“Bombe&Morte”. “Dedicato a Tazuko e alle altre vittime che continuano a fermare la Bomba”, testo di Francesco Piccolo pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, sabato 12 di ottobre 2024: (…). …è giusto diffidare di chi parla oggi in nome degli hibakusha, e non solo perché già nove anni fa, quando nell’ospedale dei sopravvissuti, a una ventina di chilometri da Hiroshima, ne incontrai 300 in una volta sola, la più vecchia aveva 103 anni e il più giovane 79. Erano quasi tutte donne con i visi bellissimi e i corpi segnati e neppure tra di loro parlavano della bomba che li univa. Una signora che mi teneva la mano mi disse «e la vita poi deragliò» ma non sono sicuro che volesse dire l’indicibile. Sarebbe bello, ma forse inutile tornare e parlare di Nobel in quel giardino grasso, che l’umidità trasformava in un acquario conradiano. Rimasi con quei 300 vecchi per quasi dodici ore. Quattro ospiti per stanza, un bagno ogni due stanze, sembrava la tipica città dolente per anziani, ma il professore Kamada, che aveva passato la vita a studiare il loro sangue e ne aveva pure sposata una, mi spiegò che sapevano «che i loro acidi non erano i normali umori del disfacimento. Perciò da vecchi vengono qui, anche quelli che hanno i soldi per ricoveri di lusso. Non per stare insieme, ma per morire insieme». Il professore mi disse che il 25 per cento degli hibakusha «non parla di quello che ha visto e subìto, neppure ai propri familiari, neppure ai figli. Poi c’è un 45 per cento che ha parlato due o tre volte in tutta la vita. Solo il 30 per cento parla, e tra loro c’è un piccolo gruppo che parla tantissimo». Mi raccontò di avere capito che l’atomo modificava i cromosomi già nel 1960 «ma non potevo dirlo, e non solo perché allora la censura americana controllava tutto, ma anche perché non volevo terrorizzare nessuno». La leucemia, i rischi per la seconda generazione? «All’inizio aumentò la natalità perché, nelle catastrofi, riprodursi è un “bene rifugio”, ma poi, guardi il diagramma, la natalità diminuì sempre di più». Perché? «Perché la gente aveva capito quel che i medici non capivano e cioè che le conseguenze della bomba arrivavano ai figli». Come l’avevano capito? «Alcuni bambini nascevano malati o deformi, con i cheloidi sulla pelle, privi di arti». Il professore arrivò a Hiroshima 15 anni dopo la bomba: «A Hiroshima mi sono laureato, poi ho studiato a San Francisco e quindi sono tornato». Solo alla fine mi parlò del matrimonio. «Il mio capo mi cercò moglie. Si rivolse a sua nonna che mi presentò una signorina che lavorava come segretaria alla Mazda». Cosa aveva visto il 6 agosto del 1945? «Aveva tre anni e vide tutto quello che c’era da vedere. Era con la famiglia, a due chilometri e trecento metri dall’esplosione». È una di quelle che parlano? «No. È una di quelle che hanno parlato solo due volte, e mai ai nostri figli». Neanche con lei? «Con me sì. Ma io, prima di essere il marito, sono un medico». E poi con chi ha parlato? «Una sola volta in pubblico, ma all’estero». Dove? «Non credo che mia moglie approverebbe se glielo dicessi». E i suoi suoceri? «Hanno vissuto con me. Ma sono morti: a lui è esplosa una vena, lei è morta di mal di cuore». C’entra qualcosa la bomba? «Quando morirono pensavo di no. Adesso penso di sì». Quanti figli avete? «Due figli e quattro nipoti». E stanno bene? «Sì, stanno bene». Il professore mi mise in contatto con il vecchio Tazuko, uno di quelli che parlavano. Gli hibakusha, mi spiegò Tazuko «non hanno permesso che dalle vittime nascessero sempre e solo altre vittime», che «la bomba continuasse a esplodere il 6 agosto di ogni anno». Era infatti questa la profezia: «Per almeno 75 anni, non crescerà più niente, nemmeno l’erba». E invece è bella Hiroshima perché non somiglia a Hiroshima. È bella perché anche gli occhi di Tazuko, che nel 2015 ancora piangevano il neonato che sua moglie «mise al mondo coperto di lividi e senza braccia», non si limitavano più a srotolare il tempo a ritroso: «Guardo i posteri che mi camminano accanto e mi piacciono questi figli di nuovo felici di Hiroshima. So che hanno superato il milione e non hanno più l’ossessione di contare i leucociti. Forse abbiamo restituito a Hiroshima il diritto di morire per cause naturali. Forse». (…). Fu lui che mi spiegò che tra tutti i significati della parola hibakusha il più giusto è «coloro che non si suicidarono nonostante avessero tutte le ragioni per farlo».
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
sabato 12 ottobre 2024
Lastoriasiamonoi. 09 Bombe&Morte.
