenti. Un grande scrittore, narratore, affabulatore come Alessandro Baricco (…) può ricordare la vicenda di Romeo, che scala la parete d'edera in un luogo e in un tempo in cui se lo beccano gli altri gli fanno un culo così, le due famiglie che si odiano, i vicini che protestano... Lui si arrampica non perché è coraggioso, e infatti quando muore Giulietta si uccide. Romeo lo fa perché desidera, desidera da morire. Come tutti noi: le cose pazzesche le facciamo solo quando abbiamo un desiderio che è più forte di noi. È esattamente quello che oggi ci manca. A noi e alle generazioni più giovani. Un desiderio forte, fortissimo, in nome del quale fare cose pazzesche. Lo pensavo guardando Vermiglio. Di quel gioiello di film, scritto e diretto da una stupefacente Maura Delpero, (…). …a me ha colpito (…) questo aspetto. In un mondo lontano, ormai quasi antico, le leggi di una piccola comunità di montagna - impastate con i pregiudizi e i divieti, le regole e le convenzioni - non impediscono ai desideri di sbocciare tra la neve, la povertà, la Storia. Desidera il padre Cesare che insegna le Quattro Stagioni ai piccoli nella scuoletta del Paese, che nel suo cassetto dei segreti custodisce un suo YouPom ante-litteram, che spende soldi per comprare un disco per il suo grammofono, con la moglie che gli dice abbiamo da sfamare i figli e lui, sfiorando appena quel vinile come fosse un tesoro, le risponde "serve anche il cibo per l'anima". Ma desiderano soprattutto le donne che sempre, nella vita come in questo prezioso racconto dell'Italia alla fine della Seconda guerra mondiale, sono la leva e la forza del cambiamento, proprio perché desiderano. Desidera la madre Adele, capace di zittire il padre severo e autoritario che umilia il figlio più grande, in un'epoca in cui il patriarcato c'era davvero. Desidera la figlia Ada, che vede il suo corpo crescere e ne ascolta i richiami fino in fondo, dissolvendo il senso di colpa, il peccato, la penitenza nel fumo di una sigaretta. Desidera la figlia Lucia, che perde l'uomo amato e sta per fare come Romeo, sull'orlo del precipizio, e poi si ferma, accetta il dolore e sceglie di guardare avanti. Perché desidera. Desidera la sua piccola Antonia, desidera il suo futuro, tutto da inventare. Chiude le imposte della sua camera da letto, che lascia immersa nel buio. Chiude la porta alle sue spalle e al suo passato. Lascia Vermiglio, e va incontro alla vita.

DolenziedellAnimo” 2. “Con più leggerezza”, testo di Concetta De Gregorio pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” di pari data: Dovresti prendere le cose con più leggerezza, mi ha detto una persona di cui mi fido.  Più di così?,  ho  domandato.  Sono leggerissima, non vedi? Guarda come volo radente sulle catastrofi. Ho proseguito elencando catastrofi. Lo vedi, ha detto: elenchi catastrofi. Esse tuttavia esistono, ho sguainato il mio leitmotiv: non è che se tu le ignori, non le nomini allora cessano di essere lì dove sono, tutto attorno. È un chiodo fisso, questo che hai, ha detto la persona. Quale chiodo? Questo del fatto che sia sbagliato non analizzare fino allo stremo le persone, le parole, le situazioni, gli stati d'animo e le ragioni ultime. A volte è un sollievo, invece, ha proseguito: non tutti vogliono passare il loro tempo a rimuginare su quello che non va. È una tecnica di sopravvivenza, funziona. Mi sono innervosita. Ho detto lo sai qual è il modo migliore di non vedere un edificio orribile? Andare a viverci dentro. C'è una grandissima quantità di persone che se deve scegliere tra vivere in una bella casa e vivere davanti a una bella casa preferisce la seconda opzione: così quando si sveglia la mattina, nella sua brutta casa, si affaccia e vede l'altra, quella bella Cosa c'è di male, ha chiesto la persona: mi sembra una buona strategia. Ma è un panorama, non è la tua vita. È solo un panorama. Perché, ha chiesto la persona: quello che vedi, il panorama, non fa parte della tua vita? Da qui in avanti è diventata una conversazione piuttosto astratta. Non che non lo fosse già prima ma intendo: di più. Astratta e incerta, perché effettivamente quello che vedi contribuisce alla percezione della realtà e sovente anche al tuo benessere: non avevo più grandi argomenti né voglia di trovarne. Sono tornata a casa di pessimo umore, e quando è così mi arrovello sul tema principale: se sia meglio essere accoglienti e indulgenti o intransigenti e severi, con gli umani. Io mi reputo accoglientissima, paziente e bonaria. In genere mi dicono invece che sono dura, sarcastica, censoria. Non capisco questa dispercezione, questa distanza fra come mi sento e come risulto agli occhi degli altri. Quando non ho altra catastrofe su cui riflettere lo faccio, con una certa periodicità e decennale costanza, su questa. Tra le persone ci sono i figli, naturalmente. Persone che conosco e mi conoscono da quando sono nati. Dunque bene, credo. Era più giusto essere accogliente o essere intransigente, con loro? Entrambe le cose, ok: ma in che misura? Qual è il punto di equilibro fra dire non mi importa se non ti lavi e pretendere: lavati, per esempio e per dire una cosa semplice. E soprattutto: a quale età questo cessa di essere un problema mio? L'altro giorno uno di loro mi ha detto: tu non sai niente di me. Ora: niente? Qualcosa può essermi sfuggito, ma: niente? Mi ha detto: ti ricordi quella volta in cui ti ho chiesto se mi vuoi bene anche se sono cattivo? Sì, ho risposto: è stato 25 anni fa ma me lo ricordo. Ecco, sai cosa mi hai risposto? Sì. Ti ho detto "Certo: ti voglio bene sempre". Esatto: e sai cosa significa questo? No, dimmi. Significa che non mi hai detto: "Tu non sei mai cattivo". Mi hai detto: "Lo sei ma ti voglio bene lo stesso". Dovresti prendere la cosa con più leggerezza, gli ho risposto.

Nessun commento:

Posta un commento