“La Storia. Come è nato il negazionismo”, testo di Mario Tozzi pubblicato sulla stessa edizione del periodico “Green&Blue” dell’otto di ottobre: È almeno dagli anni 90 del XX secolo che il dibattito sul cambiamento climatico all'interno della comunità degli scienziati specialisti (unico terreno di dibattito possibile nella scienza) si è concluso con la dichiarazione che l'attuale riscaldamento globale è anomalo e accelerato rispetto al passato e dipende, con una confidenza e un consenso oltre il 90%, dalle attività produttive dei sapiens. Perché allora sta affiorando un rigurgito non di dubbi (lo scetticismo è il sale della ricerca scientifica), ma di negazionismo vero e proprio che arriva a mettere in discussione il metodo stesso, riportando tutto al rango di semplice opinione? Da dove nasce? Dove vuole arrivare? Tutto nasce negli Usa alla fine della Guerra Fredda, quando alcuni scienziati precedentemente occupati nel programma atomico nazionale, di grande personalità e fieramente anticomunisti si trovano progressivamente senza una occupazione specifica e con un nemico che andava piano piano scolorendo. C'era bisogno di conquistare nuove posizioni remunerate di rilievo, che trovavano nelle consulenze federali, e di un nuovo nemico, che identificavano nella salute dei sapiens e nell'ambiente. I nomi, tra i quali spiccano Frederick Seitz e Fred Singer, sono sempre quelli: li ritroviamo in tutte le storie che seguono. Il casus belli sono le ricerche scientifiche che, fino dagli anni 50 mettono in luce la correlazione diretta fra il cancro ai polmoni e fumo di sigaretta. E, dagli anni 70, anche con il fumo passivo, svincolando la malattia dalla decisione libera dell'individuo di fumare oppure no. A quel punto iniziano le battaglie legali contro le major del tabacco, che assoldano quegli scienziati per un lavoro di controinformazione pseudoscientifico avvalorato dalla loro precedente autorevolezza in altri campi. Nel 1953 un gruppo di ricercatori riesce a dimostrare che il catrame di sigaretta, spalmato sulla pelle di topolini, provoca tumori letali. Lo studio ha una risonanza eccezionale, scatta l'allarme sulla necessità di approfondire le ricerche per combattere la malattia e iniziano le accuse contro le sigarette. Pochi mesi dopo, nel dicembre di quello stesso anno, si incontrano al Plaza Hotel di New York i presidenti delle quattro maggiori compagnie produttrici di sigarette. Con loro, i tre amministratori delegati delle maggiori società pubblicitarie. Decisero di ingannare il pubblico americano sugli effetti del fumo sulla salute, e per farlo crearono una strategia specifica. Avrebbero convinto (non dimostrato) l'opinione pubblica che le accuse contro il tabacco non avevano fondamento scientifico. Così crearono un Tobacco Industry Research Committee per finanziare nuovi studi che contrastassero la marea di prove scientifiche sui danni del tabacco. Hanno finanziato ricerche per mettere in dubbio il legame tabacco-cancro, hanno commissionato sondaggi che poi sono stati usati per orientare campagne di disinformazione. Hanno distribuito opuscoli e pamphlet a medici, media, politici e cittadini, per ribadire che non c'era motivo di preoccuparsi. L'industria dichiarava che non c'erano le "prove" che il tabacco fosse dannoso e puntava a creare un "dibattito", convincendo i mass media che per far bene il loro lavoro, dovevano presentare entrambe le posizioni del dibattito stesso. Nel maggio del 1979 fu proprio Fred Seitz a dirigere un programma che distribuì 54 milioni di dollari verso ricerche scientifiche, sicuramente legittime e affrontate da ricercatori con credenziali impeccabili, che avevano come scopo quello di difendere le compagnie del tabacco. Il fumo provoca il cancro? Ma allora anche lo stress o la cattiva alimentazione. Fior di ricerche analizzavano varie casistiche. Ed erano finanziate proprio dalle industrie del tabacco. Ma l'obiettivo era davvero il progresso scientifico? Non proprio. Si approfondivano le ricerche su altre possibili cause, in modo dal confondere e distogliere l'accusa dalle sigarette. L'obiettivo era combattere la scienza