Scriveva l’indimenticato Vittorio
Zucconi queste brevi “note” in “Nuotando
con gli squali” – pubblicate sul settimanale “D” del quotidiano “la
Repubblica” del 3 di novembre dell’anno 2012 - quasi dieci anni fa. Quelle donne,
che nelle note vengono citate, appaiono ancor oggi donne fortunate, donne particolari,
straordinarie. Cosa è cambiato nel frattempo per la stragrande maggioranza
delle donne? Sono poche, sono forti, sono sempre di più e sempre più in alto. Sono la
“capitane d’industria” americane, le bambine cresciute dopo le marce e le
battaglie del femminismo negli anni 60 e 70 e che oggi raccolgono quello che le
loro madri e nonne avevano seminato. Sono 65 sulle 500 maggior, le corporation
guidate da presidentesse, appena il 13%. Ma trent’anni or sono erano molte di
meno: una. E la quantità non significa qualità. Alcune di quelle aziende sono
colossi, in ogni settore. Indra Nooyi, a 56 anni, presiede la Pepsi Cola, che è
molto più di una multinazionale della gazzosa. Nooyi è una Tamil, nata a
Madras, in India, e immigrata, dunque con il doppio handicap iniziale di essere
femmina e straniera. Per le sue fatiche, è pagata 17 milioni di dollari
all'anno. Ginni Rometty, a 55 anni, è al volante della IBM, regina
dell'informatica professionale e industriale. È doppiamente sbalorditivo che
Ginni sia salita sulla cima di un'azienda come la IBM senza avere Master,
Dottorati, titoli sonanti. Ha una semplice laurea quadriennale in ingegneria
elettronica, una qualifica che nell''universo di "cybergenietti" che
lavorano alla IBM sembra poco più di una licenza media in un consiglio di facoltà.
Meg Whitman, un'altra cinquantenne, deve tentare di rimettere in rotta di
navigazione la grande barca della Hewlett Packard, già padrona delle macchine
per ufficio e dei PC, oggi sbandata. Se la deve vedere con un'altra donna,
Ursula Burns, che presiede la diretta concorrente, la Xerox. Duello di femmine
alfa. Nell'impero della chimica regna Ellen Cullmann, amministratrice delegata
della DuPont. E se qualcuno guarda con sospetto alle grandi del complesso
"agro industriale" se la prenda con Patricia Woertz, signora della
Archer Daniels Midland. Dal suo ufficio in Illinois, Patricia controlla 82
miliardi di dollari di vendite, 270 filiali in tutto il mondo e la fetta più
grossa di produzione di cereali, amido, soia, girasoli, mais, ricevendo
periodiche denunce per monopolio. È una donna, mica una benefattrice. Dietro le
reti tv della Disney c'è Anne Sweeney, che dal proprio settore Media genera 19
miliardi di proventi ogni anno. E se è comprensibile che la Avon cosmetici sia
in mano a una donna, il recinto delle produzioni classicamente femminili è
stato abbattuto da tempo. La General Dynamics e la Lockheed Martin, colonne del
settore militar-industriale, tutto cannoni e niente burro, hanno signore, non
ex generali o politicanti, alla loro guida. La presidentessa della Wal-Mart,
catena di supernegozi discount, è Giselle Ruiz, figlia di un'immigrata
messicana che friggeva tacos e frijoles per mandarla a scuola. Controlla un
milione e mezzo di dipendenti (poco pagati), 3.800 outlet e 264 miliardi in
vendite. Essendo due terzi dei clienti Wal-Mart donne, è sembrato logico che a
organizzare la catena fosse una di loro. Se volete fare arrabbiare sul serio
queste donne domandate loro se il fatto di essere femmine le abbia ostacolate o
le abbia favorite. «La formula delle quote per genere o per razza», ha detto
Indra, la tycoon delle bibite, «può forse funzionare nel settore pubblico, dove
è impossibile misurare i risultati, ma in quella piscina
degli squali che è il mercato, nessuna di noi sopravviverebbe un giorno». «Le
quote mi hanno sempre irritato molto», aggiunge Anne dalla Disney, «perché ci
appiccicano l’etichetta di una che ha fatto strada perché è donna e le hanno
aperto la porta. È in fondo offensivo e riduttivo quanto il sospetto su quella
che è andata avanti saltando da un letto all’altro». Qualcuna di loro ha dovuto
rinunciare a farsi una famiglia, ma molte sono state e sono, madri e mogli. Indra
della Pepsi ha due figlie oramai grandi e all’università. Irene Rosenfeld,
figlia di un ebreo rumeno fuggito negli Usa, guida Kraft, quella delle “cose
buone dal mondo”, ma ha trovato il tempo per allevare due figli. Giorno dopo
giorno, il momento in cui sarà inutile e ridicolo scrivere un pezzo come questo
sulle “capitane d’industria” si sta facendo sempre più vicino. In America.
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