"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 5 ottobre 2024

MadreTerra. 28 Elena Stancanelli: «La durata è la forma delle cose, e gli alberi, rispetto a noi, durano tantissimo. Certo, se non li tagliamo».


Basterebbe piantare alberi in città, più alberi possibile, e la temperatura si abbasserebbe.  E piantare alberi è molto più facile che costruire rifugi su Marte o bombardare le nuvole per far piovere. E allora perché invece di piantarli li tagliamo o li potiamo così male da farli morire di disperazione, e qualche volta li sostituiamo addirittura con colate di cemento, che solo a guardarle fanno venire caldo? Vicino a dove abito io c'è una strada, lunga, celebre perché protagonista di un romanzo di Carlo Emilio Gadda. Questa strada, oltre che per il romanzo, è famosa per i suoi platani centenari, che folti e robusti, da entrambi i lati fanno ombra sul marciapiede. Di più: creano un corridoio magico fatto di luccichii, versi di uccelli, e stormire di foglie che, quando il traffico cala, è un incanto. Da qualche anno però questi alberi, uno dopo l'altro, stanno scomparendo. Sono malati di un fungo, Armillaria, che li rende fragili. Basta un temporale, dicono, e potrebbero spezzarsi, cadere a terra come giganti uccisi. Sicuramente non esiste nessuna cura per l'Armillaria, e per questa ragione anziché cercare di salvarli hanno preferito abbatterli, via via che si ammalavano. Ma adesso cosa succederà ai monconi rimasti che in poco tempo sono diventati posacenere, raccoglitori di spazzatura (come ogni cosa negletta)? Verrano sradicati e al posto loro verranno piantati altri alberi, oppure, come avviene ormai di frequente a Roma, si trasformeranno in arredo urbano, archeologia del presente, come tutti quei niente delimitati dalle dannate reti di plastica, arancione che un giorno vengono montate e poi rimangono lì per sempre? Paola Caridi, saggista e giornalista, ha scritto un libro che racconta il ruolo degli alberi nella nostra Storia. Si intitola Il gelso di Gerusalemme (Feltrinelli), anche se quel gelso non c'è più. Proprio come gli alberi di via Merulana è diventato un moncone, per mano di uno sconosciuto che durante il Covid ha approfittato della latitanza del mondo per eliminarlo, stufo della sporcizia prodotta dai gelsi che a terra creavano una poltiglia rossa, Lo sapeva che quel gelso, tut in arabo, era lì da più di cento anni? Alla scrittrice lo aveva raccontato un uomo anziano, palestinese, che era stato bambino negli anni 30 in quel quartiere, Musrara. Che poi era fuggito, insieme a tutta la sua gente, dopo il 1948, quando quel quartiere era diventato israeliano, Cosa sapeva il gelso, "cosa aveva detto senza che noi avessimo la sapienza e l'intelligenza per ascoltarne il linguaggio", si chiede Caridi. Cosa sapevano i platani di via Merulana prima che l'Armillaria e poi gli zelanti giardinieri del comune di Roma li trasformassero in monconi? Racconta ancora Caridi che a volte gli alberi, miracolosamente, ce la fanno a sfuggire alla nostra follia, come quelli dell'orto botanico di Palermo, scampati sia ai bombardamenti del 1943, che hanno raso al suolo qualsiasi cosa là intorno, sia alla speculazione edilizia, il famoso "sacco di Palermo", che tra gli anni 50 e 60 ha cambiato il volto della città. Eppure anche l'Orto ha le sue colpe, e se volessimo essere giusti dovremmo smantellarlo, o almeno introdurlo da un gigantesco trigger tuarning che spieghi la sua dipendenza dal colonialismo, sia nella varietà di piante che nella nomenclatura, tutta occidente-centrica. Dietro gli arrivi in Italia di palme, jacarande, ficus benjamin e bougainvillee ci sono infatti saccheggi e mortifìcazioni. Ma nessuno lo ricorda, perché alla fine vincono gli alberi. E la pomelia, o plumeria o frangipani, originaria dell'Africa, ha finito per diventare la pianta simbolo di Palermo. Perché la durata è la forma delle cose, e gli alberi, rispetto a noi, durano tantissimo. Certo, se non li tagliamo. Le città piene di alberi sono più fresche e accoglienti, mantengono la memoria e guardano al futuro con meno angoscia. Anche le città mettono radici e forse, chissà, in questo modo sopravvivono. (“La saggezza del gelso” di Elena Stancanelli, pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 21 di settembre 2024).

