“Neonati,
vecchi: in fuga dai raid nessuno sa chi vive e chi muore” di Leila Aad pubblicato sul giornale online “Mediapart”
e riportato su “il Fatto Quotidiano” del 30 di settembre 2024: Sarah
sarebbe dovuta tornare sui banchi di scuola la settimana scorsa. Ma il 24
settembre, martedì, è da sfollata, e non da alunna, che la sedicenne libanese è
entrata in un'aula dell'Istituto tecnico Dekwaneh di Beirut. Ormai vive qui,
insieme alla sua famiglia e ad altri parenti, una dozzina di persone in tutto.
La stanzetta ha un arredamento alquanto spartano: le sedie degli studenti sono
state accatastate in un angolo, per poter far posto ai materassi, che sono
stati appoggiati direttamente sul pavimento. La nonna di Sarah, un'anziana
signora malata, è stata sistemata in fondo. Al centro invece c'è il suo cuginetto,
un ragazzino affetto da sindrome di Down, che sta giocando con un telefono.
"Peccato per l'inizio del nuovo anno scolastico", osserva la giovane
libanese con tristezza. La sua famiglia è fuggita frettolosamente dalla
periferia sud di Beirut, al centro di tre raid aerei israeliani in una
settimana. Lunedì scorso, i bombardamenti, mirati a colpire Ali Karaki, uno dei
principali capi militari del gruppo sciita libanese Hezbollah, hanno centrato e
distrutto la palazzina accanto alla casa della famiglia di Sarah. "Siamo
partiti immediatamente - racconta Zaybab Abdel Rahim, la zia della giovane. Non
abbiamo neanche avuto il tempo di fare le valigie, siamo an-dati via di corsa
senza prendere niente. Non avevamo un posto dove andare". Come Sarah e la
sua famiglia, centinaia di persone si sono rifugiate in questa scuola di un
quartiere est di Beirut. L'Istituto tecnico Dekwaneh è una delle decine di
strutture che il governo libanese ha messo a disposizione per accogliere le
migliaia di persone che hanno dovuto lasciare le loro case dopo l'offensiva
israeliana lanciata una settimana fa in diverse zone del Paese. La serie di
raid aerei, in cui sono morte più di 550 persone, tra cui almeno 50 bambini e
più di 90 donne, è uno degli episodi più cruenti che il Libano ha conosciuto
dalla fine della guerra civile (1975-1990). L'esercito israeliano sostiene di
aver centrato più di 1.600 obiettivi di Hezbollah (tra cui ovviamente anche il
leader Hassari Nasrallah, ndr). I bombardamenti nel sud di Libano si sono
intensificati dall'attacco di Israele del 17 settembre scorso ai cercapersone e
ai walkie-talkie del gruppo armato sciita. Ma i primi, puntuali, scambi a fuoco
nella zona di frontiera tra Hezbollah e l'esercito israeliano risalgono all'8
ottobre 2023, ovvero al giorno dopo la brutale incursione di Hamas contro la
comunità ebraica attorno alla Striscia di Gaza. Zena Abdel Rahim racconta che
suo figlio, il cuginetto down di Sarah, era preso da continui attacchi di
panico a causa del rumore incessante degli aerei israeliani e dei droni che
passavano sopra la periferia meridionale di Beirut, una regione sotto il
controllo di Hezbollah. "Resteremo qui finché la situazione non si
calmerà, ma viviamo in una condizione di totale incertezza. I nostri vicini di
casa ci hanno fatto sapere che al momento la situazione non è ancora
sicura". Poche ore dopo quel primo raid aereo, i quartieri meridionali
della capitale libanese sono stati di nuovo bersagliati dai razzi israeliani.
Nell'attacco, finalizzato questa volta a eliminare Mohammed Kobeissi, un alto
comandante di Hezbollah, sono morte più di sei persone. Israele ha bombardato
in modo massiccio il Libano per tutta la settimana e il bilancio delle vittime
si aggrava di giorno in giorno. "Continueremo a colpire Hezbollah. E dico
al popolo del Libano: la nostra guerra non è contro di voi, la nostra guerra è
contro Hezbollah”, ha dichiarato Benyamin Netanyahu, il primo ministro israeliano.
Per Netanyahu, il ritorno degli israeliani che vivevano nel nord del Paese, e
che sono stati obbligati a lasciare le loro case da quasi un anno a causa del
conflitto con Hezbollah, è diventato uno degli "obiettivi" di guerra.
