"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 29 ottobre 2024

Uominiedio. 54 Enzo Bianchi: «La sinodalità: un percorso fatto insieme, pur restando diversi. Sì, i monaci sono esperti di sinodalità e vorrebbero trasmettere quest'arte, che ha un prezzo ma potrebbe dare frutti copiosi, nella chiesa e nella società».


DellaCondizioneMonacale”. “Vite in altro modo: altrimenti monaci”, testo della prefazione al volume “Diario da un monastero” di Alex Corlazzoli – pagg. 196, Euro 16, editore Edb – di Enzo Bianchi pubblicata su “il Fatto Quotidiano” di oggi, 29 di ottobre 2024: Chi sono i monaci? Sono quelli che comprendono la realtà e il mondo altrimenti. E siccome comprendono altrimenti, vivono anche altrimenti. Vi sono alcune costanti che definiscono l'alterità della vita monastica cristiana (ben sapendo che, più in generale, la vita monastica è un fenomeno umano universale). Innanzitutto i monaci sono là: non hanno uno scopo, se non quello di tentare di vivere il vangelo, nella forma del celibato e della vita comune. I monaci non hanno alcuna funzione particolare nella chiesa. Altri sono nella chiesa per fare qualcosa: i vescovi e i presbiteri per governare il popolo di Dio, i frati per predicare, le suore per aiutare i poveri e i malati... I monaci invece non hanno nessuno scopo specifico. Non si fa carriera nella vita monastica: si resta sempre fratelli e sorelle, poveri laici. "Noi non siamo che poveri laici", come diceva Pacomio al patriarca di Alessandria Atanasio. Quanto a ciò che dà senso a ogni vita umana, ossia l'amore, anche a questo riguardo i monaci vivono altrimenti. Essi decidono di amare l'altro prima di conoscerlo, mentre normalmente nella vita prima si conosce qualcuno e poi lo si ama. I monaci no! Decidono di amare l'altro prima di conoscerlo, e si sforzano di fare questo, in obbedienza al comandamento nuovo (cf. Gvl3,34; 15,12): l'altro è l'ospite, è il viandante, è colui che chiede di entrare in comunità. Vivere il celibato dà ai monaci una libertà e una possibilità ulteriori e diverse di interiorizzazione, di pensiero, di solitudine: tutti strumenti per fare una vita monastica che è ricerca di Dio - "Se davvero cerca Dio" (Regola di Benedetto 58,7) e, insieme, ricerca dell'uomo - "C'è un uomo che vuole la vita e desidera vedere giorni felici?" (Regola di Benedetto, Prologo 15; Sal 34 [33],13). All'interno della comunità monastica non c'è possibilità di proprietà o possesso privato. Tutti i beni sono comuni e trai monaci il denaro non circola. Certo, i monaci sanno che il denaro ha un potere, ma non riconoscono al denaro nessuna autorità nelle loro relazioni. E questo cambia molte cose. Lavorano tutti (e cercano di farlo bene!) per non dipendere da nessuno, lavorano per guadagnarsi da vivere, e tra di loro c'è chi guadagna poco e chi molto: ma questa differenza non significa nulla nelle relazioni, perché i guadagni sono messi in comune. Inoltre tutti, indistintamente, fanno lavori manuali: cucinare, lavare i piatti, pulire le case, fare lavori nel bosco o nell'orto... Insomma, tra i monaci il denaro e il lavoro praticato non contano: ciò che conta è che sono fratelli e sorelle, solidali, coinvolti in una stessa vicenda. Capaci e poco capaci, forti e deboli, sani e malati, bisognosi e meno bisognosi, i monaci sono tutti uguali in dignità e tutti devono sottostare agli stessi doveri e godere degli stessi diritti. È a partire da questa unità, vissuta nelle differenze, che i monaci tendono alla fraternità, cercando di vivere il primato del comandamento nuovo. Così facendo, giorno dopo giorno si esercitano nell'amore e si sentono un corpo, membra gli uni degli altri (cf. Rm 12,5; lCor 12,20; Ef 4,25). Nella vita monastica la consapevolezza di formare un corpo chiede che si pratichi la sottomissione reciproca, il portare "i pesi gli uni degli altri" (cf. Gal 6,2). L'obbedienza alla regola e all'abate è sempre e solo in vista della sottomissione reciproca che permette la comunione e la relazione nella libertà e nell'amore. Sottomissione reciproca significa accettare che le persone deboli dettino il passo alla comunità, che gli intellettuali prendano lezione dai semplici, che gli anziani ascoltino i giovani, che il dissenso affiori come segno che si sta insieme a causa di Cristo e non come un gruppo narcisistico e autoreferenziale. Intanto, con il passare del tempo si può fare la scoperta che la regola è un cammino di libertà, che esiste una libertà più grande di quella che consiste nel fare ciò che si vuole. Contrariamente a ciò che si pensa, le richieste a volte dure della regola non sono una perdita o un ostacolo ma un aiuto per maturare e approfondire la propria umanità. Un tratto peculiare dei monaci è che essi amano la notte e vivono la notte prima del giorno. Gli altri uomini e donne vivono di giorno e poi prolungano la vita nella notte. I monaci invece fanno il contrario: alla sera presto (verso le 20) entrano in cella e vanno a riposare, ma al mattino (tra le 2.30 e le 4.30, a seconda dei monasteri) si svegliano anticipando la luce del giorno e vegliano nella lettura delle Scritture, nella meditazione, nella preghiera. Non ci si alza presto per fare penitenza, ma per vivere la notte, quel tempo benedetto in cui si è soli, in cui c'è assoluto silenzio, in cui, soprattutto, si può ascoltare Dio che parla al cuore umano. Di giorno il monaco incontra i fratelli, gli ospiti; di giorno lavora e prega con gli altri fratelli: ma tutto questo avviene dopo alcune ore passate a vegliare nella notte, in attesa del giorno. (…). …comprendere e interpretare gli elementi essenziali che costituiscono l'altrimenti della vita monastica e portarli a convergere in un'istanza centrale, che li riassume e li risignifica: i monaci vogliono essere una memoria della communitas, un antidoto alle forze centrifughe, disgreganti, individualistiche. Tutto è per loro comune, e la stessa personalità del singolo non deve diventare singolarità contro o senza gli altri. I monaci si esercitano a vivere in comune, a possedere in comune, a intraprendere tutto in comune, a legiferare insieme: in una parola, a "camminare insieme". Questa è, letteralmente, la sinodalità: un percorso fatto insieme, pur restando diversi. Sì, i monaci sono esperti di sinodalità e vorrebbero trasmettere quest'arte, che ha un prezzo ma potrebbe dare frutti copiosi, nella chiesa e nella società.

1 commento:

  1. Riporto il messaggio a commento di Fra’ Nazareno Paparone – attualmente missionario in Giordania – messaggio pervenutomi stamane: “Carissimo condivido in pieno. Infatti è la nostra vita monastica, è la mia vita di tutti giorni. Anche noi prendiamo spunto da San Benedetto e dai padri orientali bizantini. Questo è lo stesso pensiero del nostro fondatore, per il quale la sinodalità è alla base della vita fraterna. Grazie di cuore”.

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