"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 3 novembre 2021

Piccolegrandistorie. 08 «Quella piscina degli squali che è il mercato».

Scriveva l’indimenticato Vittorio Zucconi queste brevi “note” in “Nuotando con gli squali” – pubblicate sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 3 di novembre dell’anno 2012 - quasi dieci anni fa. Quelle donne, che nelle note vengono citate, appaiono ancor oggi donne fortunate, donne particolari, straordinarie. Cosa è cambiato nel frattempo per la stragrande maggioranza delle donne? Sono poche, sono forti, sono sempre di più e sempre più in alto. Sono la “capitane d’industria” americane, le bambine cresciute dopo le marce e le battaglie del femminismo negli anni 60 e 70 e che oggi raccolgono quello che le loro madri e nonne avevano seminato. Sono 65 sulle 500 maggior, le corporation guidate da presidentesse, appena il 13%. Ma trent’anni or sono erano molte di meno: una. E la quantità non significa qualità. Alcune di quelle aziende sono colossi, in ogni settore. Indra Nooyi, a 56 anni, presiede la Pepsi Cola, che è molto più di una multinazionale della gazzosa. Nooyi è una Tamil, nata a Madras, in India, e immigrata, dunque con il doppio handicap iniziale di essere femmina e straniera. Per le sue fatiche, è pagata 17 milioni di dollari all'anno. Ginni Rometty, a 55 anni, è al volante della IBM, regina dell'informatica professionale e industriale. È doppiamente sbalorditivo che Ginni sia salita sulla cima di un'azienda come la IBM senza avere Master, Dottorati, titoli sonanti. Ha una semplice laurea quadriennale in ingegneria elettronica, una qualifica che nell''universo di "cybergenietti" che lavorano alla IBM sembra poco più di una licenza media in un consiglio di facoltà. Meg Whitman, un'altra cinquantenne, deve tentare di rimettere in rotta di navigazione la grande barca della Hewlett Packard, già padrona delle macchine per ufficio e dei PC, oggi sbandata. Se la deve vedere con un'altra donna, Ursula Burns, che presiede la diretta concorrente, la Xerox. Duello di femmine alfa. Nell'impero della chimica regna Ellen Cullmann, amministratrice delegata della DuPont. E se qualcuno guarda con sospetto alle grandi del complesso "agro industriale" se la prenda con Patricia Woertz, signora della Archer Daniels Midland. Dal suo ufficio in Illinois, Patricia controlla 82 miliardi di dollari di vendite, 270 filiali in tutto il mondo e la fetta più grossa di produzione di cereali, amido, soia, girasoli, mais, ricevendo periodiche denunce per monopolio. È una donna, mica una benefattrice. Dietro le reti tv della Disney c'è Anne Sweeney, che dal proprio settore Media genera 19 miliardi di proventi ogni anno. E se è comprensibile che la Avon cosmetici sia in mano a una donna, il recinto delle produzioni classicamente femminili è stato abbattuto da tempo. La General Dynamics e la Lockheed Martin, colonne del settore militar-industriale, tutto cannoni e niente burro, hanno signore, non ex generali o politicanti, alla loro guida. La presidentessa della Wal-Mart, catena di supernegozi discount, è Giselle Ruiz, figlia di un'immigrata messicana che friggeva tacos e frijoles per mandarla a scuola. Controlla un milione e mezzo di dipendenti (poco pagati), 3.800 outlet e 264 miliardi in vendite. Essendo due terzi dei clienti Wal-Mart donne, è sembrato logico che a organizzare la catena fosse una di loro. Se volete fare arrabbiare sul serio queste donne domandate loro se il fatto di essere femmine le abbia ostacolate o le abbia favorite. «La formula delle quote per genere o per razza», ha detto Indra, la tycoon delle bibite, «può forse funzionare nel settore pubblico, dove è impossibile misurare i risultati, ma in quella piscina degli squali che è il mercato, nessuna di noi sopravviverebbe un giorno». «Le quote mi hanno sempre irritato molto», aggiunge Anne dalla Disney, «perché ci appiccicano l’etichetta di una che ha fatto strada perché è donna e le hanno aperto la porta. È in fondo offensivo e riduttivo quanto il sospetto su quella che è andata avanti saltando da un letto all’altro». Qualcuna di loro ha dovuto rinunciare a farsi una famiglia, ma molte sono state e sono, madri e mogli. Indra della Pepsi ha due figlie oramai grandi e all’università. Irene Rosenfeld, figlia di un ebreo rumeno fuggito negli Usa, guida Kraft, quella delle “cose buone dal mondo”, ma ha trovato il tempo per allevare due figli. Giorno dopo giorno, il momento in cui sarà inutile e ridicolo scrivere un pezzo come questo sulle “capitane d’industria” si sta facendo sempre più vicino. In America. 

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