"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 10 ottobre 2024

Lastoriasiamonoi. 08 Malcom Pagani: «Franca si metteva in posa ed era bellissima come sa essere solo chi della propria bellezza si è sempre disinteressato. L'aveva sempre cercata negli altri».

                                Sopra. "Riflessi" (2024), matita di Anna Fiore. 

Donne. La Storia di Rannva”. “Il vincolo dell’amore” di Gabriele Romagnoli pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 5 di ottobre 2024: Una mia prozia ebbe un bambino senza essere sposata (e senza mai presentare alcun padre): la chiamavano "ragazza madre" (anche quando morì, a oltre 70 anni, la definirono così). Una mia zia ha vissuto la stessa esperienza, ma era definita "madre single". È cambiato qualcosa, non soltanto nominalmente. Ci ho pensato mentre stavo viaggiando tra le isole Faroe, sperdute nell'Atlantico, la terra del forse e delle leggende. Si tratta per lo più di favole cupe, dove le donne fanno spesso una brutta fine. Le adultere, legate mani e piedi, vengono gettate nelle acque gelide dal molo (una chiese al padre di suggerirle un vestito per l'occasione e quello rispose: "Che importa, mica vai a sposarti!"). C'è poi la storia di Rannva, spedita in esilio ai margini della minuscola isola di Skuvoy, poco più di un sasso. Arrivarci oggi, dalla capitale Torshavn, è relativamente facile. Un tunnel appena costruito collega l'isola principale a quella di Sandoy. Da qui si prende un traghetto, quando riesce a partire, e si sbarca infine a Skuvoy. Al tempo di Ravvna, nel sedicesimo secolo, era invece una lunga avventura, che richiedeva giorni. Cinque ne impiegò quando venne spedita nella capitale per partecipare alla festa nazionale, durante la quale si radunava l'assemblea che governava l'arcipelago. Lì incontrò un uomo. Pare si siano parlati a lungo e dati appuntamento, alla stessa data, per l'anno seguente, meteo permettendo. Al secondo incontro passarono dalle parole ai fatti e Ravvna rimase incinta. Secondo la legge dell'epoca essere "ragazza madre" era un reato capitale, punibile con l'annegamento o l'impiccagione. Quando al processo lei rifiutò di rivelare il nome del padre qualcosa scattò nei giudici. Ne apprezzarono il coraggio o l'omertà? Non è dato sapere, fu comunque un punto di vista maschile a farle concedere la grazia. Le fu risparmiata la vita, ma venne allontanata dall'abitato e confinata in una vallata protetta da una corona di rocce da un lato e dalla scogliera dall'altro, dove nessuno si avventurava mai. Lì crebbe il suo bambino (ovviamente la leggenda lo volle maschio). Gli insegnò a parlare, a pescare e cacciare. L'editto si applicava anche a lui, bandito a vita dalla "società". Stavo per scrivere "pur non avendo alcuna colpa", ma questo valeva anche per la madre. Lei invecchiò, lui crebbe. Abitata dallo spirito di Antigone, un giorno Ravvna convinse il figlio a superare il confine proibito e spingersi nella città che l'aveva ripudiato: "Vai, cambiati nome, fingiti forestiero e non pensare più a me", gli disse. Il ragazzo, dopo molte proteste, eseguì. Passato qualche giorno era già di ritorno. La madre lo accolse sorpresa e irritata. Lui però aveva una notizia: "Non c'è più nessuno. Sono tutti morti". La peste nera aveva colpito il resto dell'isola, contagiando senza esclusione i suoi abitanti. A salvarsi erano stati soltanto i due che non potevano avere alcun contatto: la "ragazza madre" e il frutto della sua "colpa". Aspettarono qualche giorno e, come una regina e il principe spodestati rientrano a corte, tornarono a prendere possesso del luogo da cui erano stati cacciati. Lei fu sepolta lì. Sulla tomba pregarono il figlio e sua moglie arrivata da un'altra isola, con in grembo il nipote concepito dopo il matrimonio. Ai futuri residenti di Skuvoy e della maggior parte del mondo poco sarebbe importato della circostanza: Ravvna ottenne gli onori di una fondatrice, patrona di una stirpe migliore perché anteponeva il vincolo dell'amore a ogni altro.