con la scienza, sfruttando l'assenza di conoscenze o le incertezze con ricerche che potessero aiutare a distogliere l'attenzione. Come in un gioco di prestigio, in cui la mano destra viene agitata per distogliere l'attenzione dalla sinistra, l'industria del tabacco avrebbe finanziato quelle ricerche che potevano risultare fuorvianti. Quando iniziano le battaglie legali contro le major del tabacco, queste assoldano scienziati come Seitz e Singer per un lavoro di controinformazione pseudoscientifico, avvalorato dalla loro precedente autorevolezza in altri campi, per permettere alle compagnie che li pagano, di difendersi e guadagnare tempo. Milioni di pagine di documenti presentati nelle cause contro le industrie del tabacco attestano e confermano questi legami. In particolare, emerge il ruolo cruciale degli scienziati nel seminare dubbi sui legami tra fumo e rischi per la salute. Possiamo definirla "la strategia del tabacco". Il suo bersaglio è la scienza e si basa sull'impiego di scienziati - guidati da avvocati ed esperti in pubbliche relazioni - disposti a puntare il fucile e premere il grilletto. E i mezzi di comunicazione decidono colpevolmente di prestare fede ai dubbi mercanteggiati da questa lobby, trincerandosi dietro il principio di equilibrio informativo, principio che in scienza ha ragione di esistere quanto la favola di Cappuccetto Rosso: non si danno la stessa importanza e lo stesse peso informativo alla scienza certificata e a quella prezzolata e non verificata. In questo modo si intimidiscono gli organi di controllo e le vittime, che riescono a organizzarsi solo a partire dagli anni 90 nelle prime class actions di successo, la cui prima vittoria è del 1996: si sono guadagnati almeno 40 di profitti. Lo stesso accade per le piogge acide, un problema ambientale che aveva portato a bruciare letteralmente le foreste nordamericane e scandinave negli anni 70. In questo caso la ricerca scientifica aveva identificato nello zolfo il chiaro e solo responsabile, ma desolforare gli impianti di produzione di energia statunitensi era oneroso e avrebbe comportato una riduzione dei profitti, ragione per cui negazionisti si sono messi all'opera per insinuare il dubbio che non fosse quello il meccanismo, tirando in ballo fenomeni particolari e, in sostanza, facendo perdere tempo alla regolamentazione del settore. Sul DDT le cose sono andate peggio: ancora oggi ci sono "scienziati" che, al di fuori del campo delle riviste certificate, criticano il bando del DDT, perché così si sarebbero condannati milioni di bambini per le malattie nei Paesi poveri. Colpevoli i democratici e i radicali statunitensi, influenzati surrettiziamente dagli ambientalisti fomentati dal libro di Rachel Carson, Primavera Silenziosa (1962). Nel libro si mettevano in luce i danni micidiali che i pesticidi stavano recando agli uccelli e agli altri viventi, facendo emergere che se qualcuno fosse costretto a scegliere su chi far rimanere in vita sul Pianeta fra i sapiens e le api, la scelta sarebbe immediata e irrevocabile: gli ecosistemi possono fare a meno del sapiens, ma non degli insetti. Si è poi scoperto che le zanzare si "adattano" al DDT e che questo risultava inefficace già nelle seconde ondate di malaria susseguenti alle prime irrorazioni. (…). …nel 1995 Rowlands, Crutzen e Molina vincono il Nobel per la chimica per aver scoperto il meccanismo di impoverimento dell'ozono che lacerava l'atmosfera causando il cosiddetto buco dell'ozono. E attribuendone la responsabilità al cloro contenuto nei CFC, utilizzati come propellenti nelle bombolette spray e come additivi nei refrigeratori. Per anni i negazionisti avevano tentato di impedire quel rapporto causa-effetto, per proteggere gli interessi delle corporation che fabbricavano CFC, obbligate poi a cessare la produzione e al bando dei CFC solo dopo anni di estenuanti trattative a Montreal (1987). Gli sforzi dei rappresentanti delle industrie puntavano a mettere in dubbio che la riduzione dello strato di ozono fosse reale, o che al massimo, se anche si stesse verificando, non era grave o che fosse provocata dai vulcani. Quindi, uno dei