"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 6 ottobre 2024

Lastoriasiamonoi. 06 Julio Velasco: «Non ci si deve concentrare su quel che non si è avuto, ma su quel che si ha».

                  Sopra. "Scorcio di Venezia" (2024), acquerello di Anna Fiore.

Esistenze”. 1 “Figli immaginari”: Da bambino avevi amici immaginari. Giocavi con loro nei pomeriggi solitari. Adesso che sei adulto, non hai avuto e non avrai mai figli, giochi al padre immaginario. Lo fai in segreto, con pudore, lo stesso con cui, quando la casa è vuota e non ci sono vicini alle finestre, metti i Daft Punk e balli. Si riapre la porta: "Che cosa stavi facendo?". "Ginnastica''. "Con chi stavi parlando?". "Stavo ripassando il discorso per la conferenza di domani". Stavi chiacchierando con Ludovico, o Giulia, o come si sarebbe chiamata/o quella/o con il tuo cognome. Ti chiedi spesso come sarebbe stato, che cosa ne sarebbe uscito. A volte con curiosità, altre volte subentra il terrore. Accade quando leggi notizie di cronaca su quel che capita agli adolescenti (ma l'educazione quanto può influire?) o sui bambini dimenticati in auto (non è che anche tu, stressato...?). Succede anche e semplicemente quando vedi un tavolo familiare e il più piccolo tra quelli seduti pare assente, incollato allo schermo di uno smartphone e chissà che cosa sta ricevendo o trasmettendo. In generale però quel che non ti appartiene lo sfiori con serenità e disincanto. Come il protagonista di Cani neri di Ian McEwan amava accostarsi ai genitori degli altri, a te piace trascorrere tempo nelle case degli amici e suscitare quel passeggero legame con i loro figli. Ti lusinga creare quell'affinità da zio in transito, o amico di un'altra generazione che li incontra al confine di anni mai condivisi per parlare di calcio, moda, cinema, libri e scoprire le incursioni del passato nel presente, o viceversa. Ti ritrovi nell'assenza di doveri reciproci, aspettative, paure. Vuoi loro bene e ogni bene loro auguri, perché sono la vita, soltanto e per sempre, prossima. Quando torni alla tua esistenza talvolta ti assale una malinconia che non è mai invidia, è piuttosto la constatazione che certe strade, dovunque portassero, sono rimaste un bivio non preso, dietro una curva scomparsa nel retrovisore e se tu ancora costeggi il mare con la radio accesa, chissà com'era quel villaggio affollato a cui non sei arrivato. Altre volte, invece, provi una forma di sollievo, anche e soprattutto se quei bambini o quelle ragazze ti sono sembrati e sembrate uno splendore, carico di futuro. Perché è a quel punto che la preoccupazione per loro ti pare impossibile da gestire. Sai che rivivresti il tuo passato in scala 1:1, gli inevitabili (e solo col senno di poi futili) dolori della gioventù, l'ombra del destino imprevisto, tutta la vita (di nuovo) davanti. Come per ogni dote: un dono, e una maledizione. Meglio così, ti dici. E il giorno dopo: forse no. Ascolti Julio Velasco, che hai sempre considerato uno dei massimi filosofi di un'epoca in cui scarseggiano, dire: "Non ci si deve concentrare su quel che non si è avuto, ma su quel che si ha''. Anche se poi la medaglia d'oro lui alla fine l'ha vinta e tu spesso parli con il vuoto. O non proprio. Così come le persone che se ne sono andate ancora colmano una parte di spazio e non soltanto con il ricordo, ma con una modificata e magnifica presenza, così quelle che non sono mai venute eppure esistono, solo è diversa la maniera e devi sintonizzarti su altri canali, altre onde. Da cui: buonanotte Ludovico, buonanotte Giulia, principi del Maine, future regine della Nuova Inghilterra.