Donne. Franca Bettoja”. “Senza dare spiegazioni” di Malcom Pagani, pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 29 di settembre 2024: Per raggiungere chi amava, Ugo Tognazzi sognava un elicottero: «Da Velletri a Torvaianica, se solo mi chiamassi Frank Sinatra, impiegherei dieci minuti». In un'ora scarsa invece, stipando la macchina di pentole e conserve - a ogni curva, a ogni buca, il clangore dell'allegria - Ugo raggiungeva Franca e con un solo sguardo, in una frazione di secondo, sapeva di essere nel posto giusto. Per chi recita, il tempo è una faccenda strana. Si dilata e si comprime, perde orari e coordinate, si alimenta di estasi e cadute nel vano inseguimento di un equilibrio. Franca Bettoja, madre di Gianmarco e Maria Sole Tognazzi, aveva sposato Ugo al principio degli anni Settanta e trovato definitivamente il proprio facendo un passo di lato. Attrice per Germi, Scola e Ferreri, attrice per Alfredo Giannetti, Oscar alla sceneggiatura per Divorzio all'italiana, attrice nei peplum, nei fantascientifici, nei Sandokan pretelevisivi e nei film dello stesso Tognazzi: «Nelle pause de Il fischio al naso preparavamo frittate, liquori e marmellate». Franca, a un tratto, lasciò le scene. Lo fece senza dare spiegazioni. Con l'innata grazia di chi non deve né ringraziare né genuflettersi. Con la semplicità di chi aveva giocato senza trasformare il gioco in ossessione. Restava la vita, restava un copione che Franca avrebbe scritto senza omissioni, come sempre. Le piaceva dire la verità, ma la verità, per quanto relativa, quando atterra su un giornale, finisce sempre per essere giudicata. Per una donna che a partire da Ugo non aveva mai giudicato nessuno: «Un uomo molto onesto, che sbaglia, ammette i propri errori e li paga sempre in prima persona», per il quale il compromesso era inutilmente faticoso. Per questo non concedeva interviste e per questo stava benissimo in disparte, nella casa davanti al mare. Me lo spiegò al telefono, un giorno di tanti anni fa, con la leggerezza, la simpatia e la determinazione di chi ha capito che il segreto più importante di tutti i segreti, l'unico che ci restituisce davvero l'illusione della libertà, sta nel dire no. Il no di Franca, smarrito nella risata larga, nella telefonata quotidiana con i figli, nei suoi libri, nei suoi entusiasmi stagionali era il no di una persona che aveva scelto l'essenziale. Gli amici che avevano visto Ugo e Franca appartarsi per cucinare cotiche fritte alle quattro di mattina, organizzare tornei di tennis con uno scolapasta in palio e dettare telegrammi con il divieto dell'ipocrisia ai colleghi appena premiati come Nino Manfredi («Sto schiattando d'invidia») erano diventati ombre, ricordi, parentesi di esistenze lontane, fotografie. Con certi abiti delle sorelle Fontana, nelle architetture in bianco e nero di un'epoca cancellata, Franca si metteva in posa ed era bellissima come sa essere solo chi della propria bellezza si è sempre disinteressato. L'aveva sempre cercata negli altri: negli scambi, nell'indulgenza e nel riconoscere chi gli era simile, senza mai sventolare un diritto, una pretesa, un indizio di guinzaglio corto. Franca non era gelosa perché sapeva che la gelosia è il meno seducente dei sentimenti. Un giorno domandarono a Ugo chi fosse il suo migliore amico. Luciano Salce? Raimondo Vianello? Paolo Villaggio? Ugo che era tutto istinto - quell'istinto che secondo Furio Scarpelli, era figlio di un'epoca («Venivamo tutti, dopo la guerra, dal basso: con le radici piantate nella terra») - rispose «Franca». Disse il suo nome e poi, tornato a casa, con la stessa delicatezza dei primi incontri, tutti fiori e biglietti scritti a mano, le chiese se si fosse sentita offesa. Franca rise, buttò la testa indietro, gli mise una mano sui capelli: «Nessuno mi ha mai fatto un complimento più bello di questo. Vuoi ridirmelo ancora una volta?».

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