metodi per "spargere" il dubbio, fu quello di creare una contronarrativa: si trattava di una variazione naturale, cinicamente sfruttata da scienziati corrotti allo scopo di procurarsi finanziamenti. E uno dei primi a diffondere queste tesi fu proprio Fred Singer, diventato il primo scienziato al Department of Transportation (Ministero dei Trasporti degli Usa), Singer protestò contro "il panico da ozono" in un articolo pubblicato sulla prima pagina del Wall Street Journal. Ammetteva la lacerazione ma la considerava un episodio "localizzato e temporaneo", non c'era alcuna prova che la colpa fosse dei CFC. Singer riciclava la vecchia tattica del tabacco, la confutazione per distrazione. Bisognava continuare a sottolineare che esistevano molte cause del cancro della pelle, come “virus” predisposizione genetica, cancerogeni ambientali, cambiamenti nello stile di vita e anche la dieta. Tutto vero ma fuori tema. Singer aveva creato una finzione riecheggiata per un decennio. Era l'inizio della contro-narrativa stando alla quale gli scienziati avevano esagerato prima ed esageravano ancora, e quindi erano inaffidabili. Dietro ai meccanismi dei negazionisti appare la stessa volontà di rallentare e ostacolare la regolamentazione del libero mercato, vista come una deriva comunista. C'è il tentativo di ridurre il discorso verso uno schema semplice: l'ambientalismo è il nuovo comunismo. Banale ma pericoloso, perché sposta l'attenzione su un piano ideologico, diverso dall'urgenza dei fatti. Anche in questo caso la scienza certificata aveva, invece, correttamente previsto tutto, compreso il fatto che con il bando gli strappi si sarebbero ricuciti, cosa che si completerà fra il 2040 e il 2066. E oggi tocca al cambiamento climatico, in una guerra senza quartiere che vede protagonisti anche organi senza alcuna autorevolezza scientifica, in cui appaiono pochissimi scienziati, quasi sempre non specialisti, e molti signor nessuno (nella diramazione italiana perfino un sommelier!), approfittando dell'analfabetismo funzionale del 47% degli italiani e dell'idea, tutta giornalistica, che sulla scienza si deve discutere anche fuori dai circoli deputati. Oppure reclutando scienziati pure autorevoli, ma non specialisti, che danno la colpa del cambiamento al Sole, mentre i dati NASA dicono esattamente il contrario, oppure sostengono che è sempre stato così e l'uomo non c'entra nulla. Posizioni però sostenute non sulle riviste soientifiche peer reviewed, dove avrebbero un senso anche se scettiche, ma nelle interviste a giornalisti compiacenti che si sono occupati fino al giorno prima di cronaca nera o di costume. Nel 1995 l'IPCC rilascia il suo secondo rapporto sul clima e per la prima volta, al capitolo 8, sono presentate le prove che dimostravano che il riscaldamento climatico era effettivamente provocato dai gas serra. L'autore di quel lavoro era Ben Santer, climatologo e scienziato dalle credenziali impeccabili. Nonostante questo, un gruppo di fisici lo attaccò, scrivendo ai membri del Congresso americano, alle riviste scientifiche e al Department of Energy, chiedendo addirittura che fosse licenziato. L'accusa era quella di aver modificato il suo rapporto per "ingannare i politici e l'opinione pubblica". Santer aveva modificato il suo rapporto, è vero, ma non lo aveva fatto per ingannare qualcuno. Lo aveva fatto dopo che i suoi colleghi, scienziati come lui, avevano terminato la loro revisione e gli avevano mandato i loro commenti. Questa è la peer review. Gli autori di studi scientifici devono tener conto delle osservazioni e dei commenti dei revisori e devono correggere gli eventuali errori riscontrati. È l'etica di base del lavoro scientifico. Nessuna affermazione può essere considerata valida - neppure potenzialmente - sino a che non è passata attraverso la peer review. Santer aveva fatto esattamente questo. Era stato attaccato perché si era comportato da bravo scienziato. Chi lo aveva attaccato non aveva mai proposto tesi alternative e non aveva mai contattato IPCC o i suoi scienziati per verificare i fatti contestati. Perché gli accusatori di Santer non si preoccuparono