Vivo questa orrenda vigilia di Kippur, per
gli ebrei Giorno dell'Espiazione in cui si digiuna invocando la remissione dei
peccati commessi, nel luogo che forse più di qualunque altro dovrebbe
ricordarci di quali misfatti sia stato capace l'uomo contemporaneo: Hiroshima,
Giappone. Prima di venirci, non a caso, ho voluto rileggere quel capolavoro
dagli impressionanti intenti premonitori che è Se questo è un uomo di Primo
Levi. Chi l'avrebbe detto che l'incubo della bomba atomica testimoniato da
Hiroshima, macchia indelebile nella storia degli Stati Uniti, ricomparisse come
variabile concreta nelle guerre dell'oggi. E ancor più nell'immediato: chi
l'avrebbe detto che mi sarei ritrovato a digiunare in questo cratere della
disumanità all'indomani del giorno in cui entrano assurdamente in collisione le
genti e i luoghi di cui sono fatto: Israele, cioè la mia gente, che bombarda e
invade il luogo in cui sono nato; e per farlo attacca deliberatamente le
postazioni Unifil di interposizione sul confine presidiate dai soldati del
Paese di cui sono diventato cittadino. È stato un carro armato israeliano a
sparare sul quartier generale Onu di Naqoura. E io ripenso a quando il generale
Enzo Iannucelli, comandante dei bersaglieri della Garibaldi, mi aveva fatto
scortare per recitare un Kaddish fra i lentischi e i corbezzoli di Hirbeit
Kseif, sul luogo in cui un altro carro armato era caduto in un'imboscata. Lo
avevo promesso al padre di Uri, il soldato ventenne morto l'ultimo giorno della
guerra del 2006: il mio amico David Grossman. L'anno prima, la guerra era
finita da poco, il comandante della Folgore, generale Maurizio Fioravanti, mi
aveva accompagnato lungo il confine di terra rossa che i parà italiani
presidiavano con base a Tebnine, strutture metalliche prefabbricate bianche
dov'era stato richiamato in servizio anche l'ambasciatore Giuseppe Cassini,
conoscitore dei campi palestinesi e dei vertici Hezbollah. Che ipocrisia
fingere che l'Italia non intrattenga relazioni con il Partito di Dio sciita.
Come si potrebbe operare proficuamente lì, altrimenti? Indossando la divisa
dell'esercito libanese un ufficiale Hezbollah familiarizzava in mensa coi
nostri militari, che del resto coordinavano riunioni trilaterali fra nemici coi
"vicini del Sud". Non si è mai più interrotto da allora il mio legame
affettuoso col generale Fioravanti. E la tragica scelta compiuta pochi mesi fa
dal generale Claudio Graziano, togliersi la vita, non diminuisce certo la
gratitudine con cui lo ricordo. Comandava l'intera missione sovranazionale dal
verde di Naqoura, incuneato fra il blu del Mar di Levante e le prime rocce
rossastre di Galilea. Sapendo la mia storia mi concesse di traversare la terra
di nessuno raggiungendo il reticolato dietro cui sventolava la bandiera
israeliana. Quando mi rivolsi in ebraico alle sentinelle non la presero niente
bene, dubbiose se fossi una spia o un disadattato psichico. Troppo giovani per
sapere che quel confine, i miei genitori, poco prima che io nascessi, lo
traversavano pacificamente. Israele che pretende di spintonare di lato i
contingenti che hanno garantito per anni il peacekeeping, neutralizzando le
loro telecomunicazioni, compie un altro passo di distruzione-autodistruzione.
Mette in mostra la brutalità di militari stremati e esasperati a cui hanno
messo in testa che le Nazioni Unite sono una palude di antisemitismo, complice
di Hamas e Hezbollah. Sono passi verso l'indegnità e la perdizione più o meno
calcolati - ormai l'azzardo del tutto per tutto - sembra aver preso il
sopravvento nella leadership di Netanyahu - che visti da Hiroshima danno l'idea
di mettere nel conto finanche l'apocalisse nucleare che nella propaganda si
afferma di voler prevenire. Sinistra assonanza con Putin. Sicché la sfrontata
esibizione di forza in sfregio agli stessi alleati (il ministro della Difesa
Guido Crosetto è cofondatore di un partito associato al Likud di Netanyahu
nell'Ecr, e fino a un anno fa FdI ne menava gran vanto), e il calpestare
ostentatamente l'autorità dell'Onu, riescono a distoglierci dalla strage
quotidiana che continua a Gaza, in Libano e in Cisgiordania. In attesa del
passo fatale annunciato come tale: la guerra balistica col gigante Iran. Visito
Hiroshima e mi preparo al Kippur con la flebile speranza che i rabbini, al
termine della giornata di digiuno, non scambino lo struggente suono del shofar
(corno di montone) che annuncia la remissione dei peccati per una nuova
chiamata alla guerra. Il fungo atomico di Hiroshima, unito al monito di Primo
Levi, dovrebbero ricordarci che quel che è avvenuto può ripetersi.
(Tratto da “Israele, Libano e Italia: i
mei mondi si stanno scontrando” di Gad Lerner, pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” di oggi, sabato 12 di ottobre 2024).
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