Sapore di sale
Sapore di mare
Che hai sulla pelle
Che hai sulle labbra
Quando esci dall'acqua
E ti vieni a sdraiare
Vicino a me
Vicino a me
Sapore di sale
Sapore di mare
Un gusto un po' amaro
Di cose perdute
Di cose lasciate
Lontano da noi
Dove il mondo è diverso
Diverso da qui
Qui il tempo è dei giorni
Che passano pigri
E lasciano in bocca
Il gusto del sale
Ti butti nell'acqua
E mi lasci a guardarti
E rimango da solo
Nella sabbia e nel sole
Poi torni vicino
E ti lasci cadere
Così nella sabbia
E nelle mie braccia
E mentre ti bacio
Sapore di sale
Sapore di mare
Sapore di te
“Sapore di sale” di Gino Paoli.
“Ornella e il mare”, testo di Malcom Pagani pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 5 di ottobre 2024: Di essere Ornella Vanoni, Ornella Vanoni non ne può più. Vorrebbe smetterla di raccontare sempre le stesse storie, di ricordare ancora una volta il primo incontro con Gino Paoli, di spiegare il rapporto con Strehler: «Ero un materiale grezzo, un Pinocchio da cesellare», con il teatro, con l'arte. Vorrebbe, ma non può perché intanto, decennio dopo decennio, si è trasformata in un panda. In un mondo abituato alla prudenza, la sola idea che Vanoni dica ciò che pensa la issa sul piedistallo degli eretici. Ma spente le fiamme e passati di moda i roghi, resta il fuoco di una donna che giura di impegnarsi ogni giorno a invecchiare senza maturità. Meno timida che da ragazza, ma ancora curiosa, perché come le suggerì Sergio Bardotti che sapeva cercare le parole giuste, non solo nelle canzoni: «Le persone curiose volano, quelle che non hanno fantasia camminano». Ornella è qui, tra noi, che di tanta libertà non sappiamo cosa farcene. Non abbiamo visto la guerra («Quando non sai se arriverai a domani dimentichi le nevrosi inutili e ti concentri sull'essenziale»), confondiamo le relazioni con la proprietà (…), coviamo rancori che senza umorismo si traducono in frustrazioni sterili. Inutili e deludenti: «Ho sofferto anche io e ho avuto un'ultima storia d'amore con un ingrato che mi ha ferito. Se quello va sotto a un tram magari mi dispiace, però meglio». In un'epoca diversa, Ornella non toccava note molto distanti da quelle di oggi. Se scorgeva una stonatura, spegneva il microfono. Una volta, impegnata in un programma condotto da quel gigante di Antonello Falqui, riuscì a farlo sentire un nano: «Avrei dovuto cantare una canzone di Gino Paoli, La storia di un ricordo, un pezzo drammatico che avevo scelto senza tenere in conto che prima di me avrebbe dovuto esibirsi una cantante gallese, Shirley Bassey, con un brano non esattamente allegro. In studio per la Bassey si sdilinquivano tutti ed era tutto un florilegio di "Ah divina!" e "Ah straordinaria!". Li ascoltavo e pensavo: "Come siete provinciali". Poi a un tratto si avvicinò Falqui e secco mi intimò di cambiare canzone. Non feci una piega, comunicai ai musicisti che avrei sostituito la canzone prevista con Senza Fine e poi mi accorsi che senza una ragione apparente e senza avvertirmi, Falqui aveva chiamato la pausa. A quel punto gli diedi dell'esterofilo di merda e me ne andai lasciando lo studio su due piedi». Stare accanto ad Ornella era difficile perché Vanoni aveva un carattere. Ma se la capivi era tua per sempre e tu, per sempre suo. Amava, riamata, Gaber, Battisti, Lucio Dalla e soprattutto Hugo Pratt. «Di Hugo ero letteralmente pazza. Gli potevi dire di tutto e non si offendeva mai. Con lui ogni cosa era letteratura, sogno e divertimento. A tavola, perché a Hugo la tavola piaceva come poche altre cose al mondo, era solito tralignare. Così, a bruciapelo, una sera gli dico: "Hugo, sei un barile, non è che stai ingrassando troppo?». E lui, di rimando, senza neanche aggrottare la fronte: "El magnar, el bever, le donne. La vita vale la pena solo se la vivi". Se non gli fosse piaciuta la vita, mi diceva, sarebbe stato magro come un asceta». Ora gli anni sono novanta, ma rispetto alla celebrazione costante del mito, Vanoni erige una relativa distanza: «Non penso mai al segno che ho lasciato perché l'ego è una questione faticosa». Viene da pensare che dei segreti di Ornella, in fondo, si sappia poco. «Ho malinconie profonde che nascondo alla vista degli altri e un fondo dublinese, da amante della pioggia, che non mi abbandona mai». Sempre più spesso le chiedono della morte e lei, che non ha mai avuto tanta voglia di vivere come oggi, sceglie di sollevare l'acqua perché non si possa vedere cose c'è sul fondo. Se sabbia, abisso o resurrezione: «La morte mi fa pensare al mare. Perché? Perché il mare porta via».
N.d.r. Quell’”arenile di San Gregorio”, nell’immaginario collettivo del luogo, sembra abbia ispirato quel brano - di cui sopra - ed una straordinaria, appassionata storia d’amore.
Nessun commento:
Posta un commento