“Siamo alieni sbarcati sulla Terra”, testo di Jeremy Rifkin pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 27 di settembre 2024: Che  cosa  accadrebbe  se  un  giorno  dovessimo  svegliarci  -  tutti  noi,  8  miliardi  di  persone  -  e  ci  rendessimo  conto  che  il  mondo  in  cui  viviamo,  di  cui  facciamo  esperienza  e  a  cui  siamo  profondamente  affezionati  sembra essere divenuto stranamente alieno, come se fossimo stati tele-trasportati in qualche altro remoto pianeta dove i segni identificabili mediante i quali siamo giunti a comprendere la nostra esistenza fossero semplicemente scomparsi, al pari del nostro senso di iniziativa? Oggi questa terrificante eventualità è molto reale. Tutto ciò che pensavamo di sapere sulla nostra casa nell'universo ora sembra sbagliato. Tutti i segni familiari a cui siamo stati legati, e che ci comunicavano un senso di appartenenza e di orientamento, sembrano essere svaniti in un soffio. In loro assenza, siamo noi a sentirci espropriati e sperduti sul nostro pianeta. E ciascuno di noi, a suo modo, è spaventato e incapace di immaginare dove sia possibile rivolgersi per trovare conforto e una maniera di intervenire. Che cos'è accaduto per farci sentire degli alieni nel nostro piccolo angolo di universo? È difficile da ammettere, ma per molto tempo - almeno per gli ultimi sei millenni di quella che ci siamo abituati a designare come «civiltà» - abbiamo frainteso la natura stessa della nostra esistenza e ciò a cui dobbiamo la nostra sopravvivenza. Per dirla senza giri di parole, la nostra specie, in particolare nel mondo occidentale, si è convinta che viviamo su una Terraferma, una lussureggiante distesa verde di solido suolo su cui stiamo e prosperiamo, e che definiamo la nostra casa nell'arena cosmica. Tale percezione spaziale fu sconvolta il 7 dicembre 1972. L'equipaggio del veicolo spaziale Apollo 17, durante il viaggio verso la Luna, scattò da una distanza di circa 45.000 chilometri un'istantanea della Terra che mostrava la vivida e nitida immagine di una splendida sfera blu illuminata dal Sole, inducendo l'umanità a cambiare il modo in cui percepiva la propria casa. Quella che tanto a lungo era stata concepita come una lussureggiante e verde Terra si ridusse all'istante a uno strato sottile sulla superficie di quello che era sempre stato un pianeta d'acqua in moto intorno al Sole e, finora, apparentemente unico con le sue molteplici sfumature di blu nel nostro sistema solare e, forse, nell'intero universo. Il 24 agosto 2021 l'Agenzia spaziale europea introdusse l'espressione «Pianeta Acqua» (Planet Aqua). L'America's National Aeronautics and Space Administration {NASA) si dichiarò d'accordo, affermando sul proprio sito web che, «guardando la nostra Terra dallo spazio, è evidente che viviamo su un pianeta d'acqua». Di recente, il nostro pianeta d'acqua è diventato l'argomento centrale delle conversazioni tra le pareti domestiche, nei nostri quartieri e nelle nostre comunità, nelle stanze dei governi, nel mondo dell'industria e nella società civile. Ciò è dovuto al fatto che l'idrosfera planetaria si sta rinaturalizzando in modi che soltanto qualche anno fa sembravano inconcepibili, portandoci alle soglie della sesta estinzione della vita sulla Terra. Gli scienziati ci dicono che oltre il 50 per cento delle specie presenti sul nostro pianeta sono attualmente a rischio di estinzione entro i prossimi ottant'anni, molte nell'arco di vita dei bambini di oggi. Si tratta di specie che abitano la Terra da milioni di anni. Il nostro clima si sta riscaldando per effetto delle emissioni nell'atmosfera di gas responsabili del riscaldamento globale: C02, metano e protossido di azoto (N2O). Ecco perché l'idrosfera del pianeta ne è influenzata. Ogni grado Celsius di aumento della temperatura sulla Terra causato dalle emissioni responsabili del riscaldamento globale produce una più rapida evaporazione dell'acqua dal suolo e dal mare nell'atmosfera e un incremento del 7 per cento della concentrazione di precipitazione nelle nubi, nonché eventi atmosferici di violenza esponenzialmente crescente - freddo polare d'inverno, che porta con sé intense correnti atmosferiche e nevicate colossali, massicce inondazioni primaverili, prolungate siccità estive, letali ondate di calore e incendi incontrollati, catastrofici uragani e tifoni autunnali -, ciascuno dei quali devasta gli ecosistemi del pianeta, con perdita di vite umane e di vite delle creature nostre compagne, oltre alla distruzione dell'infrastruttura sociale. Ecco un sintetico elenco dei danni provocati finora. Dà senz'altro da pensare, ma va esaminato attentamente, se vogliamo scrollarci di dosso il diniego, il torpore o, peggio ancora, lo sconforto.

· Oggi, 2,6 miliardi di persone sono alle prese con stress idrico elevato o estremo. Entro il 2040 un totale di 5,4 miliardi di persone - oltre metà della popolazione mondiale prevista - vivranno in 59 Paesi alle prese con stress idrico elevato o estremo.