Esistenze”. 2 “Ci spieghi, Casanova”: Casanova, non se ne abbia a male se, con disdicevole mancanza di cortesia, le si rivolge la parola omettendo il nome di battesimo. Fatto sta che non è da tutti assurgere agli onori dell'antonomasia, e lì eternarsi nell'immaginario collettivo fino a diventare imprescindibile punto di riferimento, modello di vita, fors'anche oggetto di dileggio. Nel parlare a lei, infatti, che così gentilmente ci ha concesso di interloquire seppure ormai da secoli lontano dal consesso degli umani, l'interesse è certo rivolto a Giacomo e alle sue rocambolesche avventure, ma ancora di più a Casanova, epitome del seduttore, indefesso impalmatore di pulzelle, irresistibile imbonitore di dame, e da ultimo libertino indefesso e reo confesso. Ecco, Casanova, cosa prova a rappresentare tutto ciò, a fungere da esempio per playboy, gaudenti e gigolo? «Limitato, ecco come mi sento, mio impertinente interlocutore. Ho vissuto mille vite, cambiato infinite guise, abitato innumerevoli luoghi. Sono fuggito nei modi più avventurosi, ho scritto, tentato la carriera ecclesiastica e persino vestito i panni dell'agente segreto e della spia, eppure tutto ciò per cui mi si ricorda è la facilità assoluta che ho sempre avuto nell'innamorarmi. Una naturale propensione alle gioie del cuore e della carne che mi ha costretto ad abbandonare i voti; un carattere così vero e scintillante che ogni oggetto del mio amore ha sempre e comunque ricambiato il mio sentimento. Ecco, una cosa mi sento di dirle: non fui libertino, ma perpetuo innamorato. I playboy che mi venerano dovrebbero forse guardare altrove». Lungi da noi, Casanova, limitare ad una angusta definizione, al tratteggio di un tipo la sua persona e il suo valore, consegnati ormai alla storia. Il fatto è che, qualche secolo dopo la sua rocambolesca epopea, sedurre rimane arte oscura e affascinante. Abbondano gli stereotipi e i manuali, si moltiplicano incantamenti e fìngimenti, ma ancora si brancola nel buio. In modo particolare, poi, quando si parla di abiti, che sono il vero interesse di questo umile scrivano. «Sia più chiaro, per favore, e mi illustri i suoi dubbi in ogni dettaglio». Il dubbio è uno, Casanova, ed è invero cristallino. A lei che dei seduttori è santo protettore vorrei domandare se esiste un modo di sedurre che passa dallo stile, da ciò che si indossa, o dalla maniera in cui lo si fa. Vi è un prontuario, un how to? «No e poi no, mio obnubilato dialogante. E perché mai, poi? Pensa lei forse che far balenare petti irsuti o muscoli guizzanti, sbottonare camicie al limite dell'indecenza, far intuire glutei e gioiellame vario sotto brache troppo attillate, e in generale fasciare il corpo per rivelarlo, ricorrendo ad un pernicioso sostituto di nudità, sia un modo per sedurre? L'errore è grossolano, mi creda. L'eloquio, la capacità di trasformare l'eros in parola, la soavità dei gesti: sono questi a conquistare. Ma è soprattutto la purezza del sentimento a sedurre, e quella poco ha a che fare con i vestimenti, ma molto con lo stile. Intendo dire che lasciare un'impronta di ciò che si è in ciò che si fa è il solo modo per carpire un cuore. Di certo è il più duraturo, sapendo bene che tutto finisce: come questa nostra paradossale conversazione che trovo di poco conto, e che mi mette in fuga. Arte, invero, nella quale sono gran maestro. Adieu!».

N.d.r. Le due “esistenze” - sopra riportate - sono state scritte - rispettivamente - da Gabriele Romagnoli e da Angelo Flaccavento e sono state pubblicate sul periodico bimestrale “U” – settembre/ottobre, del 26 di settembre ultimo – del quotidiano “la Repubblica”.

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