In una nota insolitamente critica del 23 settembre, la Forza interinale delle
Nazioni Unite in Libano (UNI - FIL), una missione di pace nata nel 1978, ha
espresso la sua "grave preoccupazione per la sicurezza dei civili nel sud
del Libano". Gli attacchi contro i civili "non solo costituiscono
violazioni del diritto internazionale, ma potrebbero anche configurarsi come
crimini di guerra", si legge nel comunicato. Nel cortile dell'Istituto tecnico
Dekwaneh, a Beirut, una donna e i suoi due figli stanno finalmente ri-prendendo
fiato dopo una notte da incubo passata a fuggire dalla pioggia di bombe cadute
sul loro villaggio, nel sud del Paese. La donna, che preferisce restare
anonima, dice di parlare "a nome della popolazione del Sud del
Libano". Dopo un viaggio in auto di quasi dieci ore - per percorrere un
tratto di strada che in condizioni normali ne richiede non più di due, ma che
era bloccato da importanti ingorghi -, la famiglia è finalmente arrivata nella
capitale libanese. "Non sappiamo nemmeno se i nostri cari sono vivi,
alcuni sono rimasti al villaggio, ma le comunicazioni sono completamente
interrotte, racconta. Lo Stato libanese, che è in bancarotta e sta affrontando
una grave crisi economica da diversi anni, è come inesistente. La donna dice di
non aver ricevuto alcun tipo di aiuto o di istruzione dal governo: "Nessuno
ci fa sapere nulla, non sappiamo cosa faremo". Come loro, migliaia di
libanesi del sud del Paese hanno passato una notte di angoscia nel tentativo di
fuggire dai bombardamenti di Israele. La mattina seguente, l'esercito israeliano
ha allertato la popolazione, invitando i civili ad allontanarsi immediatamente
dalle infrastrutture e dalle aeree utilizzate da Hezbollah che figurano tra gli
obiettivi da colpire. Più di 80.000 chiamate automatiche ai telefoni fissi, con
un messaggio preregistrato in cui si intimava alle persone di evacuare le proprie
case, sono state contabilizzate dalla Ogero, la società che gestisce
l'infrastruttura delle telecomunicazioni in Libano. Poco dopo, Israele ha
lanciato l'operazione su larga scala in Libano detta "Frecce del Nord".
Non è mancata la reazione di Hezbollah che, nel corso della giornata, ha
annunciato diversi attacchi, tra cui l'invio di missili a lungo raggio diretti
verso il centro di Israele, in particolare sulla regione tra Haifa e Tel Aviv.
Secondo l'esercito israeliano, la maggior parte di questi razzi sarebbe stata
intercettata. Mayya vaghi, originaria del sud del Libano, ha trascorso una
notte insonne nell'attesa di ricevere notizie dalla sua famiglia. A Mediapart
racconta che sua sorella è rimasta bloccata per dieci ore sull'autostrada che
porta al nord, nel caos più totale, senza cibo né acqua, con tre bambini
piccoli. Suo cugino era dovuto fuggire in fretta e furia con la moglie, che
aveva appena partorito, e il neonato, ancora nell'incubatrice, sotto le bombe.
Sono ancora in cerca di un alloggio dove fermarsi per qualche tempo. "Il
popolo libanese, il popolo israeliano e i popoli del mondo non possono
permettere che il Libano diventi un'altra Gaza", ha affermato il
segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, all'Assemblea
generale di New York. Ma in Libano sono in pochi ad avere fiducia negli sforzi
diplomatici dell'Occidente. "Si contano più di 500 morti e diverse
migliaia di feriti. In un qualsiasi altro Paese del mondo, avremmo assistito ad
un'ondata immediata di solidarietà da parte della comunità internazionale. Ma
la regione è entrata in un tale ciclo di violenza, così barbaro, che i
bombardamenti israeliani in Libano appaiono secondari, o la sequenza logica
degli eventi", osserva Michel Helou, segretario generale del Blocco
Nazionale, un partito politico libanese. Secondo lui, ciò dimostra "la
debolezza della pressione diplomatica occidentale, praticamente assente da
quasi un anno. Un silenzio scandaloso, di fronte all'escalation unilaterale di
violenza da parte di Israele".
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