· 3,5 miliardi di persone potrebbero soffrire di insicurezza alimentare connessa all'acqua entro il 2050, con un incremento di 1,5 miliardi di persone rispetto a oggi.

· Nel corso dell'ultimo decennio il numero dei conflitti e degli episodi violenti connessi all'acqua è aumentato del 270 per cento a livello mondiale.

· Un miliardo di persone vivono in Paesi che, con ogni probabilità, non saranno in grado di mitigare le nuove minacce ecologiche e di adattarvisi, il che entro il 2050 creerà condizioni favorevoli a spostamenti in massa di popolazioni e a migrazioni climatiche forzate.

· Le alluvioni sono state la catastrofe naturale più comune dal 1990, rappresentando il 42 per cento delle catastrofi naturali registrate. L'evento più grave in Cina sono state le inondazioni e le frane del 2010, che hanno prodotto 15,2 milioni di sfollati.

· Le alluvioni sono inoltre drasticamente aumentate di intensità in tutta Europa, fino a costituire il 35 per cento delle catastrofi registrate nella regione, e si prevede che siano destinate ad aumentare.

· Siccità, ondate di calore e massicci incendi incontrollati si stanno moltiplicando in ogni continente, devastando gli ecosistemi e distruggendo infrastrutture in tutto il mondo.

· Nella tarda primavera del 2022, «siccità da gravi a estreme» hanno colpito il 32 per cento degli Stati Uniti contermini (cioè con l'esclusione di Alaska e Hawaii). Nel 2023, 1,84 miliardi di persone - quasi il 25 per cento dell'umanità - vivevano in paesi alle prese con grave siccità. L'85 per cento delle persone colpite dalla siccità risiede in paesi a reddito basso o medio.

· Temperature record comprese tra 43 e 50 °C sono state raggiunte in ogni parte del pianeta. Il 9 luglio 2021, nella Death Valley californiana si sono toccate punte di 55 °C. Persino l'Antartide ha stabilito un primato assoluto di 18 °C, in un'ondata di calore verificatasi nell'aprile 2021. Gli anni tra il 2015 e il 2021 sono stati i più caldi mai registrati. Questo record fu battuto due anni dopo, nel luglio 2023, quando il pianeta conobbe i tre giorni consecutivi più caldi mai registrati.

· Nei primi nove mesi del 2023, 44.011 incendi hanno bruciato circa 948.000 ettari di terreno negli Stati Uniti. I disastrosi effetti di tali incendi sono stati eclissati nel 2023 dalla distruzione totale a opera delle fiamme, in sole sei settimane, di oltre 18 milioni di ettari di foreste boreali in Canada. Poiché queste foreste contengono il 12 per cento della massa totale di carbonio fissato al suolo sul pianeta, la sua liberazione in un incendio di grandi dimensioni equivale a 36 anni di emissioni globali di carbonio dovute all'uso di combustibili fossili.

· Il fumo prodotto dagli incendi canadesi causò un tale inquinamento dell'aria che il cielo sopra New York diventò arancione, mentre la qualità dell'aria fu giudicata la peggiore della Terra, seguita da quella di Chicago, di Washington e di altre città, e milioni di persone furono invitate a non uscire di casa.

· 19 Paesi rischiano gli effetti dell'innalzamento del livello del mare, con il 10 per cento almeno della popolazione di ciascuno di essi potenzialmente esposto a tali effetti. Ciò avrà conseguenze significative per le aree costiere basse della Cina, del Bangladesh, dell'India, del Vietnam, dell'Indonesia e della Thailandia nei prossimi tre decenni, oltre che per città con un numero cospicuo di abitanti come Alessandria d'Egitto, L'Aia e Osaka.

· Entro il 2050, 4,7 miliardi di persone risiederanno in Paesi soggetti a minacce ecologiche gravi ed estreme.

· Gli scienziati comunicano l'allarmante scoperta che lo scioglimento delle calotte glaciali polari e dei ghiacciai di montagna, unito all'estrazione di volumi senza precedenti di acqua pompata dal sottosuolo per l'irrigazione e il consumo umano, hanno modificato il modo in cui la massa idrica è distribuita nel pianeta e alterato la rotazione della Terra sul suo asse, con incalcolabili implicazioni per il futuro della vita.

· In alcune regioni i livelli di ossigeno presente negli oceani sono precipitati in seguito al cambiamento climatico anche del 40 per cento.

· Entro il 2050 il 61 per cento di tutti gli sbarramenti idroelettrici del pianeta sarà in bacini fluviali a «rischio molto elevato o estremo di siccità, di inondazioni o di entrambe le cose».

· Il 20 per cento della quantità totale di acqua dolce rimasta sulla Terra si trova nei cinque Grandi Laghi interconnessi del Nordamerica.

· La Banca mondiale riferisce che «negli ultimi cinquant'anni l'acqua dolce pro capite è diminuita della metà».

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