di verificare come stavano effettivamente le cose? Perché hanno continuato a ripetere le loro accuse anche dopo che era emerso che erano infondate? La risposta è che ovviamente non erano interessati ai fatti. Erano interessati a combatterli. E chi erano i protagonisti di buona parte degli attacchi? Due fisici in pensione, che abbiamo imparato a conoscere. Proprio loro, Frederick Seitz e Fred Singer, Le accuse contro Santer furono riprese poi da gruppi industriali, riviste, giornali finanziari, trasformandosi in un fango sempre più difficile da ripulire. Se cercate su internet "Santer IPCC" non sarete indirizzati al capitolo 8 scritto dal climatologo, tantomeno al rapporto IPCC del 1995, ma a una galassia di siti che riprendono le accuse lanciate in quegli stessi anni. Un meccanismo subdolo, volto a screditare teorie e persone, senza curarsi delle conseguenze. Lo stesso meccanismo che sta continuando anche oggi, per cercare di creare una confusione generale, che è il vero obiettivo: i negazionisti non vogliono proporre una verità scientifica alternativa, che non esiste in nessun dato, ma dimostrare che il dibattito è ancora aperto e che la scienza non è unanime. Proprio quando sono ormai anni che il consenso sulle riviste scientifiche, a proposito del ruolo forzante dell'uomo nel riscaldamento globale, è superiore al 97%. L'obiettivo è impedire ogni forma di regolamentazione del libero mercato, vista come figlia e madre di quel comunismo che i negazionisti ancestrali volevano combattere. Ideologia pura, in base alla quale si bollano paradossalmente come ideologici gli ambientalisti "verdi fuori e rossi dentro" (espressione non a caso coniata proprio negli Usa in quegli anni ruggenti). Oggi il comunismo è scomparso, ma il nemico è diventato l'ambientalismo: per questo si alimenta un vento oscurantista che tende a ridurre tutto a opinione sulla quale è possibile discettare. E perché devo fare sacrifici o redistribuire ricchezza ai Paesi poveri, quando gli scienziati non sono nemmeno d'accordo fra loro? La massimizzazione dei profitti, scaricando costi sociali e ambientali, e il mercato senza regole, questa la vera religione, altro che quella di Greta o di Ultima Generazione. E non è un caso che si riscontri un vero livore contro questi ragazzi, alimentato da un'ipocrisia indecente, additando loro come nemici e alzando una cortina fumogena attorno ai veri responsabili. La crisi ambientale mette a nudo i limiti intrinseci del sistema economico capitalista che non riesce a trovare un rimedio nel libero mercato perché il capitale naturale non è infinito: se Marx avesse messo la questione ambientale al primo posto, le sue previsioni si sarebbero rivelate più azzeccate. (Per quanto: «Il comunismo come soppressione positiva della proprietà privata intesa come auto estraniazione dell'uomo e quindi come reale appropriazione dell'essenza dell'uomo mediante l'uomo e per l'uomo; perciò come ritorno dell'uomo per sé, dell'uomo come essere sociale, cioè umano, ritorno completo, fatto cosciente, maturato entro tutta la ricchezza dello svolgimento storico sino ad oggi. Questo comunismo s'identifica, in quanto umanismo giunto al proprio compimento, col naturalismo; è la vera risoluzione dell'antagonismo tra la natura e l'uomo, tra l'uomo e l'uomo, la vera risoluzione della contesa tra l'esistenza e l'essenza, tra l'oggettivazione e l'autoaffermazione, tra la libertà e la necessità, tra l'individuo e la specie. È la soluzione dell'enigma della storia, ed è consapevole di essere questa soluzione.» (Karl Marx- Manoscritti economico filosofici). Il banchetto è finito, è arrivato il conto e non serve a nulla ignorare il cameriere o additare lui come responsabile del prezzo salato.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
giovedì 17 ottobre 2024
MadreTerra. 29 Karl Marx: «Questo comunismo s'identifica col naturalismo; è la vera risoluzione dell'antagonismo tra la natura e l'uomo, tra l'uomo e l'uomo, la vera risoluzione della contesa tra l'esistenza e l'essenza, tra l'oggettivazione e l'autoaffermazione, tra la libertà e la necessità, tra l'individuo e la specie».
Ad un certo punto questa estate il mondo è
diventato migliore. Hanno cominciato a dirci che l'aria non era mai stata così
pulita, che la barriera corallina non era mai stata così bella, che non c'erano
mai stati tanti alberi e così pochi incendi, che i danni
per le alluvioni
non erano mai stati
così contenuti; e
che sì, faceva
caldo (" ma
ha sempre fatto
caldo"), e qualcuno ci crepava è vero, ma alla fine,
contandoli bene, uno per uno, i morti di caldo in più erano nettamente
inferiori ai morti freddo in meno ("il saldo è positivo!"). Il
riscaldamento globale non era più una minaccia per l'umanità, ma addirittura
una soluzione allo spopolamento di certe aree del mondo. Vuoi vedere che il
cambiamento climatico fa anche bene? Dietro questa narrazione affascinante c'è
un nuovo negazionismo, più accorto, più preparato di quello stolido che afferma
che "il cambiamento climatico non esiste" o peggio, è l'invenzione di
una setta di esaltati per levarci le nostre libertà. Questo nuovo negazionismo
riconosce che il cambiamento climatico esiste ma non è questo grande problema:
ce la stiamo cavando benissimo e se non facciamo drammi, investendo sull’adattamento,
potremo continuare la stessa identica vita di prima. Le alluvioni sono più
violente? Vuol dire che costruiremo argini più alti. L'obiettivo di tutto ciò è
fermare la transizione ecologica, la decarbonizzazione, l'abbandono progressivo
di petrolio, carbone, plastica e in generale di un modello di sviluppo basato
sul consumo e lo spreco a volte delle risorse e non sulla loro rigenerazione.
Quella sì, dicono, sarebbe una sciagura per l'umanità che ci renderebbe tutti
più poveri. La cosa più insidiosa di questa interpretazione, a parte essere una
comoda verità ed una verità di comodo, cioè alla quale fa piacere credere, è
che si poggia su dati scientifici: invece di dire, come dicevano i negazionisti
stolidi ormai passati di moda, che gli scienziati sono una élite che spaccia
balle solo per ridurci in povertà, il negazionista gentile cita dati, cita
ricerche scientifiche e ogni volta conclude: lo vedete? lo dice la scienza, non
lo diceva anche la vostra Greta Thunberg che dobbiamo seguire la scienza? Dicono
anche, ed è la bugia più odiosa, che ci divertiamo a fare gli apocalittici, che
godiamo ad evocare la fine del mondo (o meglio, dell'umanità). Ma non è questa
la visione del futuro che abbiamo: la transizione ecologica non è una minaccia
ma un'opportunità: di stabilire un nuovo rapporto fra noi e la natura e
correggere le tante ingiustizie che una visione distorta del capitalismo ha
consolidato. In questo senso, come ha spiegato qualche anno fa il sociologo
Ulrich Beck, se accettiamo questa sfida "trasformativa e cosmopolita"
il cambiamento climatico potrebbe addirittura "salvare il mondo".
(Tratto da “Contro i nuovi negazionisti”
di Riccardo Luna, pubblicato sul periodico “Green&Blue” del quotidiano “la
Repubblica” dell’otto di ottobre 2024).
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